Il quarantacinquenne Khader Adnan, esponente del gruppo Jihad Islamica, è morto nel carcere israeliano di Nitzan nell’Israele centrale a causa di un prolungato sciopero della fame durato 86 giorni. Secondo la stampa israeliana si tratterebbe del primo palestinese a morire durante uno sciopero della fame nelle prigioni dello stato ebraico.

Nella giornata di martedì la notizia della sua scomparsa ha provocato un’immediata reazione da Gaza – dove i militanti dell’organizzazione sostenuta dall’Iran hanno la propria principale base operativa – nella forma di una pioggia di razzi nella direzione dello stato ebraico. Almeno tre persone sono rimaste ferite a Sderot, la città bersaglio per eccellenza degli attacchi sferrati dalla striscia: una in modo grave mentre gli altri due, secondo le prime notizie dei muratori di nazionalità straniera, in modo più lieve. «Dobbiamo assassinarli», ha tuonato il sindaco di Sderot, mentre la risposta dell’esercito israeliano non si faceva attendere. Almeno altre quattro persone sono state ferite nei villaggi circostanti.

Nuova icona palestinese

Una serie di manifestazioni di protesta spontanee (con annessi scontri) sono andate in scena anche in Cisgiordania, dove il numero di palestinesi rimasti uccisi finora nel 2023 (circa un centinaio) fa di questo inizio di anno il peggiore dall’epoca della seconda intifada. Il 2022 – con le sue 146 vittime palestinesi nei Territori – si era già attestato come l’anno peggiore nella regione dal 2004.

Secondo Sari Nusseibeh, professore ed ex presidente della Al Quds University di Gerusalemme est, «Adnan era una figura senza dubbio nota nell’arena palestinese, tanto più da quando aveva iniziato lo sciopero della fame». Con lo sciopero «era diventato un’icona», aggiunge Nusseibeh in un messaggio WhatsApp. Adnan rifiutava cibi e bevande dal 5 febbraio, immediatamente dopo il suo ultimo arresto, e non si sottoponeva a controlli medici. Sposato con tre figli, residente della zona della città battagliera di Jenin, non era la prima volta che sceglieva la strada non violenta dello sciopero della fame. In una delle precedenti occasioni, nel 2012, insistette 66 giorni per protestare contro la pratica delle detenzioni preventive che, come nel suo caso, possono prolungarsi senza che venga celebrato un processo.

Secondo l’autorità responsabile delle prigioni israeliane Adnan è «stato trovato privo di sensi nella sua cella nelle prime ore del mattino» dopodiché è stato dichiarato morto in ospedale. Due importanti militanti della Jihad Islamica erano stati accompagnati presso di lui per provare a convincerlo, invano, a desistere. Il comunicato specifica che era la decima volta che veniva incarcerato in Israele. Corale la condanna dei gruppi della militanza palestinese ma anche del Primo Ministro della Anp, Mohammad Shtayyeh, che ha parlato di una “esecuzione deliberata”.

Braccio di ferro perenne

Nelle carceri israeliane va in scena un conflitto parallelo in cui le diverse fazioni palestinesi si confrontano con le autorità israeliane a colpi di scioperi, mobilitazioni, rivolte. Il loro potere negoziale è dovuto non solamente alla capacità di scatenare proteste e ondate di disobbedienza civile all’interno delle infrastrutture carcerarie, provocando violenze e caos, ma anche all’influenza che i cosiddetti “prigionieri di sicurezza” mantengono sui gruppi armati fuori le mura dei penitenziari. «Ogni evento locale con i prigionieri avrà un’espressione esterna, potrà influenzare non solo ciò che accade all’interno delle carceri ma anche al di fuori di esse», ha ribadito l’autorità responsabile delle prigioni israeliane, in un comunicato in seguito alla notizia della morte di Adnan.

«Il Servizio penitenziario israeliano è determinato a stabilire confini chiari», ha continuato. Il braccio di ferro perenne sulle condizioni carcerarie, dalla quantità di acqua per ogni doccia ai limiti nelle comunicazioni con l’esterno, è divenuto ancora più teso dopo la nomina dell’estremista Itamar Ben Gvir a ministro della sicurezza nazionale e l’insediamento del nuovo governo alla fine dello scorso anno. Ben Gvir ha giurato di «porre fine alle condizioni da campo estivo per i terroristi assassini».

La sua crociata per rendere la vita dei prigionieri di sicurezza il più insopportabile possibile gli è valsa tra l’altro il nomignolo ironico di “ministro della pita”: fra le misure imposte ai carcerati c’è infatti anche il divieto di preparare da sé il tipico pane arabo. Il punto di vista del leader di Potere Ebraico quanto al destino più consono per i “prigionieri di sicurezza” è d’altronde chiaramente espresso nel documento programmatico del suo partito, in cui si predica l’introduzione della pena di morte per i terroristi (solo se palestinesi).
 

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