C’è una trattativa dietro l’annuncio del leader del Pkk di dare addio alla lotta armata contro Ankara. L’analista Çiçek: «Forse presto sarà liberato Selahattin Demirtaş, il leader del partito filo-curdo»
Il 27 febbraio è diventata una data storica per la Turchia. Il leader del Partito dei lavoratori curdo (Pkk) Abdullah Ocalan, imprigionato dal 1999 sull'isola-carcere di Imrali, ha annunciato la fine della lotta armata curda.
Questa decisione interessa prima di tutto la Turchia e le sue dinamiche interne, ma ha anche ripercussioni importanti a livello regionale. In particolare su Siria e Iraq.
Le conseguenze interne
Già in passato si è cercato di arrivare a un dialogo tra governo e Pkk, ma i tentativi sono finiti con un nulla di fatto. Questa volta, però, l’obiettivo non è risolvere la questione curda in quanto tale, ma porre fine al conflitto armato. «Si vuole inquadrare la questione in una cornice politica e legale», spiega Cuma Çiçek, analista ed esperto di questione curda, «e lo stesso processo di disarmo e le decisioni sul futuro dei membri del Pkk hanno bisogno di questo cambio di prospettiva».
Al momento non ci sono state dichiarazioni da parte del governo sulle parole di Ocalan, ma c’è la speranza che vengano implementate alcune riforme in favore del rispetto dei diritti dei curdi e a tutela delle amministrazioni sotto il loro controllo.
Dopo le ultime due tornate elettorali i sindaci curdi sono stati spesso rimossi con l’accusa di terrorismo e il loro comuni sono finiti in mano a dei funzionari nominati dal governo. Nel breve termine, spiega Çiçek, il governo potrebbe rilasciare figure simboliche come Selahattin Demirtaş, l’ex presidente del partito filo-curdo in carcere dal 2016, come segno di buona volontà.
Nell’immediato, però, regna l’incertezza. Rispetto alle precedenti trattative, questa volta il dialogo è stato portato avanti in segreto, senza la discussione pubblica del passato. «È indubbio che il governo e Ocalan abbiano una tabella di marcia. Tuttavia, scelgono deliberatamente di mantenere questa incertezza come tecnica di gestione del processo, probabilmente a causa di esperienze negative passate».
Uno dei primi punti da affrontare sarà il futuro dei membri del Pkk. Le opzioni sono varie: potrebbero fare ritorno in Turchia, stabilirsi nel Kurdistan iracheno o trasferirsi nei paesi europei. «La categorizzazione dei membri in gruppi distinti, per esempio tra quelli impegnati in ruoli di gestione e quelli che hanno preso le armi, sarà un punto saliente».
Ma le parole di Ocalan favoriscono anche il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Come spiega Çiçek, quest’ultimo ha bisogno di riconquistare il sostegno politico perso negli ultimi anni e per vincere deve smantellare la cooperazione tra il partito filo-curdo Dem e il Chp, la principale forza di opposizione. Sul tavolo c’è anche la riforma della Costituzione che Erdogan sta cercando di portare avanti per potersi presentare nuovamente alle prossime elezioni, abolendo quindi oltre il limite dei tre mandati. Per farlo, avrà bisogno anche dei voti del Dem.
Di certo per i curdi quella di Ocalan è stata una dichiarazione largamente attesa. «Ora serve un Congresso per il disarmo e un processo legale per il cessate il fuoco», ha commentato Yilmaz Orkan, coordinatore dell’Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia. «È il momento che la lotta cambia strategia e si trasformi in un processo politico che garantisca i diritti dei curdi». Molto dipenderà anche dalla reazione degli altri partiti politici esclusi dalle trattative. Le dichiarazioni a caldo sono state molto critiche, anche se il supporto di Devlet Bahçeli, capo del partito ultra-nazionalista MHP ed alleato di Erdogan dovrebbe favorire i piani del presidente turco.
Il fronte estero
Ma le parole di Ocalan investono anche la Siria, dove i curdi siriani sono stretti tra gli attacchi della Turchia e le pressioni che arrivano dal governo guidato da Ahmad al-Shara.
«L'annuncio arriva in un momento in cui il Pkk è vulnerabile non solo in Turchia, dove non rappresenta più una minaccia terroristica, ma anche Siria e in Iraq», spiega Riccardo Gasco, analista del think tank turco InstanPol. «Al Sharaa, che è vicino al governo Erdogan, non lascia spazio di manovra alle Forze di difesa curde, mentre gli Stati Uniti segnalano la volontà di lasciare il paese».
Il messaggio di Ocalan in teoria non riguarda la componente siriana della lotta curda, come ribadito anche dal capo delle Sdf Mazloum Abdi, ma questa svolta storica spinge verso una trattativa negoziale più seria tra Siria del nord-est e Damasco. La Turchia vuole che le componenti non siriane delle Sdf vengono espulse e tutte le altre integrate nell'esercito nazionale siriano, ma fino ad ora non ci sono state aperture in questo senso. «Ora però i curdi potrebbero accettare l'apertura di un tavolo negoziale con Sharaa, ma dipende anche da quello che faranno gli Usa», spiega Gasco. «La loro preoccupazione principale è la lotta all’Isis e la Turchia deve convincerli di potersene occupare».
Direzione Iraq
Anche l’Iraq è direttamente interessato dal messaggio di Ocalan. Il partito che governa la Regione autonoma del nord ha rafforzato i suoi legami con la Turchia negli ultimi anni, arrivando a dichiarare il PKK un’organizzazione terroristica. «Tutto questo ha contribuito ad indebolire il movimento», sottolinea Gasco.
Una delle questioni da risolvere sarà il futuro dei membri del Pkk iracheno. Secondo Gasco, è probabile che venga indetto un Congresso per trovare delle possibili vie affinché i quadri possano ottenere la garanzia di non essere perseguitati una volta tornati alla vita civile. Il braccio armato potrebbe persino trasformarsi in un partito politico. Uno scenario inimmaginabile in Turchia.
Come spiega Gasco, il governo Erdogan ha saputo usare una questione domestica per trarne dei vantaggi anche in chiave regionale. Con l’obiettivo anche di evitare che il separatismo interno curdo potesse trasformarsi in un nuovo 7 ottobre. «In ogni caso questo non è che l’inizio di un processo che andrà avanti ancora a lungo e di cui andrà valutata la tenuta».
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