Lo scorso 15 marzo il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha annunciato le sue dimissioni da vicepresidente del governo spagnolo, dopo esserne stato in carica per 14 mesi, nella prima coalizione progressista della storia del paese, per candidarsi alle elezioni della Comunità di Madrid del 4 maggio contro l’attuale presidente della Comunità, la popolare Isabel Díaz Ayuso.

Iglesias, che lascia a succedergli nel governo una leadership tutta femminile, abbandona così la prima linea di quella politica ribaltata sei anni fa con l’irruzione nel parlamento spagnolo di 69 deputati e deputate di Podemos, il nuovo partito nato nel 2014 sull’esperienza del movimento degli Indignati.

Tutto ciò avviene in coincidenza con l’anniversario di un evento che ha cambiato la politica spagnola. A maggio prossimo, infatti, si compiono dieci anni dalla nascita del movimento degli Indignados spagnoli, anche noto come il 15-M, 15 maggio 2011, data della manifestazione a Madrid cui seguì l’occupazione della Puerta del Sol.

Esperienza sorta in continuità ideale con la Rivoluzione delle pentole e delle padelle islandese e della Primavera araba e assunta a riferimento dal movimento americano Occupy Wall Street.

Nascita ed evoluzione 

«Successe quando nessuno se lo aspettava»: inizia così il racconto dei movimenti nella crisi del 2008 del sociologo Manuel Castells, ministro dell’Università del governo spagnolo, nel suo libro Reti di indignazione e speranza.

I movimenti sociali hanno bisogno di darsi «un processo di comunicazione autonoma» come le reti sociali, ma anche di «ritagliarsi un nuovo spazio pubblico», scrive Castells, «perciò occupano lo spazio urbano ed edifici simbolici».

E infatti un gruppo nato nel 2011 su Facebook dal nome Democracia real YA convocò via Internet una manifestazione per il 15 maggio, una settimana prima delle elezioni municipali e decine di migliaia di persone scesero in piazza a Madrid, Barcellona, Valencia e altre 50 città spagnole.

Quella notte cominciò l’occupazione della Puerta del Sol, la notte successiva fu occupata Plaça Catalunya a Barcellona.

Al movimento si unirono un centinaio di città spagnole, quasi mille città nel mondo. Ci furono la manifestazione del 23 luglio con 250mila persone a Madrid e la mobilitazione globale di ottobre convocata per Internet cui parteciparono 951 città di 82 paesi.

Il “non ci rappresentano” all’indirizzo della “casta” e “non è una crisi, è il sistema” a denunciare il fallimento del modello socio-economico erano i suoi slogan. Tre quarti della popolazione spagnola lo sosteneva, d’accordo con le sue critiche e proclami.

Il 22 maggio di quell’anno, i socialisti spagnoli soffersero la loro più grande sconfitta in elezioni municipali e nelle politiche del 20 novembre, il crollo del Psoe favorì l’ascesa del Partido Popular al governo del paese.  

«Gli Indignati sono l’espressione della crisi del 2008 e dell’esaurimento politico del modello neo-liberista. Fu un’ondata in cui si univano vari elementi, dall’esaurimento politico della democrazia liberale, alla crisi economica che colpiva duramente i giovani. Il risultato fu una protesta che cambiò il profilo del sistema politico spagnolo», dice Juan Carlos Monedero, professore di Scienze Politiche alla Universidad Complutense de Madrid e cofondatore di Podemos.

«La Spagna andò a dormire franchista e si risvegliò democratica, con la morte di Franco nel 1975. Ci fu una continuità col franchismo cosiddetto sociologico che riguardava tutte le istituzioni del paese, una sorta d’inerzia compiacente con la realtà. Doveva venire una nuova generazione per reclamare una democrazia che la facesse finita con le bugie della monarchia, dei partiti politici ancora molto debitori del franchismo, del bipartitismo. Capace di tirare fuori il meglio delle generazioni precedenti, che rompeva con le loro bugie ma che era in connessione con la loro verità, con le lotte della Transizione e degli ultimi anni della dittatura per la democrazia», dice Monedero riferendosi alla presenza nel movimento degli anziani assieme ai giovani.

«Le reti sociali resero il dibattito orizzontale – spiega il politologo spagnolo - e questo si trasferì nelle strade e nelle piazze, rompendo con il modello di partito verticale e centralista. Non esistendo una trasmissione gerarchica, burocratica, autoritaria della discussione, era la gente, attraverso un dialogo di massa, a cercare le risposte e questo generò l’elemento più importante del 15-M che è la politicizzazione della società. E quando una società è politicizzata costruisce il suo proprio racconto».

Lasciate le piazze, gli Indignati andarono nei quartieri delle città a lottare per la sanità pubblica, contro i tagli allo stato sociale, per il diritto alla casa.

A Barcellona, l’attuale sindaca Ada Colau era allora la leader del movimento contro gli sfratti. In Catalogna, nei tre anni successivi il 15-M, il movimento degli Indignati e il movimento indipendentista si trovarono a convivere. Senza particolare simpatia reciproca quando non di mutua ostilità, come nel caso dei tagli alle politiche sociali dell’ex presidente della Generalitat Artur Mas e delle risposte di piazza che ne seguirono.

Ma l’incontro tra i due movimenti avvenne sul cosiddetto diritto a decidere, che rappresentava l’assunzione in termini di radicalità democratica del principio di autodeterminazione dell’indipendentismo.

Convertire l’indignazione in politica

Nel 2014 un gruppo di professori di Scienze politiche della Complutense di Madrid pubblicarono un manifesto dal titolo: Fare una mossa: convertire l’indignazione in cambiamento politico. Nelle elezioni europee del 2014, Podemos ottenne l’8 per cento dei voti nazionali e cinque eurodeputati, diventando la quarta forza politica spagnola. 

«Il 15-M ebbe successo per quattro ragioni: perché non aveva memoria, non aveva struttura, non aveva leader e non aveva programma. E questo permise quel processo di politicizzazione che dicevo», spiega Monedero. «Eppure, il 15- M morì perché non aveva memoria, non aveva struttura, non aveva leader e non aveva programma. Ed è allora che nasce Podemos, se fosse nato prima quel processo di politicizzazione non avrebbe avuto luogo. In Italia mi domandavano come si faceva un partito come Podemos e io rispondevo che la domanda avrebbe dovuto essere come si costruisce un movimento sociale. Che è la cosa più complicata da fare, in Spagna c’è sempre prima un movimento sociale e poi un partito».

«Cercammo di proporre dei riferimenti diversi per non finire schiacciati sull’estrema sinistra, condannandoci alla marginalità», continua Monedero. «C’erano molte persone che avevano votato a destra ma avevano pagato cara la crisi del 2008 e non volevamo obbligarle a identificarsi con ideologie del passato. Perciò ci sembrava corretto parlare di “alto” e “basso”. Ma quando la discussione interna al Psoe, con Pedro Sánchez obbligato a dimettersi da segretario del partito per poi tornarne alla guida con le primarie, ripropose il conflitto sinistra-destra, diventò impossibile lottare contro questo schema. D’altronde, la frammentazione della politica obbliga qualunque governo progressista ad avere un’ampia coalizione e a qualificarsi di sinistra nel confronto con lo schieramento reazionario».

Podemos nasce con l’ambizione di governare per trasformare le cose senza esaurire però il suo ruolo nell’azione di governo. «L’esperienza di Podemos ci dice che non si possono cambiare le cose se non si ha più potere istituzionale e maggiore appoggio sociale. Era corretto andare al governo – sottolinea Monedero – perché era rompere il tabù storico che impediva a una forza alla sinistra del Psoe di entrarci e apriva, con la collaborazione alla governabilità delle sinistre catalana e basca, una nuova tappa in Spagna. Una volta ottenuto questo, bisogna valutare se la trasformazione del sistema si fa meglio dentro o fuori del governo. La scelta di Iglesias genera una nuova realtà con una divisione di ruoli tra partito e governo. Questo ha elementi virtuosi, perché il partito è meno soggetto alle emergenze del giorno per giorno e decide le politiche, perciò si apre la possibilità di una nuova tappa». 

«Il 15-M è stato il processo di democratizzazione più importante avvenuto in Spagna dalla morte di Franco», conclude Monedero. «Il 15-M fa saltare il Dna delle elite spagnole che viene dal secolo XIX, perciò vi è un odio profondo delle elite contro Podemos e quindi contro il 15-M. Il 15-M incorpora elementi della risposta popolare della storia di questo paese che producono uno schock sulle elite e Podemos ne rappresenta l’espressione nel Ventunesimo secolo».

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