Pokrovsk allo stremo, il Donbass in bilico. Lo shutdown Usa congela le armi per Kiev

Niente sembra fermare l'avanzata russa in Ucraina: i soldati di Mosca ieri sono arrivati a Rybnoye, nella regione di Zaporizhzhia. Ma la guerra prosegue davvero a colpi di “oscurità”: Ucraina e Russia si stanno infliggendo l'un l'altra freddo e buio con l'inverno alle porte; droni e missili riducono in macerie le infrastrutture energetiche che costringono i civili a vivere senza luce, calore, acqua. Si combatte fino all'ultimo sangue a Pokrovsk, ma non tutto al fronte lo deciderà la resistenza dei soldati di Kiev: le conseguenze della politica di Donald Trump, che hanno portato allo shutdown a Washington, si ripercuotono già nelle trincee, dove gli armamenti tardano ad arrivare. E non è cosa da poco: in ballo ci sono missili e sistemi d’arma per il valore di 5 miliardi di dollari, che potrebbero rivelarsi decisivi in questa difficile fase del conflitto. Pokrovsk in bilico e buio a Kiev: l’Ucraina ora punta tutto sui droni In 100mila senza corrente Centomila persone, per i bombardamenti russi, sono rimaste senza corrente nella regione di Kharkiv; nonostante si lavori senza sosta per ripristinare il riscaldamento, ha riferito il vicepremier per la ricostruzione Oleksiy Kuleba, la distruzione degli impianti è massiva. In Ucraina i blackout sono routine, ma lo stanno diventando anche in Russia: ieri 20mila residenti della regione di Belgorod hanno avuto interruzioni di corrente per gli attacchi dell'esercito ucraino, ha detto il governatore della regione Vyacheslav Gladkov. Ha lanciato l'allarme anche l'omologo della regione di Kursk, Alexander Khinshtein, per un incendio scoppiato in un impianto energetico nel villaggio di Korenevo; strutture in fiamme anche a Voronezh. Al fronte di Pokrovsk, città-chiave del Donbass, non cessano gli intensi e sempre più ravvicinati combattimenti tra le forze russe e i resistenti ucraini: Kiev rende noto che nelle ultime ore è riuscita a respingere 73 attacchi russi ma i soldati ucraini, spesso esausti e privi di rinforzi, ammettono alle emittenti americane che non riescono ad emanciparsi da un accerchiamento ormai irrefrenabile. Parlano di caduta imminente della città, ormai non più evitabile. Sembra un deja vu di ciò che è già accaduto a Bakhmut nel 2023 e ad Avdiivka nel 2024, quando una ritirata non dichiarata in tempo si è rivelata una scelta tragica in termini di perdite di vite umane. La conquista dello snodo ferroviario (sia strategicamente che simbolicamente importante per Mosca, che ne dichiara quotidianamente l'accerchiamento e persegue da 21 mesi l'obiettivo di prenderne il controllo) è fondamentale per l'avanzata nel Donetzk quanto la presa dell'altro polo logistico nella regione di Kharkiv: Kupiansk. Questi sono adesso i due obiettivi primari della campagna russa, poi, teme Kiev, i soldati di Mosca si concentreranno su Kostyantynivka e Druzhkivka. Il ministero degli Esteri di Mosca, Sergey Lavrov, deve aver subìto il contraccolpo mediatico che lo ha raccontato negli ultimi giorni come emarginato dal cerchio magico del presidente (perché ritenuto presunto responsabile dell'annullamento del vertice tra il numero uno del Cremlino e quello della Casa Bianca) e ieri ha smentito, indirettamente, le indiscrezioni sulla sua chiacchierata caduta in disgrazia, dichiarando che è regolarmente in contatto con il segretario di Stato Marco Rubio: «È importante per discutere la questione ucraina e promuovere l'agenda bilaterale», e pertanto «siamo pronti a tenere incontri di persona quando necessario». Ucraina, la battaglia finale di Pokrovsk: i dubbi sulla reazione degli Stati Uniti La rabbia di Lavrov Non ha evitato critiche, che ultimamente non risparmia agli americani, verso l'attuale e la precedente amministrazione Usa: «Ci avevano assicurato che sarebbero stati in grado di garantire che Zelensky non ostacolasse il raggiungimento della pace». Ai microfoni delle agenzie russe, ancora più severo è stato con la Commissione europea, accusata di cinismo e furto, «inganno e rapina», «azione predatoria», oltre che di «violazione delle norme internazionali sull'immunità sovrana e l'inviolabilità degli asset delle banche centrali»: i fondi russi congelati in Europa, che Bruxelles vuole «estorcere» dalle casse dell'Euroclear in Belgio per spedirli a Kiev, non saranno comunque abbastanza per salvare l'Ucraina che collassa sotto i suoi debiti. È un'azione che – Lavrov ne è convinto – si ritorcerà contro la stessa Ue e moltiplicherà «gravi rischi per la reputazione dell'eurozona come polo economico». Non solo quelli europei, anche gli aiuti americani sono bloccati: sono quei 5 miliardi di dollari di armamenti congelati dallo shutdown americano, destinazione finale gli arsenali Nato nell’Ue. Si tratta di missili Amraam e sistemi di combattimento Aegis e Himars che poi gli alleati avrebbero trasferito a Kiev. A raccontarlo adAxios un alto funzionario rimasto anonimo: lo shutdown, ha raccontato, «sta danneggiando seriamente sia i nostri alleati e partner sia l'industria statunitense, che non riesce a fornire molte di queste capacità critiche all'estero». Per il caos americano, l'ufficio Affari politico-militari del Dipartimento di stato a Washington è rimasto semi-vuoto di personale: ha solo un quarto dei suoi regolari impiegati e i dipendenti che dovevano garantire gli invii, come migliaia di altri, sono stati sospesi. A pagare il conto oggi sono gli ucraini.