Un anno e cinque mesi, 17 mesi, oppure 523 giorni. È quanto è durato il governo di Mario Draghi, dal 13 febbraio 2021, giorno del giuramento, al 21 luglio 2022, quando il presidente del Consiglio ha rassegnato le dimissioni al capo dello Stato Sergio Mattarella. Dopo di che, altri due mesi di disbrigo degli affari correnti in attesa di quanto emergerà dalle urne dopo il 25 settembre.

Draghi ha condotto una politica estera chiara, le cui linee guida erano esplicitate già nelle dichiarazioni programmatiche del 17 febbraio 2021 al Senato, prima del voto di fiducia: «Questo governo sarà convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Unione europea, Alleanza atlantica, Nazioni unite». Un messaggio dimostrato più volte, non solo a parole.

Afghanistan e multilateralismo

Il primo evento internazionale organizzato dall’Italia nell’ambito della presidenza del G20 è stato il Global Health Summit di Roma. L’incontro, presieduto da Draghi insieme a Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Ue, e svolto a Villa Pamphilj il 21 maggio, si è concentrato sugli sviluppi della pandemia e della vaccinazione. La proposta lanciata da Draghi di sospendere i brevetti dei vaccini fu inserita nella Dichiarazione di Roma, ma solo su base volontaria.

Il 24 agosto 2021 si è tenuto un vertice straordinario da remoto del G7 per parlare del ritiro occidentale dall’Afghanistan, mentre il 12 ottobre è andato in scena il G20 straordinario, in cui Draghi si soffermò sull’emergenza umanitaria nel paese riconquistato dai talebani.

Il 30 e 31 ottobre 2021, invece, si è svolto a Roma il 16° vertice del G20, sotto la presidenza di Mario Draghi. I due principali impegni presi nel summit sono stati l’imposta mondiale al 15 per cento per le multinazionali tecnologiche entro il 2023 e l’accordo per aumentare al massimo di 1,5 gradi le temperature globali rispetto ai livelli pre-industriali.

Un impegno sul clima proseguito poi con la Cop26 di Glasgow, iniziata il 1° novembre e che, come aveva ammesso Draghi stesso, «dev’essere l’inizio di una nuova fase di spinta, un salto quantico nella nostra lotta contro il cambiamento climatico» che ha anche «gravi ripercussioni sulla pace e la sicurezza globali».

La presenza ai G7

Il primo vertice G7 a cui Draghi ha partecipato è stato quello tenutosi in Cornovaglia, nel Regno Unito, dall’11 al 13 giugno 2021. Un incontro tra i leader mondiali (oltre ai diversi bilaterali) che si è focalizzato in particolare sull’atteggiamento occidentale da tenere nei confronti della Cina, definita «autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali» e che «non condivide la stessa visione del mondo che hanno le democrazie» per Draghi. Tuttavia nel vertice si è discusso anche di sanità mondiale, di clima e della ripresa economica dopo la pandemia.

Poco più di un anno dopo, il 28 giugno 2022, Draghi è volato a Elmau in Germania dove si è tenuto il 48° vertice del G7. La priorità dell’evento è stata la risposta al conflitto in Ucraina, tanto che all’incontro si è collegato anche Zelensky. Il G7, come ricordato da Draghi in conferenza stampa, si è detto «pronto a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario».

I vertici Nato

Ai vertici G7 in cui ha partecipato Draghi hanno fatto seguito i summit Nato, il primo a Bruxelles nel 2021 e il secondo a Madrid. Arrivando in Belgio il 14 giugno 2021, il premier italiano ha ricordato «la centralità dell’Alleanza più potente e vincente della storia». Le azioni di deterrenza atlantiche «devono essere attuate attraverso un approccio di ampio spettro», ha ricordato Draghi, «dovremmo guardare a tutte le direzioni strategiche, dalla regione indo-pacifica a un focus costante sull’instabilità della regione mediterranea».

Ma l’invasione russa dell’Ucraina ha inevitabilmente spostato l’attenzione a est della Nato. Il vertice di Madrid del 29 giugno 2022 ha decretato il via libera per l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza e il rafforzamento del fronte orientale, ma il capo di palazzo Chigi è dovuto rientrare in anticipo per il caso scoppiato con il Movimento 5 stelle all’interno della maggioranza di governo.

L’asse Roma-Washington

Il primo incontro bilaterale tra il presidente statunitense Joe Biden e Draghi è avvenuto al margine del G7 in Cornovaglia, ma è del 29 ottobre 2021 la prima visita dell’inquilino della Casa Bianca a Roma, in occasione del G20, quando i due leader hanno parlato per circa un’ora. Biden esaltò il «lavoro straordinario» di Draghi, discutendo in particolare della lotta alla pandemia, della questione dei cambiamenti climatici e del ritiro occidentale dall’Afghanistan.

I due si sono incontrati anche il 10 maggio 2022, quando il premier italiano è volato negli Stati Uniti. In quel frangente Draghi ha ribadito la solidità dei rapporti con gli Usa e la ferma condanna della Russia per l’invasione dell’Ucraina, ringraziando poi Biden per essere «un vero amico dell’Europa e dell’Italia». Con Draghi che punse Vladimir Putin: «Pensava di dividerci ma ha fallito». Mentre Biden elogiò gli sforzi del premier «di unire la Nato e l’Ue». Per entrambi i leader, l’obiettivo dichiarato è di arrivare a una pace secondo i criteri scelti dall’Ucraina e «non a una pace imposta né da un certo tipo di alleati né da altri».

Il rapporto privilegiato con gli Usa è confermato dal fatto che una delle ultime visite internazionali di Draghi come premier è stata proprio negli Stati Uniti, dal 19 al 23 settembre.

Il rapporto con l’Europa

Il messaggio più rilevante di Draghi nei confronti di Bruxelles è arrivato il 3 maggio 2022 quando, nella plenaria all’Europarlamento, il premier ha dato una sferzata all’Ue, sostenendo la necessità di un cambiamento nelle istituzioni europee «inadeguate per la realtà che ci si manifesta oggi davanti». Nel suo intervento, infatti, Draghi ha parlato di «un federalismo pragmatico» europeo, di un percorso volto alla revisione dei Trattati e al superamento del principio dell’unanimità, in modo da arrivare a «decisioni prese a maggioranza qualificata».

Il 24 giugno, invece, nella conferenza stampa a Bruxelles dopo il Consiglio europeo, Draghi ha spiegato l’importanza del ruolo dell’Unione europea che «sta diventando quell’istituzione a cui tutti i paesi Ue guardano come una istituzione capace di dar loro stabilità e sicurezza».

Le relazioni con la Turchia

Il primo contatto diretto tra Draghi e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan risale al 23 marzo 2021, quando in una telefonata il presidente del Consiglio italiano ha discusso col suo omologo dei rapporti bilaterali, esprimendo poi «preoccupazione per la situazione dei diritti umani in Turchia».

Il 9 aprile successivo, invece, è avvenuto lo strappo. Dopo il cosiddetto “Sofagate”, la scortesia diplomatica durante la visita di Von der Leyen e Charles Michel ad Ankara, Draghi disse di essere dispiaciuto per «l’umiliazione» subita dalla presidente della Commissione Ue, definendo apertamente Erdogan un dittatore. Una dichiarazione a cui Ankara ha reagito con la convocazione dell’ambasciatore italiano a Istanbul.

I rapporti tra i due leader tornarono a essere distesi con un colloquio telefonico nel mese di settembre, mentre il 30 ottobre ci fu il faccia a faccia al margine del vertice del G20 a Roma. Un «costruttivo scambio di vedute», come riportato nella nota di palazzo Chigi, con al centro i rapporti con Bruxelles e la Libia.

Lo scorso 5 luglio, invece, si è tenuto ad Ankara il terzo vertice intergovernativo tra Italia e Turchia (il precedente risaliva al 2012), in cui Draghi ha specificato che i due paesi sono «partner, amici e alleati». In quell’occasione sono stati firmati nove protocolli d’intesa riguardanti la questione migratoria, le conseguenze della guerra in Ucraina come la crisi alimentare, la ricerca scientifica e la crisi libica.

I rapporti con Francia e Germania

Tra settembre e dicembre 2021 i rapporti tra Roma, Parigi e Berlino si sono rafforzati. Il 2 settembre, infatti, il presidente del Consiglio Draghi ha incontrato Emmanuel Macron a Marsiglia per parlare dei rapporti bilaterali, della questione migratoria, dell’Afghanistan e della Libia. Mentre il 26 novembre, a Roma, è arrivata la firma del Trattato del Quirinale davanti a Sergio Mattarella. Un accordo «storico», «risultato di un lungo e intenso negoziato», secondo il premier uscente.

Dopo il suo insediamento al governo tedesco, a Roma il 20 dicembre è arrivato il cancelliere Olaf Scholz. Al centro dell’incontro con Draghi hanno trovato spazio i temi dell’integrazione europea, la gestione della pandemia e la spinta verso una difesa comune Ue.

L’attenzione alla Libia

Il paese libico ha fin da subito rappresentato un dossier rilevante nell’agenda di Draghi. Il 6 aprile 2021 il presidente del Consiglio ha compiuto il suo primo viaggio all’estero come premier proprio in Libia, incontrando il primo ministro Abdelhamid Dabaiba e rilasciando delle dichiarazioni congiunte. Una visita poi ricambiata il 31 maggio, quando il premier libico è arrivato a Roma.

Il 12 novembre 2021, invece, Draghi ha partecipato a Parigi alla Conferenza internazionale sulla Libia, con Macron, l’allora cancelliera Angela Merkel e il primo ministro del governo di unità nazionale libico. Lì il premier italiano aveva auspicato la possibilità di elezioni libere e il ritiro dei mercenari stranieri presenti nel paese nordafricano.

La guerra in Ucraina

Quando il 24 febbraio la Russia ha attaccato l’Ucraina, il premier Draghi ha condannato nella sua informativa in parlamento «con assoluta fermezza l’invasione», giudicata «inaccettabile». Il presidente del Consiglio ha fin da subito annunciato il pieno sostegno a Kiev, auspicando la fine delle ostilità e dell’offensiva russa. Una settimana dopo, sempre nelle comunicazioni rivolte al Senato, Draghi ha parlato del conflitto come una «svolta decisiva nella storia europea».

Il 1° marzo, Camera e Senato hanno approvato le risoluzioni per l’invio di armi all’Ucraina. Il decreto è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il giorno successivo, a cui sono seguite altre tranche di forniture militari nei mesi seguenti. Pochi giorni dopo, il 10 e 11 marzo, il presidente del Consiglio Draghi è volato in Francia, a Versailles, per un summit con i capi di Stato dell’Ue sulla guerra.

Mentre, a poco meno di un mese dall’inizio dell’invasione, il 22 marzo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha tenuto un discorso in video alla Camera dei deputati. Nell’intervento successivo, Draghi ha iniziato a parlare dell’impegno italiano per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, per «superare in tempi molto rapidi la nostra dipendenza dalla Russia».

Il passaggio più importante è stato quello relativo all’ingresso di Kiev nell’Ue: «È stato sottolineato come il processo di ingresso nell’Unione europea sia lungo, fatto di riforme necessarie a garantire un’integrazione funzionante. Voglio dire al presidente Zelensky che l’Italia è al fianco dell’Ucraina in questo processo. L’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea». Una posizione forte, la più decisa tra i leader europei.

Il 16 giugno Draghi, insieme al cancelliere tedesco Olaf Scholz e al presidente francese Emmanuel Macron, si è recato a Kiev da Zelensky. Un viaggio emblematico in treno, insieme anche al presidente della Romania Klaus Iohannis, in cui i tre leader europei hanno portato la solidarietà al presidente ucraino. Anche a Kiev, dopo la visita nei teatri dei presunti crimini di guerra come Irpin, Draghi ha sottolineato la posizione di Roma: «Il messaggio più importante della nostra visita è che l’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea. E vuole che l’Ucraina abbia lo status di candidato». Nella conferenza stampa, inoltre, il premier ha poi ribadito la necessità di sbloccare i milioni di tonnellate di grano, fermi nei porti del mar Nero.

Dopo le dimissioni di Draghi, i colloqui telefonici con Zelensky sono proseguiti. Il presidente ucraino ha ringraziato il premier «per l’incrollabile sostegno all’Ucraina nel combattere contro l’aggressione russa e difendere i comuni valori europei», con la certezza che «il sostegno attivo dell’Italia al popolo ucraino continuerà».

Gli accordi sul gas

Dopo l’inizio del conflitto in Ucraina e le sanzioni occidentali alla Russia, il governo Draghi si è mosso per stringere accordi con diversi paesi per alleggerire la dipendenza energetica da Mosca. In questo contesto si inseriscono alcuni viaggi e visite del premier.

Come quello dell’11 aprile in Algeria, dove ha incontrato il presidente Abdelmadjid Tebboune firmando una Dichiarazione d’intenti sulla cooperazione bilaterale nel settore dell’energia. Insieme a Draghi erano presenti anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’ad di Eni Claudio Descalzi. La società italiana ha stretto un accordo con Sonatrach (l’azienda statale algerina) per aumentare le esportazioni di gas verso l’Italia di nove miliardi di metri cubi all’anno entro il 2023. In Algeria il presidente del Consiglio ci è tornato poi il 18 e il 19 luglio, insieme a sei ministri, in occasione del vertice intergovernativo tra i due paesi. Sono stati raggiunti 15 accordi, memorandum e dichiarazioni di intesa, con la conferma del «partenariato privilegiato nel settore energetico».

Il 20 e 21 aprile Draghi sarebbe dovuto andare in Angola e in Congo, ma saltò la visita è slittata a causa del Covid. Nei due paesi africani sono andati però Di Maio e il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, insieme sempre a Descalzi. Anche in quel caso sono stati firmati alcuni accordi per aumentare le importazioni di gas.

Anche la visita di Draghi in Israele e Palestina del 13-14 del giugno scorso si è svolta principalmente per stringere accordi energetici, premendo sul gasdotto Eastmed, a cui Israele guarda con favore. Nella conferenza stampa insieme al premier Naftali Bennett, Draghi ha detto: «Sul fronte energetico lavoriamo insieme nell’utilizzo delle risorse di gas del Mediterraneo per lo sviluppo delle energie rinnovabili». Nella successiva visita insieme al primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh, invece, il presidente del Consiglio ha annunciato la firma di sei accordi di sviluppo con la Palestina, dal valore di 17 milioni di euro.

Il 1° settembre Draghi ha accolto a Roma il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev. I due leader avevano già tenuto un colloquio telefonico l’8 marzo, in cui era stata evidenziata la collaborazione nel settore energetico tra i due paesi.

Tensione con la Cina

Tra Draghi e Putin ci sono stati diversi colloqui telefonici prima del conflitto. Dal 24 febbraio, invece, si sono sentiti solo due volte (il 30 marzo e il 26 maggio) e in entrambi i casi il premier ha tentato di parlare di pace, senza trovare sponde dal russo, «per cui i tempi non sono maturi». Nel secondo colloquio, però, Putin ha garantito il costante rifornimento di gas all’Italia.

L’unica telefonata invece avuta da Draghi con il presidente cinese Xi Jinping è stata il 7 settembre 2021, quando i due leader hanno discusso dell’Afghanistan e delle relazioni bilaterali tra Cina e Italia. Nel rapporto particolare con Pechino, pesano i cinque stop voluti dal governo Draghi - tramite il “golden power” - ai tentativi di acquisizione cinese di aziende strategiche italiane.

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