«Difenderò la Francia, i suoi interessi vitali, la sua immagine. Difenderò l'Europa, è la nostra civiltà ad essere in gioco, il nostro modo di essere liberi». Era il maggio del 2017 quando il 39enne Emmanuel Macron, appena eletto all’Eliseo, pronunciava queste parole e si apprestava a guidare la Francia.

Da allora il presidente transalpino ha cercato di lasciare una sua impronta soprattutto in politica internazionale, nei diversi fronti aperti che hanno visto l’esagono coinvolto in questi cinque anni. Un approccio espresso in maniera plastica in un’intervista fiume al think tank europeo Le Grand Continent nel 2020, che non a caso è stata subito elevata a manifestazione pura della “dottrina Macron”. 

Nel tempo le relazioni di Parigi con i più grandi attori al mondo come gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, si sono evolute, tanto più da quando è scattata l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito del Cremlino. Così come sono mutati i rapporti tra l’Eliseo e i paesi del Vecchio continente, soprattutto Germania, Italia e Regno Unito. In un lustro, poi, è cambiato anche l’approccio francese alle regioni più lontane: Indo-Pacifico e Nord Africa su tutte.

L’asse turbolento con gli Usa

La linea diretta tra Washington e Parigi negli ultimi anni ha subito alcuni forti scossoni, ma non si è mai interrotta. D’altronde – come sottolineato dal presidente Joe Biden nell’incontro ai primi di dicembre con Macron alla Casa Bianca – la Francia è «il più antico alleato degli Stati Uniti». Ma sia ai tempi di Donald Trump sia con lo stesso Biden, a causa di un progressivo disimpegno statunitense e della volontà di autonomia franco europea, tra i due paesi sono scaturite tensioni.

Il rientro alla base delle forze americane dalla Siria nel 2018, le dichiarazioni di Macron riguardo una Nato «cerebralmente morta» nel 2019, così come la disastrosa gestione del ritiro occidentale – voluto in primis dagli Usa – dall’Afghanistan nel 2021, hanno creato attriti tra i due paesi. 

Ancor più recentemente, sono due gli episodi in cui Parigi non ha nascosto il suo malcontento nei confronti degli Usa: l’affare Aukus e l’approvazione oltreoceano dell’Inflation reduction act (Ira). Nel primo caso, Washington insieme a Londra e Canberra ha formato un’alleanza in chiave anti cinese, estromettendo Parigi e vanificando la possibile vendita ultramiliardaria di sommergibili all’Australia, e il governo francese ha parlato di una vera e propria «pugnalata alle spalle». Macron, inoltre, ha in quell’occasione anche richiamato in patria i rispettivi ambasciatori dall’Australia e dagli Stati Uniti.

L’altra causa di tensione, come detto, è l’Ira: la maxi legge varata da Washington negli scorsi mesi. Un piano di investimenti contro l’inflazione che punta a proteggere posti di lavoro ed economia statunitense, con agevolazioni fiscali e sussidi, a danno anche dell’Europa. La visita di Macron a Washington di inizio dicembre è servita proprio a concordare una “risincronizzazione” del provvedimento americano, per non creare disagi all’industria francese ed europea.

La fallita mediazione tra Russia e Ucraina

Nella guerra scatenata da Mosca in Ucraina, Macron ha cercato fin dall’inizio una difficile mediazione. Dal 24 febbraio – e in realtà anche da prima – il presidente francese ha tenuto ripetuti colloqui telefonici sia con Vladimir Putin che con Volodymyr Zelensky. Uno sforzo, però, risultato vano visto il proseguimento del conflitto. 

Nel giugno scorso, Macron ha avvertito della necessità di «non umiliare» la Russia, ribadendo la necessità di mantenere un canale aperto con il Cremlino per la pace e per il futuro delle relazioni tra occidente e Mosca. Frasi che hanno causato una reazione stizzita da parte del governo ucraino. Sempre a giugno, il presidente francese insieme a Mario Draghi e al cancelliere tedesco Olaf Scholz si è recato a Kiev. Una visita in cui simbolicamente è stata dimostrata la vicinanza europea alla causa ucraina.

I tentativi negoziali di Macron sono proseguiti comunque in parallelo al supporto all’Ucraina, mai mancato da parte francese. Parigi continua a sostenere economicamente e militarmente le forze ucraine, ma secondo quanto detto da Macron in un’intervista a ottobre «a un certo punto l’Ucraina dovrà per forza negoziare, che non significa rinunciare», mentre «Putin deve mettere fine alla guerra, rispettare l’integrità dell’Ucraina e tornare al tavolo dei negoziati». 

Nello stesso periodo Macron ha condannato gli attacchi russi alle infrastrutture energetiche ucraine, parlando di «profondo cambiamento nella natura della guerra» e a inizio dicembre, dagli Usa, ha evidenziato come non verrà chiesto a Kiev «un compromesso inaccettabile». Hanno però creato scalpore le sue ultime dichiarazioni, quelle in cui ha parlato di una «futura architettura di sicurezza» nella quale bisognerà affrontare uno dei «punti essenziali, come detto da Putin», cioè la «paura russa che la Nato arrivi direttamente alle loro porte». 

Affermazioni che, oltre a irretire Kiev e i paesi Baltici, sono la conferma dell’impegno del presidente francese per trattare con Mosca. Intanto il 13 dicembre è prevista una conferenza internazionale a supporto di Kiev e della sua resistenza, il luogo stabilito è Parigi e proprio Macron ne è l’organizzatore.

La strana relazione con la Cina

Il presidente francese, tra gli sforzi intrapresi per il conflitto in Ucraina, ha cercato anche di spingere Pechino ad assumere un ruolo più rilevante nella mediazione. Nel bilaterale svolto a margine del G20 di Bali a metà novembre, Macron ha infatti chiesto al presidente cinese Xi Jinping di pressare Mosca e Putin affinché vengano avviate serie negoziazioni. 

In questi ultimi anni le relazioni tra Francia e Cina sono state ampie, soprattutto a livello commerciale. Negli ultimi anni Macron, insieme ad Angela Merkel (da cui ha preso il testimone di leader europeo), ha aperto in più di un’occasione ad accordi con il Dragone, definito un rivale ma anche un partner. Una condotta assunta da Parigi e Berlino, desiderosi di guadagnare margini di manovra per un’autonomia strategica del continente. A differenza di Berlino, però, il presidente francese è stato più netto nell’approccio con la Cina ed economicamente Parigi è meno esposta con Pechino.

Inoltre, come tutti i principali attori mondiali, anche la Francia ha alzato il livello di attenzione verso l’Indo-Pacifico. La presenza francese nella regione, dipinta come fulcro economico-sociale del prossimo futuro, oltre a mirare alla difesa degli interessi nazionali e dei residuali possedimenti oltremare di Parigi, serve al contenimento occidentale della Cina in quello spicchio di mondo. Un’attenzione esplicitata nell’Asia pacific cooperation forum di novembre, in cui il presidente francese ha incontrato diversi leader della regione, auspicando che l’Indo-Pacifico sia terreno di stabilità e cooperazione e non di sfida tra le grandi potenze.

Le tensioni con la Germania

La guerra in Ucraina ha contribuito a cambiare anche il rapporto tra le due principali potenze europee: Francia e Germania. Negli ultimi mesi il consolidato asse tra i due paesi, infatti, ne è uscito intaccato. Se è vero che Parigi e Berlino hanno firmato a novembre un accordo di sostegno reciproco, in modo da assicurarsi a vicenda forniture energetiche in casi di emergenza, la distanza emersa su altri dossier si è ampliata. 

In ambito europeo, la decisione autonoma del cancelliere Olaf Scholz di approvare a settembre uno scudo difensivo nazionale da 200 miliardi di euro per ridurre il prezzo del gas, di pari passo con l’ostruzione tedesca a un price cap europeo, è stata mal digerita da Macron. Stessa reazione dopo la scelta di Berlino di acquistare armamenti targati Usa, come gli F-35, ponendo qualche interrogativo sulla difesa europea e soprattutto sulla realizzazione del progetto franco-tedesco del Future combat air system (Fcas), per un nuovo aereo da combattimento di Dassault e Airbus.

I dissidi erano proseguiti quando Parigi ha detto “no” al progetto del gasdotto Midcat, che avrebbe collegato Spagna e Francia attraverso i Pirenei per poi sfociare in Europa centrale. Un’infrastruttura già bloccata da anni ma poi tornata in auge con le richieste di Berlino, in difficoltà con gli approvvigionamenti energetici vista la dipendenza dalla Russia e il conflitto in corso, prima del definitivo rifiuto francese a ottobre.

Macron e Scholz si sono incontrati a Parigi il 26 ottobre, per una sorta di pranzo di lavoro più che per un vero vertice bilaterale vero. L’obiettivo era provare a rimettere sui binari giusti il rapporto tra i rispettivi paesi, ma in realtà la situazione non si è sbloccata nonostante i consueti sorrisi e le strette di mano. Un incontro tenuto al posto del solito consiglio dei ministri congiunto previsto a Fontainebleau ma rimandato proprio per gli attuali contrasti.

Il riavvicinamento con il Regno Unito

La situazione con Berlino è peggiorata, mentre nelle ultime settimane Parigi si è avvicinata a Londra. Quando dall’altro lato della Manica c’era Boris Johnson, gli scontri con Macron non sono mancati. Le negoziazioni sulla Brexit sono state aspre, con Parigi che premeva dietro le istituzioni europee a favore di una linea dura nei confronti del Regno Unito. Il nodo delle concessioni di pesca alle imbarcazioni europee (e soprattutto francesi) così come le tensioni nella Manica sui migranti hanno aggravato i rapporti tra i due paesi.

La meteora Liz Truss, premier per soli 45 giorni, a fine agosto – alla fine della sua campagna elettorale – aveva espresso dubbi sull’amicizia di Macron nei confronti del Regno Unito. Una battuta che ha gelato i rapporti tra l’ex Foreign secretary britannica e il presidente francese, con quest’ultimo che ha cercato di stemperare gli animi. I due hanno poi tenuto il 6 ottobre un bilaterale in occasione del vertice della Comunità politica europea a Praga (il nuovo formato voluto proprio da Macron per ripensare i rapporti tra i paesi del continente) per calmare le acque.

Quelle della Manica, invece, sono state spesso acque agitate. Londra e Parigi il 13 novembre hanno firmato un accordo per la gestione dei flussi migratori attraverso il Canale: il Regno Unito pagherà alla Francia circa 72 milioni di euro da qui al 2024 per aumentare i controlli sulle coste francesi. Un’intesa simile a quella già stretta l’anno scorso, ma con un maggiore esborso di soldi da parte di Londra.

Il nuovo governo di Rishi Sunak, più moderato di Truss sia nelle dichiarazioni sia nell’approccio ai conti pubblici, è visto in maniera positiva da Macron, anche per necessità visti gli attuali attriti con Berlino e Roma. I due leader hanno avuto degli incontri sia alla Cop27 in Egitto che al G20 di Bali, con il presidente francese che ha invitato il premier britannico alla conferenza in sostegno dell’Ucraina del 13 dicembre. In aggiunta, è stato programmato un summit anglo-francese, il primo negli ultimi cinque anni da quando a Downing Street sedeva Theresa May.

L’allontanamento con l’Italia

Dinamica opposta, invece, nelle relazioni tra Macron e l’Italia. Con Mario Draghi presidente del Consiglio i rapporti sono stati ottimi, arrivando – sotto lo sguardo e la diplomazia del presidente della Repubblica Sergio Mattarella – alla firma del Trattato del Quirinale il 26 novembre 2021. Un accordo di cooperazione bilaterale in cui sono stati toccati tanti punti.

Il rapporto particolare è stato interrotto dalla caduta del governo Draghi e dall’avvento di Giorgia Meloni. A poche ore dal suo insediamento, il 23 ottobre la premier italiana ha tenuto un incontro informale con Macron a Roma. In quell’occasione il francese in un tweet si è quasi giustificato agli occhi del proprio paese per aver incontrato Meloni: «È in quanto europei, paesi confinanti, che con l’Italia dobbiamo proseguire il lavoro intrapreso. Farcela insieme, con dialogo e ambizione, è ciò che dobbiamo ai giovani e ai nostri popoli».

E sono bastati pochi giorni per far scattare le prime tensioni tra Francia e Italia con il caso della Ocean Viking, la nave ong fatta attraccare a Tolone dopo il rifiuto del governo di Meloni di far sbarcare le 234 persone a bordo. La conseguenza è stata la sospensione francese del meccanismo volontario di ricollocamento dei migranti in Europa. Una vera crisi diplomatica, con dichiarazioni al veleno da entrambe le parti. Per il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, Roma ha avuto un «comportamento inaccettabile», mentre Meloni ha parlato di reazione «ingiustificata» e «aggressiva» da parte di Parigi.

I tentativi di mediazione dell’Unione europea e di Mattarella, che ha sentito al telefono Macron per provare a ricucire lo strappo, non sono stati del tutto fruttuosi. La sensazione è che anche il presidente francese dovesse far vedere alla propria opinione pubblica una postura rigida sia nei confronti dell’immigrazione sia verso il governo di destra a guida Meloni. 

Gli occhi sull’Africa

Nonostante la crisi e le leadership contrapposte, Parigi e Roma sanno che devono spalleggiarsi nelle battaglie in ambito europeo, per esempio sul nuovo Patto di stabilità o sul confronto con i paesi frugali. Tra gli interessi nazionali di Francia e Italia, inoltre, c’è l’attenzione verso il Nord Africa e il Sahel, dossier su cui spesso sono state schierate su posizioni diverse.

Macron il 9 novembre scorso ha ufficializzato la fine dell’operazione Barkhane nei paesi subsahariani, anche se già da agosto i militari francesi si sono ritirati dal Mali. Alcune migliaia di soldati rimarranno comunque in Niger, Ciad e Burkina Faso per affiancare le forze locali, con compiti però ridimensionati. 

Il nuovo corso che il presidente francese si è impegnato a dare alle relazioni tra Francia e Africa stenta a decollare, nonostante varie iniziative. A febbraio Macron ha ospitato il vertice tra Ue e Unione africana, dove sono stati decisi importanti investimenti da Bruxelles verso il continente africano. Il primo viaggio ufficiale dall’inizio del secondo mandato di Macron è stato proprio in Africa a fine luglio, tra Camerun, Benin e Guinea-Bissau dove il capo dell’Eliseo ha discusso di sicurezza, mentre ad agosto è volato in Algeria.

A novembre, invece, il presidente francese a Bali ha spinto per una «piena e intera integrazione dell’Unione africana nel G20». Segnali significativi della volontà di Macron e di Parigi di mantenere una certa influenza nel continente africano, malgrado il ritiro dal Mali.

Come illustrato nella sua dottrina, i progetti a lungo termine non mancano al presidente francese e le sue mosse con gli altri attori mondiali lo dimostrano. D’altronde, oltre a essere leader della Francia, oggi Macron è anche «il leader dell’Europa». Parola di Biden.

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