Sono 17 le vittime nel quinto giorno di protesta in Iran. Tra queste ci sono manifestanti, un poliziotto e un membro delle milizie filogovernative. Le manifestazioni sono scoppiate dopo la diffusione della notizia della morte in carcere di Mahsa Amini, una giovane ragazza di 22 anni del Kurdistan iraniano che è stata arrestata a Teheran dalla polizia morale per «abbigliamento inadeguato». Amini non aveva indossato il hijab, ovvero il velo che nell’Islam copre i capelli alle donne lasciando scoperto solo il volto.

In Iran indossare il velo è obbligatorio e a vigilare sul rispetto della norma ci pensa la polizia morale. «Questa è solo una piccola parte dell’orrore che viviamo ogni giorno per via dell’obbligo del velo. Per il peccato di essere una donna in uno stato islamico», scrive un’utente su Twitter pubblicando un video in cui si vedono degli agenti caricare in macchina le donne che camminano per strada senza il hijab.

Le proteste sono partite dalle regioni nord-occidentali del paese popolate principalmente da curdi ma poi si sono diffuse in almeno cinquanta città. Si tratta delle più grandi manifestazioni da quelle del 2019 quando gli iraniani sono scesi in piazza per protestare contro l’aumento del prezzo della benzina.

Negli ultimi giorni sono stati pubblicati su Twitter centinaia di video in cui si vedono delle donne che si tagliano i loro capelli in piazza con delle forbici davanti alla folla che grida: «A morte il dittatore». In altri, invece, si vedono ragazze che gettano il velo – indossato obbligatoriamente dalle donne secondo la legge vigente in Iran – su un fuoco.

Le limitazioni a internet

Secondo quanto riportato dal gruppo curdo per i diritti umani Hengaw sono almeno dieci i manifestanti uccisi ma i dati non sono ancora confermati in maniera indipendente.

Per cercare di sedare le proteste le autorità iraniane hanno limitato l’accesso a internet e ai social network, per ridurre le capacità organizzative dei manifestanti e nascondere all’Occidente cosa sta accadendo nel paese.

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