Da quando è iniziato il conflitto armato in Ucraina, una domanda è ricorrente nelle nostre menti: “Putin è un pazzo o è un lucido, cinico autocrate che ha premeditato da lungo tempo questo attacco?”

L’analisi storica e delle fonti archivistiche dei discorsi di Putin, dei documenti ufficiali di politica estera e di difesa, delle sintesi delle conferenze stampa e altro ancora, possono costituire un punto di partenza sufficientemente attendibile per cercare di rispondere a questa domanda.

Ogni guerra è, comunque, una pazzia, da ripudiare senza indugio, ma Vladimir Putin ha un background formativo e una forma mentis, che come molti suoi oppositori e nei media russi descrivono, è specifica del “čechista” (Storia di un čekista di Kenji Albani).

Diverse volte il presidente russo è intervenuto per descrivere e analizzare alcuni avvenimenti storici considerati importanti per la comprensione delle scelte politiche del Cremlino, tali, quindi, da essere diffuse per garantirsi un certo grado di consenso dell’elettorato.

Come abbiamo più spesso ricordato, il primo monito all’Occidente risale alla conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007 dove Putin critica l’unilateralismo americano e ritiene indispensabile riflettere con le altre potenze il nuovo assetto internazionale, scaturito dalla fine della Guerra fredda.

Nel 2020 Putin ancora una volta indossa gli abiti dello storico per affrontare il tema della visione di alcuni paesi dell’Europa orientale, soprattutto la leadership polacca, che attribuiscono una responsabilità dell’URSS nello scoppio della Seconda guerra mondiale e interpretano il patto Molotov-Ribbentrop come un’alleanza vera e propria tra Iosif Stalin e Adolf Hitler. 

Questo articolo è stato pubblicato nella rivista americana di orientamento conservatore National Interest e intitolato “The real lessons of the 75th Anniversary of the World War II”.

Tuttavia, è l’articolo del 12 luglio 2021 che sposta la riflessione del presidente russo dal piano internazionale a quello più domestico, descrivendo le origini storiche dei rapporti tra i russi e gli ucraini come l’assenza di un’identità ucraina distinta da quella russa: una forte considerazione che ha espresso la settimana scorsa nel suo discorso alla nazione.

Tutti russi?

Vediamo i tratti essenziali. In primo luogo, per giustificare l’unica identità etnica e religiosa da cui discendono russi, bielorussi e ucraini, il presidente Putin parte dalla ricostruzione del processo storico a partire dalla Rus’ di Kiev. Afferma, infatti, il presidente: «russi, ucraini e bielorussi discendono dall’antica Rus’, che all’epoca era il più grande stato in Europa. Gli slavi e le altre tribù che vivevano in questo vasto territorio – da Làdoga, Novgorod e Pskov a Kiev e Černigov – erano uniti da un’unica lingua (che oggi chiamiamo russo antico), da relazioni economiche, dal governo dei principi della dinastia dei Rjurik e – dopo il battesimo della Rus’ – dalla fede ortodossa. La scelta spirituale fatta da san Vladimir, principe di Novgorod e granduca di Kiev, determina ancora oggi la nostra affinità».

In questo caso è stato omesso il riferimento ai contrasti tra i diversi principati componenti la Rus’ e le conseguenze dell’invasione mongola del XIII secolo che contribuisce a un lungo processo di differenziazione tra gli slavi orientali.

In secondo luogo, il presidente Putin sottolinea l’importanza del fattore linguistico e religioso nella preservazione di un’unica identità quando sostiene che: «È importante notare che sia nei territori russi occidentali che in quelli orientali si parlava la stessa lingua. La religione era quella ortodossa. Fino alla metà del XV secolo la chiesa ortodossa rimase unificata. Nella fase successiva, la Rus’ di Lituania e la Rus’ di Mosca si contesero il ruolo di polo d’attrazione dei territori dell’antica Rus’. Mosca divenne il centro della riunificazione, continuando la classica tradizione statuale russa».

In terzo luogo, il leader russo attribuisce le cause della differenziazione della «grande nazione russa» (bolshaja russkaja natsija) in successione temporale alla Polonia, l’Austria-Ungheria e ai bolscevichi che avrebbero determinato “peculiarità linguistiche regionali, che a loro volta hanno generato idiomi locali”.

Non solo, Putin sostiene convintamente che «tra l’élite polacca e parte dell’intelligenzia della Malorossija iniziava a prendere forma l’idea di un popolo ucraino come nazione separata dalla Russia. Dal momento che questa tesi non si fondava su alcuna base storica, perché non poteva esserlo, la si cercò di provare con qualsiasi pretesto. Ci si spinse perfino a sostenere che i veri slavi fossero gli ucraini e non i russi, i moscoviti. “Ipotesi” simili diventarono sempre più armi usate per scopi politici dagli stati europei».

La teoria del complotto

Tuttavia, la critica più feroce è rivolta alla politica delle nazionalità di Ivan Lenin e della costruzione di comunità nazionali che hanno dissolto lo spazio post-imperiale indebolendo la Russia e rafforzando l’Ucraina alla quale sono stati annessi dei territori, dal bacino del Donbass alla Bucovina e Transcarpazia fino alla Crimea ceduta nel 1954 da Nikita Chruščëv. Putin (o il suo ghostwriter …) scrive che “non ha più importanza quale fosse esattamente l’idea dei bolscevichi che hanno tagliato il paese in pezzi. Si può non essere d’accordo sui dettagli minori, sul contesto e sulla logica di alcune decisioni. Ma una cosa è chiara: la Russia di certo è stata derubata”.

E da questa considerazione cambia il tono delle valutazioni di Putin che ribadisce come la Federazione russa abbia, comunque, rispettato l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991 e abbia fornito un contributo indispensabile e determinante per lo sviluppo economico del paese.

A chi attribuire, quindi, la causa di questo sentimento antirusso presente nell’Ucraina? La risposta del presidente è: «estremisti e neo-nazisti hanno coltivato ambizioni ancora più sfrontate. Sono stati assecondati dalle stesse autorità e dagli stessi oligarchi che hanno derubato gli ucraini e portato i soldi nelle banche occidentali, gente pronta a svendere la patria pur di proteggere il proprio capitale. A questo va aggiunta la debolezza cronica delle istituzioni statali e il fatto che l’Ucraina è un ostaggio volontario di ambizioni geopolitiche altrui».

Questo passaggio ci fornisce un indizio molto concreto di un disegno strategico del presidente Putin, volto a “riprendersi” l’Ucraina in qualsiasi modo.

Dimostra anche quanto siano correlate le dinamiche politiche interna ed estera perché nel testo riscontriamo la volontà di rimettere in discussione i confini attuali, paragonando Putin come discendente di Aleksandr Nevskij («Furono i principi moscoviti – discendenti di Aleksandr Nevskij – a porre fine al giogo straniero e a riunificare i territori storicamente russi»). Infine, i termini utilizzati da Putin sono riconducibili alla tradizione del nazionalismo russo (si veda Il nazionalismo russo, 1900-1914: identità politica e società di Giovanni Savino) di inizio del Novecento per rappresentare la Russia contemporanea come una grande potenza che vuole rivendicare il proprio ruolo nell’ordine internazionale.

L’uso politico della storia

Da quando Vladimir Putin è diventato presidente della Federazione russa è sempre ricorso all’uso pubblico della storia come strumento per cercare una legittimità e continuità con il passato, selezionando con scrupolo gli avvenimenti più patriottici.

Dalla riscrittura dei manuali di storia a partire dal 2004, alla realizzazione di monumenti, il rifacimento del Parco della Vittoria, dedicato la Grande guerra patriottica e al trionfo su Napoleone, ma soprattutto i costanti riferimenti all’ eredità imperiale costituiscono i tratti salienti della retorica putiniana, che evita di glorificare alcune pagine drammatiche della storia sovietica.

Che sia frutto di una “magnifica ossessione” o di un disegno razionale, il nazionalismo russo è costituito da componenti etniche linguistiche e religiose che lo “Tsar Putin” si prefigge di difendere a qualunque costo.

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