Sembra una spy story è invece è un nuovo episodio della lotta senza quartiere che il regime iraniano sta conducendo contro gli oppositori e i dissidenti anche residenti all'estero. La giornalista della Voice of America in persiano e attivista iraniano-americana, Masih Alinejad, è finita nel mirino di una rete dell'intelligence di Teheran che voleva rapirla nella sua casa nel quartiere di Brooklyn e portarla attraverso una tappa via mare con un fuoribordo d'altura in Venezuela e successivamente in Iran.

È l'accusa delle autorità Usa nei confronti di quattro iraniani, di cui almeno un agente segreto dell'Iran. I documenti depositati rivelano un piano molto dettagliato, quasi da storia hollywoodiana, contro la donna, nata in Iran, critica del regime di Teheran ed emigrata negli Stati Uniti nel 2009, subito dopo la contestata elezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad che sfociò in manifestazioni di massa dei giovani iraniani contro i presunti brogli, poi represse nel sangue dai Guardiani della Rivoluzione (pasdaran) e dai Basij.

Il piano "rientra nel complotto dell'Iran per prendere di mira i dissidenti che si oppongono alle violazioni dei diritti umani del regime", si legge nell'accusa riportata dai media americani e anglosassoni tra cui il New York Times e il Guardian.

Più in dettaglio quattro membri di una presunta rete di spionaggio iraniana negli Stati Uniti sono stati incriminati dalla Procura con l'accusa di aver tentato di organizzare un rapimento di una giornalista e attivista iraniano-americana che vive a New York. Secondo l'incriminazione, il piano prevedeva di prelevare la donna dalla sua abitazione a Brooklyn per portarla con un motoscafo veloce in alto mare dove sarebbe stata imbarcata su una nave diretta in Venezuela, paese alleato dell'Iran.

Il complotto e la diplomazia

Tra gli incriminati vi è Alireza Shavaroghi Farahani, alto funzionario dei servizi di Teheran, accusato di aver organizzato il complotto e coordinato il lavoro degli altri tre agenti. Si ritiene che tutti gli incriminati siano attualmente in Iran. È stato invece arrestato all'inizio del mese un iraniano americano, Niloufar ''Nellie'' Bahadorifar, che vive in California, accusato di aver fornito sostegno finanziario al complotto. La vicenda è stata resa nota dopo che il presidente Joe Biden, come riportato da questo stesso quotidiano, alla fine del mese scorso ha ordinato attacchi aerei contro le milizie sostenute dall'Iran in Siria e Iraq, dicendo al Congresso che ha agito per difendere il personale militare americano e scoraggiare gli attacchi iraniani.

Allo stesso tempo, i due paesi stanno lavorando a Vienna nella sede Onu dell'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica per la resurrezione di un accordo del 2015 per limitare l'uso dell'energia nucleare iraniana a soli scopi civili e pacifici.
Il capo dell'ufficio dell'Fbi di New York, William Sweeney, ha ammesso che le incriminazioni potrebbero sembrare come «la trama di un film d'azione esagerato». Ma ha confermato la solidità delle accuse: «Riteniamo che il gruppo che, sostenuto dal governo iraniano, ha cospirato per rapire una giornalista che vive negli Stati Uniti e riportarla con la forza in Iran».

Nelle carte processuali non si fa il nome della "vittima 1", come viene identificata, ma Masih Alinejad, un'oppositrice del regime iraniano che vive a New York, ha confermato che era lei l'obiettivo del complotto. «Circa otto mesi fa, l'Fbi mi ha avvisato che c'era un complotto contro di me - ha detto al Guardian in una mail - io ho risposto che non era una novità perché ricevo minacce di morte ogni giorno, ma mi hanno spiegato che ero sotto controllo in un'operazione del ministero dell'intelligence». L'attivista ha spiegato che lei e i suoi familiari vivono ora sotto protezione.

«Tutto ciò dimostra che non hanno paura dell'America - hanno paura di me», ha detto Masih Alinejad al New York Times, aggiungendo: «Altrimenti, non manderebbero nessuno qui a rapirmi».

Prima del piano del trasporto in Venezuela via mare, gli agenti iraniani avevano cercato di convincere membri della famiglia della vittima ad attirarla in un paese del Medio Oriente dove poteva essere rapita da agenti iraniani con più facilità, uno stratagemma usato due volte recentemente dai servizi di Teheran che sono riusciti a catturare due dissidenti, il primo Ruhollah Zam fermato in Iraq, consegnato a Teheran e poi giustiziato in Iran con l'accusa senza evidenze di essere una spia occidentale e l'altro, Jamshid Sharmahd, sparito misteriosamente a Dubai e poi apparso pochi giorni dopo in un carcere iraniano dove è ancora detenuto.

Il progettato rapimento di Alinejad a questo punto rientrerebbe, secondo gli inquirenti americani, in un più esteso programma dell'intelligence iraniana di portare a termine sequestri di dissidenti e oppositori, residenti all'estero, in particolare anche in Canada, Gran Bretagna e Emirati Arabi Uniti. Un elemento che non faciliterà i colloqui sul nucleare a Vienna, di cui Alinejad è un fervente oppositore.

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