Il tempo è inesorabile, passa per tutti, anche per la monarchia britannica. L’incoronazione di Re Carlo III è emblematica di come la percezione attorno alla famiglia reale in parte sia rimasta la stessa e in parte sia cambiata, nel Regno Unito e in tutto il mondo, rispetto a decenni fa, quando nel 1953 a ricevere la corona era stata Elisabetta.

La cerimonia

«Sono qui per servire e non per essere servito» ha dichiarato re Carlo III all’inizio della cerimonia in cui lui e la regina Camilla hanno ricevuto la corona. Anche questa volta, già da giorni, gli affezionati alla casata si sono stipati lungo il Mall, nel tragitto da Buckingham Palace a Westminster, per guadagnare una perfetta postazione da dove guardare la processione dei reali. Il centro di Londra è stato paralizzato dalle misure di sicurezza, con la chiusura di alcune stazioni metro, per l’arrivo di migliaia di sudditi.

Ci sono state differenze sostanziali rispetto all’incoronazione di Elisabetta, a partire dalle proporzioni: se nel 1953 alla cerimonia erano state invitate più di 8000 persone, per re Carlo sono state solo 2000 a partecipare al rito.

Tra esse decine di membri di famiglie reali di tutto il mondo, dalla Svezia al Giappone, dal principato di Monaco ai Paesi Bassi. Presente anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nell’abbazia di Westminster, in terza fila, si è seduto anche il duca di Sussex Harry, arrivato a Londra senza la moglie Meghan dopo le vicissitudini con la famiglia e la pubblicazione del famoso libro The Spare.

Anche la durata delle cerimonie, profondamente legate alla Chiesa anglicana, è diversa: re Carlo ha praticamente dimezzato le tempistiche, anche grazie a un percorso del corteo più breve, rispetto a quanto fatto nel 1953. Carlo ha spinto per snellire la cerimonia dell’incoronazione, per cercare di renderla più moderna e inclusiva, in modo da dare un’immagine più contemporanea alla monarchia e meno ancorata a retaggi del passato. Lo stesso re, tra l’altro, si è proclamato “difensore delle fedi”, non solo di quella anglicana, proprio per essere più inclusivo e aperto ai cambiamenti intercorsi negli ultimi decenni.

Non sono mancate le critiche sui soldi spesi, più di 100 milioni di sterline secondo alcune analisi. A non essere cambiato, invece, è stato il clima di Londra: la pioggia che ha accolto i reali nel 2023 e nel 1953, infatti, è rimasta praticamente la stessa. In giro per la città sono stati installati diversi maxischermi per permettere ai sostenitori della monarchia, avvolti in bandiere, spille e corone di cartone, di assistere. Un evento che, come come 70 anni fa, è stato trasmesso in diretta televisiva in tutto il mondo: le stime hanno previsto un pubblico complessivo di circa 300 milioni di persone, a conferma dell’attrazione che la monarchia britannica ancora suscita, nonostante alcune difficoltà.

Proteste e consensi

Ad aumentare invece sono stati i controlli, le telecamere e gli agenti, messi sul campo con ordini precisi e una tolleranza molto limitata. Tanto che prima della cerimonia sono stati arrestati sei esponenti del gruppo anti-monarchico “Republic”, tra cui il leader Graham Smith, intenti a inscenare una piccola protesta a Trafalgar Square.

Il consenso attorno alla famiglia reale nel corso degli anni è sceso, un calo da ricercare in una frattura intergenerazionale. Secondo un recente sondaggio di YouGov, sei britannici su dieci hanno affermato di voler continuare con la monarchia, mentre uno su quattro (il 25 per cento, numero in crescita) preferisce avere un capo di stato eletto democraticamente. Ma le differenze per fasce d’età sono significative: nella fascia degli over 65 chi si dichiara favorevole a mantenere la monarchia raggiunge il 79 per cento, contro solo il 36 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni.

Un’altra ricerca di YouGov ha inquadrato i sentimenti delle minoranze etniche nel Regno Unito riguardo la monarchia. Nel sondaggio la divisione è quasi perfetta: il 39 per cento degli intervistati, infatti, ha affermato di preferire un capo di stato eletto, mentre il 38 per cento ha dato il suo sostegno alla monarchia.

Le difficoltà del Regno e l’impegno di Carlo

Il paese è innegabilmente ancora monarchico, ma il favore dei giovani è necessario per mantenere vive le tradizioni e la famiglia reale lo sa, Carlo compreso. Anche per questo si è fatto promotore di alcune cause più vicine alle nuove generazioni, come la lotta al cambiamento climatico e l’attenzione verso l’ambiente.

Un segnale inaspettato di unione è arrivato dall’Irlanda del Nord, in subbuglio dopo la Brexit. La nazionalista Michelle O’Neill, first minister designata, è infatti volata a Londra per partecipare all’evento, prima volta per un leader dello Sinn féin. Un segnale di riconciliazione che ha causato malumori tra i nazionalisti, ma motivato da O’Neill come un atto necessario per avvicinare le due comunità nordirlandesi (e soprattutto per migliorare la sua immagine davanti agli unionisti).

Intanto, in alcune nazioni del Commonwealth – in particolare in Australia – il cui capo di Stato rimane ancora il monarca britannico le spinte a favore di una forma repubblicana aumentano, soprattutto dopo la morte di Elisabetta che era riuscita a mantenere unito il Regno. Ma i tempi sono cambiati e ora la sfida è tutta di re Carlo.

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