La città è vacante eppure assediata, strade deserte e turisti che brulicano. Sirene, elicotteri bassi e campane. Macchine nere con lampi blu annunciate da moto con altoparlanti: fermati, accosta. Ci bloccano all’incrocio di via dei fori imperiali, tra rovine e tramonto. Un signore si incazza: sarà un politico, il papa era più contento se stava a casa.

Roma che accoglie e deride, che è pronta a tutto, soprattutto all’eternità delle cose epocali e uniche, e che però riaccadono, perché proprio questa è la loro indecifrabile regola.

Domani vado a lavorare di corsa (il barista), domani non esco di casa (una studentessa), domani poso il taxi che è meglio (una tassista). Domani se buttano una bomba risolvono ogni problema, ma tanto alla fine sono tutti uguali (non è vero, ma non interrompo il fornaio).

Roma eterna, immorale e innamorata, grata e spaventata, che si prepara ai funerali di un immortale appena morto, del papa, di Francesco Bergoglio, il gesuita che in tanti hanno pensato francescano perché vicino alla periferia dell’umanità, agli ultimi che però saranno primi.

Qual è il centro

Domani che nel frattempo è diventato oggi, già alle sei di mattina la città è irriconoscibile, militarizzata. Decido di andare presto a San Pietro, non voglio stare lontana, ma lontana da cosa, dal centro? E il centro quale è? La bara essenziale, i cardinali, i capi di stato?

Tantissima polizia e volontari, sicurezza e protezione civile, ambulanze, tende della Croce Rossa montate in slarghi e piazze – cosa si aspettano? Si chiede la signora che mi cammina accanto. Bisogna avere paura? È per la vostra sicurezza, risponde una giovane in divisa. Quanta libertà abbiamo sacrificato in nome della sicurezza, mi dice la signora prima di salutarmi.

Le strade piene di nastri gialli e cordoni umani fluorescenti, polizia vigili urbani corpi speciali: dobbiamo diventare adulti, l’Occidente deve diventare adulto. E forse ritrovarsi senza padre è l’unico modo, perché è morto un simbolo, non solo il papa… sostengono due argentine sui cinquanta.

Sono venuto perché è un fatto unico, sono una suora contemplativa e mendicante, sono venuto perché bisogna fare dei gesti, sono qui perché non faccio abbastanza e quest’assenza mi fa soffrire. Che significa essere cristiani oggi, e cattolici? Silenzio. Ma è davvero un lutto o l’ennesimo spettacolo? Non è mai chiaro come si costruisce la realtà, tantomeno la sua memoria: esserci o connettersi? La presenza o la rete? Cerco di individuare il dolore e le lacrime annunciate: l’altro giorno davanti alla salma di Bergoglio un gruppo di suore nel perimetro riservato alle autorità si faceva foto ricordo, nonostante i divieti. Cerco un po’ di emozione. Cerco un po’ di senso, cerco un lacerto di sacro che mai come oggi appare l’irrinunciabile estensione della nostra umanità.

Per questo siamo qui, no? Per essere parte di un rito che ancora oggi la Chiesa riesce a mantenere vivo, e che permette a tutti, atei compresi, di rendere reale ed elaborabile la morte, e con lei il trascorrere del tempo.

«Santo subito!»

Arrivo a via San Pio X, non si può passare. Pensavi di essere sola? Dice infastidito un ragazzo alla fidanzata che si lamenta del caldo della fila della gente, ma ecco una poliziotta in borghese che indica un’altra via: andate verso piazza pia, con calma, senza correre. Una giovane svedese urla: santo subito papa Francesco, ha i capelli blu, un grosso anello al naso, un vestito nero di rete. Passo il metal detector con una ragazza che tiene stretta una Nikon. La guardo, mi parla: io non sono una brava cristiana, ma ogni volta che ho ascoltato questo papa ho trovato una risposta. Sono qui per ringraziarlo, per salutarlo.

Da dietro, intanto: volevo vedere Trump, ma da dove stiamo noi che vuoi vedere? Serviva un pass, dovevamo chiedere un favore.

Ogni volta che mi fermo, la protezione civile mi dice di spostarmi, occupo sempre una via d’uscita. Mi siedo per terra tra preti e scout bambini, voglio essere come loro, credere, non voglio sembrare una turista, una curiosa.

Nel casino squilla la voce di una suora: Ragazzi, silenzio! Ci prepariamo a un funerale, lo so, eravamo venuti per un viaggio di gioia, doveva essere la vostra festa il giubileo degli adolescenti… Vi chiedo però di raccogliervi e dare al papa la cosa che vi sta più a cuore, così che la porti a Dio, e mi auguro che questa giornata vi possa far tornare a casa ancora più vivi.

Il silenzio, all’improvviso

La solennità non sarà forse questa sconfinata comunità riunita qui in cerca di qualcosa – senso, umanità, sentimento religioso? Tra tanta distrazione serve attenzione, concentrazione, il rito la reclama.

La preghiera rimbomba dagli altoparlanti insieme ai gabbiani e alle sirene ed improvviso ecco il silenzio, la condizione che precede l’ascolto. Ora c’è solo il suono dell’acqua delle fontane e il vento tra le foglie, la primavera. È iniziata la liturgia, quel mistero che permette a tutti il dialogo con un Dio vivente altrimenti muto; quel Dio che assumendo voci sempre diverse continua a parlarci, chiedendoci di fare silenzio, oppure al contrario, ricordandoci di fare ancora più rumore.

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