Cosa ha in mente davvero Vladimir Putin? Forse non sarà la restaurazione dell’Unione sovietica, ma una riedizione dell’ambizione imperiale della Russia zarista.

Una sfera di influenza che passa dalle pianure dell’Ucraina alle coste del Mediterraneo, dalla Siria ai deserti della Libia, dal Centrafrica al Sahel. Una sfida inedita dalla caduta del Muro di Berlino che mette in discussione gli equilibri con le democrazie occidentali.

Per raggiungere questo obiettivo Putin sta usando l’arma del gas per costringere l’Europa e l’Italia a più miti consigli di fronte alle richieste russe. Come?

Le tensioni sul Donbass ucraino stanno continuando a far salire il prezzo del gas che ad Amsterdam ha raggiunto gli 83,5 euro MWh con un rialzo del 4,34 per cento. Così i 50 miliardi di euro annui che il Cremlino incassa dalla Ue per le forniture di gas sono destinati a salire.

Non solo. Da Mosca l’ex presidente russo Dimitri Medvedev, di fronte alla sospensione del cancelliere tedesco Olaf Scholz della licenza al Nord Stream 2, il secondo gasdotto che collega la Russia alla Germania passando nel mar Baltico, ha twittato così: «Benvenuti nel nuovo mondo in cui gli europei molto presto pagheranno duemila euro per mille metri cubi di gas».

Una minaccia di ritorsione che non lascia dubbi sulle reali intenzioni di Mosca, principale fornitore energetico dell’Europa. Poco importa che il premier dell’Ucraina abbia detto di avere oltre 10 miliardi di metri cubi di gas in stoccaggio.

La resa di Cingolani

Che dice l’Italia di fronte a questo scenario drammatico per la nostra manifattura e indipendenza energetica? «Nei fatti siamo totalmente dipendenti dall’import del gas» ha ammesso il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, ma è in corso «un intenso lavoro sulle forniture che potrebbero essere incrementate», con l’obiettivo di ridurre «una dipendenza così forte dalle importazioni dalla Russia, circa il 45 per cento, che soprattutto in questo momento va a detrimento della sicurezza e indipendenza energetica nazionale».

Cingolani ha parlato alla Camera nel corso di un’informativa sulla situazione dei costi dell’energia. «Al momento la situazione è di monitoraggio costante» e «a livello nazionale si è riunito già più volte il Comitato gas per analizzare gli scenari», ha detto, che potrebbero richiedere tra le ipotesi maggiore flessibilità nei consumi gas per le industrie, regole sul settore termoelettrico di produzione. In prospettiva resta l’aumento dell’import attraverso gasdotti come Tap, Transmed, GreenStream, «che non sono a piena capacità», ha precisato il ministro.

L’“altro” gas

Dunque oltre al gas russo c’è il gas del Tap (Trans Adriatic Pipeline) dal mar Caspio, precisamente dall’Azerbagian. Ma dopo la seconda guerra del Nagorno-Karabakh la Russia ha inviato delle sue “forze di pace” ai confini tra i due stati caucasici. In questo modo il Cremlino controlla, seppur indirettamente, l’area di produzione e passaggio del gasdotto da cui l’Italia ha ottenuto nel 2021 sulle coste pugliesi 5,6 miliardi di metri cubi di gas naturale.

Poi, come indicato dal ministro Cingolani, abbiamo la conduttura Transmed (lunga 2.000 km) che collega l’Algeria all’Italia attraversando la Tunisia (paese recentemente scosso da forti tensioni sociali) fino a Mazara del Vallo. L’Algeria è il nostro secondo fornitore di gas naturale, con il 21 per cento del totale importato. Ma potrebbe non essere sempre così.

Nella nostra mano di carte energetiche c’è anche il gasdotto GreenStream, proveniente dalla Libia che arriva a Gela e rifornisce il 6,2 per cento del nostro import. Ma la Libia del dopo Gheddafi è una terra senza pace e di scontri tra clan e anche qui è giunta l’ombra lunga di Mosca attraverso i miliziani della Wagner, un esercito formalmente privato ma agli ordini del Cremlino che sono presenti in Libia e in particolare nella Cirenaica. Il GreenStream trasporta il gas estratto dal deserto libico. Ma fino a quando?

Poi c’è un altro 10 per cento di import di gas proveniente dal Qatar, stretto alleato della Turchia di Erdogan, a sua volta presente massicciamente in armi e droni in Libia e precisamente in Tripolitania. Un altro 10 per cento lo importiamo dalla Norvegia e un 2,5 per cento dagli Stati Uniti. Il resto è produzione nazionale.

In questo quadro molto complesso la nostra dipendenza dal gas russo è salita dal 43 per cento al 45 per cento. Esattamente il contrario di quanto fatto dai polacchi che hanno ridotto la loro dipendenza da Mosca e di quanto avremmo dovuto ovviamente fare.

La prospettiva EastMed

Per uscire da questo “accerchiamento” russo che controlla quasi tutti i “rubinetti” del gas importati in Italia, Roma ha spinto a livello europeo sul progetto chiamato EastMed, un gasdotto che dovrebbe collegare la rete europea agli enormi giacimenti di gas offshore scoperti a Cipro (isola divisa dal 1974 in due zone di influenza), Israele e in Egitto.

Questa opera permetterebbe di evitare sia la Russia sia la Turchia collegando la rete di Nicosia a quella europea. Ma La Turchia di Erdogan, alleato di Putin in Siria, si oppone alle ricerche di idrocarburi nelle acque greche-cipriote. L’EastMed invece sarebbe un progetto strategico una volta collegato al Poseidon, il gasdotto che collegherà la Grecia all’Italia. Ma ci vuole una forte volontà politica e capacità di pianificazione.

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