È tornato il silenzio a Kherson, nell’Ucraina meridionale e nella prima grande città che è stata occupata dai russi. «Negli ultimi due giorni i bombardamenti sono diminuiti. Approfitto di queste ore di tranquillità per andare a cucinare il borsch per le mie figlie», racconta Tania. Ha poco più di 40 anni e ha passato 36 ore chiusa in bagno con le sue due figlie di 19 e 9 anni, Anna e Maria.

«Era l’unico posto della casa senza finestre dove ci sentivamo più al sicuro. Abbiamo trascorso in bagno anche la notte. Non mi vergogno a dire che ci siamo tutte imbottite di tranquillanti. Li ho dati anche alle mie figlie», dice. La mattina del primo marzo a Kherson è stato colpito un palazzo abitato da civili che si trovava proprio accanto alla sua abitazione. Poco dopo è andata distrutta la Scuola 24 che Anna frequentava prima di andare all’università.

Supermercati vuoti

Il 2 marzo i carri armati russi sono entrati nel centro di Kherson, come testimoniano anche le foto condivise da chi ci vive. La città ha un’importanza strategica, trovandosi tra la Crimea e Odessa, sulla foce del fiume Dnepr, nell’Ucraina meridionale. 

La sera dello stesso giorno il sindaco di Kherson, Igor Kolihaev, ha ammesso la resa. Poco dopo ha pubblicato le nuove “regole” che avrebbe concordato con i militari russi: «Potrà entrare in città soltanto chi trasporta medicinali, cibo e farmaci», «per strada si potrà camminare in una, massimo due persone, senza creare assembramenti e provocare i soldati russi». Dopo poco tempo è stato diffuso l’elenco con i supermercati che avrebbero riaperto il 3 marzo.

«Qualche negozio ha aperto, ma davanti ci sono file chilometriche di persone. Stanno vendendo le scorte che avevano in magazzino. Ancora non è arrivata la merce dai depositi. Molti supermercati hanno chiuso nel giro di poche ore perché avevano finito tutto», dice Natalia, un’imprenditrice.

Dal 24 febbraio, giorno dell’invasione decisa da Vladimir Putin, i negozi non sono più stati riforniti. Dai gruppi Telegram dei vari quartieri di Kherson sembrerebbe che in città ci sia anche carenza di medicinali. Ci sono continui appelli in chat con le richieste di medicine e latte in polvere per bambini.

“A mio padre serve urgentemente l’insulina”, si legge in un messaggio, “Aiutatemi, i miei figli hanno fame, in casa non ho più niente”, firmato “una mamma”. Segue il numero di cellulare. Ci sono appelli che arrivano a nome dell’ospedale pediatrico di Kherson: “Sappiamo che la situazione è critica, ma magari qualcuno che abita nelle vicinanze può aiutarli, hanno bisogno di prodotti alimentari”. 

«Non sono ancora riusciti a organizzare un corridoio umanitario per rifornire le farmacie», spiega Natalia. Lei, così come gli altri con cui parliamo, continua a rimanere in casa, anche se gli attacchi contro i civili sono diminuiti dopo la presa della città. «Abbiamo troppa paura. Vicino a dove abitiamo hanno creato una base militare. Temiamo che ci sparino contro. Finché abbiamo ancora qualcosa da mangiare rimaniamo qui», dice Tania. 

«Nei primi giorni di guerra, quando il conflitto interessava più le periferie, un paio di volte sono uscito di casa per comprare quel poco che era rimasto», racconta Viktor. «Ho preso diversi chili di pesce fresco e l’ho congelato insieme al pane. Ma sono almeno due giorni che non usciamo più di casa e cerchiamo di stare lontani dalle finestre».

Scudi umani

Il cerchio attorno a Kherson è diventato sempre più stretto, giorno dopo giorno. Ma sin da subito lasciare la città era impossibile. «Ci hanno circondato, poi hanno iniziato a bombardare le nostre case. E ora che hanno conquistato la città ci arrivano continuamente notizie di spari contro i civili o di persone usate come scudi umani. Leggiamo di persone che vengono fatte salire sugli autobus e sulle auto che vengono utilizzate come protezione per continuare l’avanzata russa verso Odessa e le altre città», dice Viktor.

Sono in tanti, in realtà, ad avere questa convinzione. Già nei giorni scorsi le chat Viber e Telegram dei vari quartieri erano piene di messaggi di chi assicura di conoscenti, vicini di casa, portati via in questo modo dai soldati russi. Ma non ci sono, al momento, immagini che possano confermare le voci.

Da qualche ora, poi, è diventata frequente anche un’altra convinzione, secondo cui i soldati russi controllano i cellulari dei civili per verificare eventuali legami con l’occidente. Forse è una reminiscenza dei metodi della Kgb durante l’Unione sovietica, ma è indicativa delle paure degli ucraini in un clima di guerra. Diverse persone con cui avevamo contatti fino a poche ore fa hanno preferito interrompere le comunicazioni con noi per paura di subire ritorsioni. Tania ci ha aggiornato usando i messaggi, senza mai rispondere alle chiamate. Poi in una telefonata veloce ha detto: «Avete letto? Sto per cancellare tutto».

Vita da reclusi

«C’è anche tanta disinformazione e non è facile capire quali notizie siano vere – dice Natalia –. Però su alcune cose non ci sono dubbi. Per strada è pieno di soldati russi. Chi dei nostri ha provato a lasciare la città è stato trucidato direttamente nella propria auto. Siamo imprigionati qui, isolati. La nostra missione quotidiana è sopravvivere e al momento restare ci sembra più sicuro che scappare».

Quando chiediamo perché, allora, non siano andati via da Kherson prima dell’invasione, la risposta è sempre la stessa: «Nessuno si aspettava che una persona potesse causare una follia simile. Ci siamo svegliati la mattina, assediati».

«Nei giorni prima pensavamo che Putin volesse solo mostrare i muscoli come ha fatto altre volte – aggiunge Natalia –. Aveva iniziato colloqui con i paesi occidentali e anche le notizie dell’arrivo delle forze armate ai nostri confini ci sembrava parte del gioco dei negoziati. Invece ha preso in giro tutti».

Le chiediamo come si viva chiusi in casa in un paese in guerra: «Per noi ogni giorno è davvero come se fosse l’ultimo. Nelle prime ore, quando si poteva tentare di uscire, abbiamo cercato nel nostro piccolo di aiutare i volontari, cucinando per loro i pelmeni per esempio. Adesso che siamo barricati in casa passiamo la giornata a guardare la tv per avere notizie e cerchiamo aggiornamenti sui social e nelle chat di Telegram. Non si riesce a fare altro, a pensare ad altro, a distrarsi. Leggere un libro o guardare un film è impossibile per noi».

Silenzio improvviso

Natalia vive in periferia. La sua abitazione è stata interessata dal conflitto nelle prime ore, ma adesso è tornato il silenzio della vita in campagna. A volte viene interrotto solo dai rumore dei bombardamenti, ormai in lontananza, verso Mykolaiv e Odessa. «Per noi è molto strano tornare a sentire i suoni del mondo di prima, come il canto degli uccellini fuori, in giardino. Fino a poche ore fa era tutto coperto dai bombardamenti».

I primi giorni dell’occupazione russa di Kherson sembrano essere caratterizzati da questo improvviso silenzio delle periferie, che si contrappone al rumore dei carri armati nel centro della città. 

«A volte sparano in aria, oppure contro le vetrine nei negozi. Credo lo facciano solo per terrorizzarci, non ho altra spiegazione», dice Tania che abita vicino al centro.

Un pretesto

Tania, Natalia, Viktor, e anche le altre persone con cui parliamo quotidianamente per avere aggiornamenti, parlano in russo.

«Dicono di aver iniziato questa invasione per salvare noi, visto che qui ci sono tanti russofoni, ma non è vero, è stato solo un pretesto. Ci stanno sparando contro e bombardano le nostre abitazioni, quelli che si proclamano liberatori. Qui nessuno ha chiesto di essere liberato e nessuno si sentiva prigioniero», dice Natalia.

Un mondo diverso

Il commissariato di polizia a Kjerson

«Ora non importa più che lingua parliamo, se russo o ucraino. Questo conflitto non ha fatto altro che unirci come popolo e oggi ci sentiamo più ucraini che mai», dice Viktor.

Nessuno, tra coloro con cui abbiamo parlato, crede nella buona riuscita dei negoziati tra Russia e Ucraina, che con fatica stanno andando avanti in questi giorni. «Per l’Ucraina è impossibile accettare al momento le condizioni dei russi. Loro ci vogliono schiavi, stanno distruggendo tutto», spiega Tania.

Chiusi in casa, isolati in una città occupata, gli abitanti di Kherson non riescono più a immaginare come sarà la loro vita dopo questo conflitto: «Speriamo solo di uscirne vivi, non sappiamo come sarà il mondo in cui usciremo se tutto questo dovesse finire. Sicuramente sarà diverso da quello di prima».

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