Il grano bloccato dai russi nei silos dei porti ucraini sta affamando intere regioni del mondo mentre l’Ucraina avverte che solo la revoca del blocco navale del mar Nero può evitare la crisi alimentare globale. Altre rotte alternative possono fornire solo una frazione delle scorte totali di grano, afferma Kiev che con 22 milioni di tonnellate di grano stipate nei silos pare poco propensa a credere alle aperture di Mosca ai leader dell’Unione africana che consentirebbe di aprire i porti alle navi da trasporto.

Se la Russia non toglierà il blocco ai porti ucraini nel mar Nero «il mondo dovrà affrontare una grave carenza di cibo», ha detto al Financial Times il ministro delle infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov. «L’Ucraina e i suoi alleati stanno cercando modi per portare fuori dal paese circa 22 milioni di tonnellate di grano dopo che la Russia ha catturato alcuni dei suoi più grandi porti marittimi. La marina russa ora controlla le principali rotte nel mar Nero, bloccando le spedizioni e minacciando decine di milioni di persone che dipendono dai cereali ucraini», ha spiegato accusando i russi di comportarsi come “pirati”.

Una cosa è certa: l’invasione dell’Ucraina ha cambiato l’Europa e il mondo. La Germania, paese trainante nell’Unione, ha approvato un fondo da 100 miliardi di euro per modernizzare le sue forze armate, una svolta storica rispetto a una politica recalcitrante nel prendere impegni militari che cambia la postura tedesca che aveva sempre lasciato sulle spalle della Nato a trazione americana il compito della difesa europea.

L’appello del Vaticano

«Vorrei andare in Ucraina ma devo aspettare il momento opportuno». Così papa Francesco rispondendo a un bambino rifugiato ucraino, che gli domandava, durante un incontro nel Cortile di San Damaso, quando sarebbe andato a Kiev.

Il pontefice ha sottolineato che al momento la situazione non è sicura. La settimana prossima, ha poi annunciato, incontrerà rappresentanti del governo ucraino e parlerà anche di un possibile viaggio.

Il presidente americano, Joe Biden, nell’editoriale pubblicato sul New York Times sembra aver rinunciato al regime change, cioè a chiedere la destituzione di Vladimir Putin ma intanto il regime è saldamente in sella e il principale oppositore del Cremlino, Aleksei Navalny, compie oggi 46 anni in carcere, dove sconta una doppia condanna a un totale di più di dieci anni dopo essere scampato a un tentativo di avvelenamento.

La diplomazia al lavoro

Il negoziatore ucraino David Arakhamia ha dichiarato al Guardia che Kiev vuole rafforzare le sue posizioni sul terreno con l’aiuto di nuove forniture di armi dall’occidente prima di riprendere i colloqui di pace con Mosca.

«Le nostre forze armate sono pronte a usare le nuove armi, e poi penso che potremo iniziare un nuovo ciclo di colloqui da una posizione rafforzata», ha affermato Arakhamia parlando alla tv. Tattica negoziale di Kiev che sta cercando di abituare la sua opinione pubblica alla inevitabile decisione di far partire prima o poi i colloqui con inevitabili compromessi?

La situazione sul terreno

La situazione sul terreno è confusa e contradditoria. A Severodonetsk gli ucraini annunciano di aver riconquistato parte del terreno. No, non è così ribatte Mosca: le forze ucraine si stanno ritirando da Severodonetsk.

Il generale dell’esercito russo Mikhail Mizintsev, ribatte che «le unità delle forze armate dell’Ucraina, dopo aver subito perdite critiche (in un certo numero di unità fino al 90 per cento) durante le battaglie per Severodonetsk, si stanno ritirando». Difficile districarsi in questa sequela di dichiarazioni contraddittorie. Di sicuro c’è che il Cremlino ha rimosso il generale Alexander Dvornikov da capo delle operazioni militari in Ucraina sostituendolo con il generale Gennady Zhidko, viceministro della difesa di Mosca.

Di certo a Severodonetsk si combatte una battaglia strategica. Kiev a sua volta ribatte: «A Izyum, la 35esima armata russa è stata distrutta quasi completamente nella regione nord-orientale di Kharkiv».  La guerra della propaganda continua.  

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