Sciolto con la riconferma di Sergio Mattarella il nodo concernente l’elezione del presidente della Repubblica, la politica italiana ha iniziato a misurarsi con la crisi russo-ucraina a partire dallo scorso 8 febbraio, giorno in cui i ministri Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini sono stati ascoltati dalle commissioni Esteri e Difesa dei due rami del parlamento.

Nella circostanza, il governo italiano ha articolato la propria posizione, sulla quale si è registrata una significativa convergenza tra i partiti. Per quanto la situazione sia in costante evoluzione, quanto i due esponenti del governo hanno affermato in quella occasione costituisce una rappresentazione abbastanza fedele della postura prescelta dal nostro paese, anche in ragione della sua evidente aderenza a un approccio ormai consolidato nel tempo.

Dialogo a tutti i livelli

Sostanzialmente, l’Italia rimane e resterà leale alle organizzazioni politiche e di sicurezza occidentali che ha concorso a fondare, senza tuttavia interrompere le proprie relazioni con la Federazione Russa, a meno che non intervengano fatti che rendano inevitabile una rottura.

Di Maio è stato chiarissimo: l’Italia non ha mai riconosciuto la sovranità di Mosca sulla Crimea e starebbe attivamente partecipando in ambito europeo alla definizione di un nuovo pacchetto sanzionatorio da applicare contro la Russia qualora la situazione sfuggisse di mano.

Il titolare della Farnesina ha peraltro spiegato come si tratterà comunque di ritorsioni proporzionali e graduali, concepite per coprire un vasto spettro di evenienze, dalle azioni ibride volte alla destabilizzazione delle autorità di Kiev al caso dell’invasione vera e propria dell’Ucraina.

Il capo della nostra diplomazia ha altresì ricordato in questo frangente come le sanzioni alla Russia comportino per l’Italia alti costi dal 2014, rivendicando i sacrifici fatti finora in nome della solidarietà occidentale.

Tuttavia, almeno durante il suo intervento nelle commissioni, Di Maio ha anche gettato molta acqua sul fuoco, dando conto dei dubbi del governo ucraino sull’effettiva possibilità di un attacco russo su larga scala e raccomandando comunque grande prudenza, data la vulnerabilità energetica dell’Europa, che dipende significativamente dalle forniture di Mosca per il proprio fabbisogno di gas, fino al 40 per cento del totale.

Anche sul piano dei principi, la posizione della nostra diplomazia è risultata finora perfettamente allineata a quella dei nostri alleati: è stato ribadito come, dal punto di vista italiano, ogni paese debba vedersi riconoscere il diritto di scegliere liberamente da quale parte stare. Inoltre, anche la Nato dovrebbe mantenere la sua politica della “porta aperta”, mentre andrebbe respinto il concetto delle sfere d’influenza, così importante nella narrazione di Mosca.

Molte richieste avanzate dalla Russia all’occidente sarebbero quindi irricevibili anche per l’Italia, non ultimo per le conseguenze che avrebbero sulla tenuta dell’Alleanza atlantica.

Tuttavia, con grande maturità Di Maio ha richiamato nel corso della propria esposizione anche quanto stabilisce l’articolo 10 del Trattato di Washington, secondo il quale l’accessione di nuovi membri alla Nato è subordinata all’incremento della sicurezza collettiva degli alleati.

In questa maniera, pur confermando la propria fedeltà all’atlantismo e la sua collocazione internazionale, l’Italia ha in qualche modo teso un ramoscello d’ulivo alla Russia, dal momento che Georgia e Ucraina non paiono attualmente nella condizione di contribuire positivamente alla difesa comune dell’occidente, poiché non controllano interamente neanche il proprio territorio nazionale.

Segnali nella medesima direzione sono giunti anche dal ministro Guerini, che ha ricordato come l’Italia stia contribuendo all’accrescimento della prontezza operativa delle forze atlantiche dall’Islanda al Mediterraneo, menzionando in particolare le attività di monitoraggio condotte dalla nostra Marina con quella americana in occasione del passaggio per lo stretto di Sicilia delle navi da guerra russe in rotta dal Mar di Barents verso il Mar Nero. 

In nessun caso si è parlato di un sostegno militare diretto all’Ucraina nell’eventualità di un attacco russo, ma soltanto della nostra partecipazione alle misure collettive adottate per dimostrare la coesione della Nato in una fase di grande tensione nelle relazioni con Mosca. In tale ambito potrebbe rientrare anche il rischieramento in Europa orientale del migliaio di uomini recentemente ventilato dalla nostra Difesa.

Di qui, le conclusioni fondamentali che il governo ha condiviso con il parlamento. In questa crisi, il nostro paese ha scelto di sostenere il dialogo a tutti i livelli: in primo luogo, quello tra Russia e Ucraina, anche in ambito multilaterale, ma anche quello bilaterale tra Roma e Mosca, che tra l’altro ha pure una specifica dimensione tecnico-militare, incoraggiando altresì Kiev a dare attuazione alle riforme costituzionali che dovrebbero garantire il rispetto delle minoranze.

L’intraprendenza di Roma

L’Italia ha così confermato l’impianto tradizionale dato alle proprie relazioni con Mosca, che sostanzialmente consiste nel ricercare il punto di equilibrio più avanzato compatibile con la propria appartenenza alla Nato e all’Unione Europea, esprimendo comprensione per quelle richieste russe che non ledono platealmente i principi sui quali si fonda la comunità delle nazioni occidentali.

L’evoluzione fatta registrare dalla crisi pare aver premiato questo approccio, permettendo al nostro paese di ritagliarsi un ruolo sorprendentemente importante nel corso del suo sviluppo, paragonabile a quello svolto da Stati dal peso geopoliticamente maggiore, come Francia o Germania.

Lo si è notato a partire dalla visita del ministro Di Maio a Mosca, durante la quale sono stati messi a punto i dettagli del successivo viaggio al Cremlino del nostro presidente del Consiglio, suscitando l’attenzione di diversi media internazionali e della stessa stampa americana.

Il prestigio personale di Mario Draghi ha contribuito non poco a questo risultato. Ma va altresì evidenziato come le nostre autorità abbiano agito sulla base di una concezione dell’interesse nazionale ampiamente condivisa anche dagli interlocutori europei, i cui cardini sono il primato assegnato all’iniziativa diplomatica per scongiurare la guerra e l’esclusione del comparto energetico dal pacchetto sanzionatorio da imporre eventualmente contro la Russia.

Una posizione basata sul buon senso e su una corretta lettura del momento storico, che si è fatta apprezzare in molti ambiti e che potrebbe anche aver inaugurato una fase di rivalutazione dello status geopolitico dell’Italia.

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