Spulciando le carte giudiziarie dell’inchiesta della procura di Milano su alcuni fedelissimi della Meloni come l’eurodeputato Carlo Fidanza e il deputato Giangiacomo Calovini si capisce perché, in queste ore, negli uffici di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi e nella sede nazionale di Fratelli d’Italia si respiri aria pesante.

Domani ha già dato conto che l’informativa della Guardia di Finanza evidenzia – grazie a chat incontri degli indagati nella sede nazionale del partito di maggioranza – come il presunto patto corruttivo tra Fidanza, Calovini e Giovanni Francesco Acri (accusato di essersi dimesso da consigliere comunale di Brescia per fare un favore ai primi due in cambio dell’assunzione, da parte di Fidanza, del figlio 17enne come “assistente locale”) fosse stato fatto «con due o tre piccole contropartite, benedette in due incontri a via della Scrofa alla presenza dei massimi dirigenti nazionali». Ammissione fatta in chat da Calovini, che conclude con un laconico «Giorgia sapeva tutto».

Ora, al netto delle responsabilità penali tutte da dimostrare (Fidanza è già stato archiviato per l’inchiesta della lobby nera) altri documenti inediti dell’inchiesta rischiano di creare altri grattacapi politici e reputazionali al cerchio magico della premier. In primis al ministro del Turismo Daniela Santanché e a big del partito come Giovanni Donzelli.

Amicizie pericolose

Al centro dell’affaire c’è infatti un medico calabrese finora quasi sconosciuto alle cronache, l’urologo calabrese Arci. Che nel 2018, riesce ad entrare a Palazzo Loggia ai danni del suo collega di partito Calovini, primo dei non eletti. Ma chi è Arci? Secondo le chat degli indagati, un sodale politico della Santanché. Dopo la sua elezione Fidanza scrive infatti a Calovini: «Comunque la “Santa” al telefono con (Isabella) Rauti si è “bullata” del risultato di Acri, “il mio candidato”». Calovini risponde: «Beh ovvio, ognuno dirà che è il suo fino a quando succederà qualche casino, e allora sarà il candidato di nessuno...lui comunque ha detto che risponde a Ignazio (La Russa, attualmente presidente del Senato, ndr).

Ieri la Santanché, citata nelle carte come la dirigente che ha tentato di convincere Acri a non dimettersi per lasciare il campo a Calovini, ha spiegato a chi vi scrive che nulla sapeva dell’accordo che i pm milanesi considerano frutto di corruzione. Aggiungendo che Acri non è affatto un suo uomo, e che lo chiamò solo «come coordinatrice del partito in Lombardia».

Sia come sia, il profilo di Acri non è banale. Secondo le carte di alcuni procedimenti penali e i commenti dei suoi stessi colleghi di partito, il dottore emigrato a Brescia avrebbe frequentazioni borderline. La Finanza segnala per esempio come Calovini invii a una sua amica degli screenshot delle carte giudiziarie di un procedimento penale della procura di Brescia del 2019. Interrogatori in cui un investigatore e il pubblico ministero fanno cenno ad Acri durante un’udienza del processo contro terzi. I documenti fanno riferimento al matrimonio di Acri con una donna russa, avvenuto il primo luglio del 2017 in una chiesetta a Paderno Franciacorta.

L’evento «viene attenzionato» dalle forze dell’ordine, e un investigatore spiega: «Acri tramite Stefano Tripodi invita Massimo Sorrentino, che non potrà partecipare. Riscontrammo anche la presenza di Saverio Tripodi, Gaetano Fortunio e Mario Attilio Macrì» Se i Fortunio sono una famiglia celebre della Locride («Gaetano era l’unico dei Fortunio libero in quel momento libero»), dice l’investigatore che testimonia, Massimo Sorrentino, titolare della pizzeria a Brescia “I tre monelli”, qualche mese fa è stato condannato in appello a 10 anni di carcere per estorsione, ricettazione e incendio. Il pm aveva chiesto anche l’aggravante del metodo mafioso, ma i giudici non l’hanno accolta.

Fisco e milioni

Arci non nega a Domani di aver invitato al suo matrimonio le persone citate: «I Tripodi e Sorrentino? Io conosco tanta gente. Alcune sono buone, altre meno buone. Non è che vado a chiedere a chiunque il casellario giudiziario. Io comunque sono regolarmente incensurato, ringraziando Iddio».

Leggendo il fascicolo si scopre poi che i dirigenti di Fratelli d’Italia sapevano pure che il suo gettone in consiglio comunale veniva regolarmente pignorato dal fisco. Questo, scrive la Gdf, perché «è in essere un atto pignorativo sui redditi percepiti da Acri da parte dell’Agenzia delle entrate». I debiti con il fisco del «candidato della Santanché» ammontano nel 2022 alla bellezza di oltre due milioni di euro.

«Queste so cose vecchie» dice l’ex consigliere «Colpa del mio commercialista, che poi è stato radiato. Adesso il mio avvocato sta facendo le nuove pratiche per risolvere tutto. Una maxi evasione? Guardi, il fatto è venuto fuori quando mi volevano dare un’onorificenza. Quella di Cavaliere della Repubblica. Facendo i controlli preventivi sul mio nome, si sono accese tutte le lucine degli alert, tipo albero di Natale. Risultava non avevo pagato un sacco di cose, ma non per colpa mia».

Fratelli coltelli 

La vicenda di Acri sorprende perché dentro il partito, almeno nel 2021, in molti conoscevano bene il suo profilo. Qualcuno lo definiva addirittura «un mafius’». Oppure uno – come dice Calovini in una chat - che fa accordi «con qualche membro della criminalità organizzata». Com’è possibile dunque che i dirigenti di Fratelli d’Italia abbiano deciso di fare una trattativa politica con Acri per convincerlo a dimettersi, tanto da incontrarlo due volte in via della Scrofa e a proporre poi l’assunzione di suo figlio al Parlamento europeo? Chi conosceva a Roma i dettagli di quelli che gli indagati chiamano “Operazione Acri”?

Il medico calabrese dà a Domani la sua versione. Ricorda che a Brescia era stato già in passato consigliere nelle file del Pdl, e che era stato richiamato dai meloniani (ma non dice da chi) per le elezioni del 2018. «FdI era a livello di prefisso telefonico, sul 3 per cento, e mi dissero le solite cose: “Guarda che c’è bisogno di una faccia pulita, un persona conosciuta”. Così sono stato eletto di nuovo, poi però mi sono rotto le balle perché le promesse poi non venivano esaudite», spiega.

Poi Acri per chiarire l’assenza di illeciti nell’operazione-dimissioni fa il nome di Giovanni Donzelli, deputato e responsabile nazionale di Fdi: «Le mie dimissioni erano frutto di un accordo politico. Per me contano ancora le vecchie maniere. Noi ci diamo la mano, ed è la parola che conta. Noi (lui e Calovini ndr) siamo andati a via della Scrofa a parlare con i dirigenti nazionali, ed eravamo tutti d’accordo. Allora, mi dite da dove verrebbe l’anomalia dello scandalo? La corruzione dov’è? Sono accordi politici normali. Donzelli ha detto “va bene”. L’assunzione di mio figlio da parte di Fidanza? Non ne accennai in quell’occasione, era una cosa mia. Ai dirigenti del partito dissi: “Guarda che deve essere questo, questo, questo e quest’altro”. A me interessava fare o il console per la Russia in Sicilia, o diventare consigliere regionale. Meglio ancora deputato. Con questa mossa della procura però mi hanno fatto fuori. Comunque Donzelli è stato messo al corrente di quello che dovevamo fare».

Abbiamo provato a chiedere al braccio destro Giorgia Meloni la sua versione dei fatti, se fosse stato o meno al corrente della trattativa che ha portato il figlio dell’urologo tanto chiacchierato ad ottenere un contratto a Strasburgo. Ma anche lui - come ieri la premier - non ha risposto alle domande del nostro giornale.

 

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