Mentre il prezzo di petrolio Brent vola a 139 dollari e il Wti a 130 dollari al barile gli Usa stanno cercando di porre fine alle sanzioni imposte al Venezuela del presidente Nicolás Maduro e di siglare un accordo sul nucleare con l’Iran della guida suprema, Alì Khamenei, e riammettere Teheran all’export di greggio, per fronteggiare la mancanza di petrolio russo nel caso si decidesse di interrompere (con l’arma decisiva) la maggior fonte di ricavi nel surplus commerciale di Mosca.

Possibile? In sostanza per mettere le sanzioni all’import di petrolio russo gli Usa stanno pensando di togliere quelle al Venezuela e all’Iran. Gli europei sono divisi sulle sanzioni: la Polonia è favorevole, la Germania è più cauta. Bloomberg dice che l’Unione europea sta preparando un testo molto duro sulle sanzioni all’import di gas, petrolio e carbone dalla Russia.

I nemici di ieri sono gli alleati di oggi

Il mondo sta cambiando rapidamente in questi primi mesi del 2022 e come ha detto a Bloomberg tv, Jacob Frenkel, ex governatore della Banca centrale di Israele e ex presidente di JPMorgan Chase International, «la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta finora sta tramontando e il mondo si sta dividendo in due sfere di influenza: da un parte le democrazie liberali come gli Usa e la Ue e dall’altra gli stati autocratici come la Russia e la Cina».

Anche Robin Brooks, capo economista dell’IFF, l’associazione delle maggiori banche del pianeta, parla chiaro su Twitter: «Le sanzioni limitano la capacità della Russia di utilizzare le riserve valutarie per attenuare gli shock. Il boicottaggio dell’energia russa sarebbe uno shock enorme, dal momento che le esportazioni di energia pagano tutte le importazioni. Senza riserve in valuta, le importazioni crollerebbero a zero, rendendo più difficile per Vladimir Putin combattere la sua guerra».

In questo quadro diplomatico in grande movimento dove i nemici di ieri diventano gli alleati di domani contro Vladimir Putin, una delegazione americana ha discusso nel weekend a Caracas, per la prima missione di alto livello nel paese sudamericano, della possibilità di alleggerire le sanzioni americane sulle esportazioni di petrolio venezuelano.

La svolta è arrivata mentre gli Usa stanno valutando di bloccare l’import di petrolio dalla Russia. Mosca produce l’8 per cento dell’export mondiale di petrolio e gli Usa importano il 3 per cento del loro greggio dalla Russia mentre l’Europa il 30 per cento. È evidente che tutto il quadro diplomatico è in movimento.

Il Venezuela di Maduro

Foto AP/Matias Delacroix

Il Venezuela, alleato del Cremlino in Sudamerica, era un importante fornitore di greggio di Washington prima delle sanzioni imposte in risposta alla situazione politica del Paese. Nel 2019 si sono bloccate le relazioni tra i due paesi dopo che Washington ha riconosciuto Juan Guaidò come legittimo presidente, accusando Nicolas Maduro di frode ai seggi.

L’ex presidente Trump impose l’embargo al greggio venezuelano, ma gettò Maduro nelle mani della Russia. Oggi si tenta di cambiare rotta dopo anni di rapporti congelati.

La missione statunitense, guidata da Juan Gonzalez, del National Security Council e Jimmy Story, ambasciatore Usa per il Venezuela, è avvenuta dopo che il presidente Nicolas Maduro ha parlato con Vladimir Putin promettendo di rafforzare i rapporti tra i due stati.

Da quando è iniziata a circolare l’ipotesi di un embargo al petrolio russo, diversi esponenti politici americani hanno suggerito che l’amministrazione Biden revocasse le sanzioni al Venezuela. Ma non tutti sono d’accordo. La missione è stata criticata da alcuni repubblicani, come Marco Rubio. Da parte dell’amministrazione Biden si sottolinea che si continuerà a considerare Guaidò come il legittimo leader, ma - ha detto Gonzalez - ora si punta sulla possibilità di negoziare piuttosto che rovesciare Maduro. Una svolta notevole.

Ritorna anche l’Iran

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«La prospettiva di raggiungere un accordo a Vienna per rilanciare il patto sul nucleare è confusa a causa del ritardo di Washington nel prendere una decisione politica», ha reso noto il segretario del Consiglio supremo per la Sicurezza nazionale iraniano Ali Shamkhani, il supervisore iraniano della trattativa che vede impegnate Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Usa e Germania.

Da quando la trattativa è iniziata, Teheran e Washington si sono parlati attraverso la mediazione europea. In realtà lunedì Teheran ha dichiarato di essere in attesa di “dettagli” da Mosca in merito alle richieste russe di garanzie statunitensi che potrebbero ritardare il successo dei negoziati in corso sul programma nucleare iraniano, mentre invitava Washington a prendere una “decisione politica” per concludere un accordo.

Mentre si parlava di un accordo imminente nei negoziati di Vienna, la Russia, colpita dalle sanzioni occidentali per l’invasione dell’Ucraina, sabato ha chiesto a Washington garanzie che le misure di ritorsione non avrebbero influenzato la sua cooperazione con l’Iran. Una richiesta che rischia di rimanere inattesa mentre la Cina, come in un effetto domino, ha ammonito gli Usa a non formare una Nato in Asia e a sostenere Taiwan.

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