Il 21 maggio scorso ha avuto luogo una conferenza internazionale a Sebastopoli in Crimea alla quale hanno partecipato esperti di relazioni internazionali, alcuni rappresentanti delle autorità e associazioni locali per confrontarsi sul tema del ruolo del mar Nero nell’ordine internazionale. Questa conferenza è stata anche un’occasione per stilare un documento rivolto ai mass media internazionali per sensibilizzare l’opinione pubblica e i leader politici sulle diverse implicazioni che le forti tensioni militari, le sanzioni diplomatiche ed economiche determinano nella popolazione di questa penisola.

L’appello esplicita che la «penna dei giornalisti può informare, favorire il dialogo e la cooperazione tra gli attori politici e sostenere l’organizzazione di alcune iniziative culturali per neutralizzare le minacce militari e sostenere la pace». Si tratta della creazione di una tavola rotonda, costituita dai più famosi giornalisti, scrittori e analisti provenienti da diversi paesi sul tema “La Crimea del XXI secolo: guerra o pace?”; un programma internazionale per la riabilitazione post Covid dei pazienti nei resort di questo territorio, famosi per il loro clima e trattamenti curativi; un’esplicita richiesta all’Unesco di riprendere il discorso della cooperazione nell’ambito della protezione ambientale; un festival della musica internazionale per la pace con la partecipazione dei più importanti artisti di musica rock e classica e l’avvio di progetti di cooperazione scientifica e di mobilità studentesca. Da quando le sanzioni sono state introdotte in seguito alla “riunificazione” (per i russi)/“occupazione” (per gli occidentalisti) della Crimea nel 2014 il dibattito sull’efficacia di questa misura e sull’opportunità di revocarla o meno è tuttora aperto.

I rapporti con l’Italia

Le misure restrittive (sanzioni) sono uno strumento della politica estera e di sicurezza dell’Ue che mira a un cambiamento nella politica o condotta del destinatario (governo, individui, organizzazioni, entità societarie).

Le sanzioni diplomatiche hanno riguardato la sospensione dei vertici bilaterali e l’esclusione della Russia dal G8, mentre quelle individuali (congelamento dei beni e restrizioni di viaggio) sono state applicate a 177 persone, coinvolte nel processo di isolamento della Crimea dalla Ucraina. Tuttavia sono le sanzioni economiche a destare una maggiore attenzione perché bloccano il mercato dei capitali da e verso la Russia, vietano alle imprese dell’Ue l’importazione di beni, l’esportazione di alcune tecnologie, la prestazione di servizi turistici e la sospensione della cooperazione bilaterale regionale.

Tra il 2016 e il 2018 i consigli regionali della Liguria, del Veneto e della Lombardia hanno votato una risoluzione a favore della rimozione dello stato di embargo commerciale con la Russia per interrompere i danni economici delle imprese italiane, soprattutto nel settore agro-alimentare. Una posizione che è stata sostenuta in questi anni anche dalle associazioni di categoria che hanno esercitato pressioni sui governi italiani per porre la questione a livello europeo. In effetti ci sono settori, come i macchinari industriali, che hanno subito dei contraccolpi nell’export e non sempre il meccanismo di re-routing ovvero la rimozione delle certificazioni di provenienza del prodotto per immetterlo nel mercato russo ha avuto successo. È il caso delle attrezzature italiane utilizzate nella produzione vinicola dei pregiatissimi vini della Crimea (Balaklava e Novyj Svet) che si bloccano non appena la localizzazione del gps segnala il varco del confine.

All’interno dell’Ue l’impatto dell’import ed export è disomogeneo: la Germania, l’Italia e la Finlandia hanno ridotto sensibilmente l’export nei confronti della Russia mentre la Grecia, la Svezia, Lussemburgo e la Bulgaria hanno aumentato il volume delle esportazioni.

La reazione di Mosca

Un’analisi più approfondita del fenomeno rileva, infatti, che nel caso italiano le contromisure russe hanno sancito il divieto di importare alcune categorie di alimenti e materie prime e determinato la diminuzione del 35 per cento dell’export nel settore agroalimentare, colpendo maggiormente il comparto dei prodotti lattiero caseario.

A sette anni dalla loro introduzione possiamo, quindi, ritenere che le sanzioni abbiano consentito all’Ue di ottenere gli obiettivi politici prefissati nei confronti della Russia di Putin?

Sul piano economico la Russia ha dimostrato di resistere agli effetti delle misure europee che non hanno inciso particolarmente sul suo Pil e sull’inflazione perché, come afferma una ricerca di Bělín e Hanousek (“Which Sanctions Matter? Analysis of the Eu/Russian sanctions of 2014”, 2019), il declino delle importazioni russe è dovuto più alla crisi economica interna e alla perdita di potere d’acquisto del rublo che all’efficacia delle sanzioni. Inoltre, la Russia ha dimostrato di saper reagire alla mancanza di importazione di alcuni prodotti attivando una nuova filiera agro-alimentare e investendo molto nel settore ortofrutticolo, abbattendo così la dipendenza del paese dagli arrivi dall’estero. In sostanza, le sanzioni sono state sinora inefficaci nel rallentare il commercio bilaterale con la Russia e, a quanto pare, a pagare i maggiori costi delle sanzioni non è il governo russo, ma le imprese dei paesi che esportano i beni sanzionati. Sul piano politico le sanzioni sono un segnale di coesione interna dell’Ue, vincolato però dal voto all’unanimità, ma non sono state un deterrente, un concreto strumento di “coercizione politica”, che ha modificato la politica estera assertiva della Federazione russa. Anzi, la politica americana della “promozione dei diritti” e il sostegno all’oppositore russo Aleksej Navalnyj, legittime decisioni sostenute anche dall’Ue, con il conseguente aumento del volume delle sanzioni verso la Russia ha ottenuto l’effetto contrario: un’inversione autoritaria della Russia. Nella storia contemporanea difficilmente le sanzioni economiche basate sui diritti umani hanno conseguito un arresto delle violazioni o influito nel cambiamento della politica. A tal riguardo, il viceministro degli Affari esteri, Alexander Pankin, ha affermato che il regime di sanzioni occidentali contro la Russia sarà permanente e, pertanto, il governo russo sta lavorando all’ipotesi di una sua possibile disconnessione dai sistemi di pagamento internazionali oltre a un «elenco di misure in risposta alle nuove sanzioni occidentali». L’eliminazione delle sanzioni europee non è in discussione perché è collegata ai presupposti degli accordi di Minsk I e II, siglati dalla Ucraina e dalla Russia, che prevedono la fine del conflitto militare mentre sono ancora in atto isolati scontri lungo la linea di smilitarizzazione.

Non è giunto allora il momento di cambiare strategia nei confronti della Russia? Non è forse il caso di alleggerire le sanzioni economiche, concentrandosi più su quelle individuali (oligarchi, élite)? Le sanzioni hanno sinora colpito la maggior parte della popolazione, i redditi reali, i salari e le pensioni, ma non hanno avuto effetti diretti sulla politica domestica ed estera russa. E, soprattutto, non è il momento di uscire dalla logica economica che ha assorbito la politica?

Ben venga, quindi, un appello dalla comunità della Crimea che nella cultura ripone la propria speranza dell’emancipazione della politica del dialogo, del confronto e della negoziazione. Speriamo che questi siano i presupposti del summit tra il presidente americano e quello russo della prossima settimana.

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