Nei giorni successivi all’invasione dell’Ucraina è più volte riapparsa la questione delle sue possibili giustificazioni, una questione riportata all’ordine del giorno dallo stesso Putin, con una rilettura della storia che ha delle caratteristiche a dir poco fantasiose, ma che permettono tuttavia di svelare un aspetto fondamentale del suo rapporto con la realtà.

Nel discorso in cui annunciava il riconoscimento delle repubbliche del Donbass, Putin concentrava le presunte ragioni della successiva guerra in tre punti fondamentali: l’Ucraina non avrebbe un’identità e una statualità precedenti alla rivoluzione; avrebbe ricevuto dall’Unione sovietica tutta una serie di concessioni e di “regali” e, soprattutto, sarebbe un paese governato da una cricca di neonazisti. Nessuna di queste affermazioni resiste anche alla più semplice ed elementare analisi storica.

Identità storica

L’Ucraina ha un’identità e una realtà statuale antica, certificata da tradizioni, da eventi storici e da una lingua propria che sono indiscutibili; basti pensare al trattato di Perejaslav, stipulato nel 1654 tra Aleksej Michajlovič, secondo zar della dinastia Romanov e Bohdan Chmel’nyc’kyj, atamano dei cosacchi zaporoghi stanziati sulle rive del Dnepr, nel quadro della loro rivolta contro la nobiltà polacca; o anche, soprattutto, al fatto che nessuno si sognerebbe di negare l’esistenza di un’identità italiana anche prima dell’esistenza di uno stato italiano unitario. 

È indicativa in questo senso l’osservazione di un grande russo come Dostoevskij che, pur innamorato difensore della “unicità” della Russia, riconosceva all’Italia (di cui non stimava affatto la versione statuale creata dal conte di Cavour) di aver portato in sé per duemila anni «un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano».

Un’immagine ben diversa, rispetto a quella presentata da Putin, di cosa sia un’identità nazionale e di quali possano essere le sue dimensioni universali ma non esclusive.

Tragedie subite

Un identico discorso si deve fare a proposito dei regali che l’Ucraina avrebbe ricevuto dall’Unione sovietica: quella dei “doni ricevuti” è una delle tante surreali ricostruzioni storiche putiniane, come ricorda un altro innamorato della grandezza russa, e cioè quell’Aleksandr Solženicyn che in questi giorni qualcuno (con una lettura disinvolta e per lo meno parziale) ha arruolato tra i presunti sostenitori del presidente in relazione alla separazione tra Ucraina e Russia.

Solženicyn, che pure non amava questa separazione e aveva avuto anche parole dure a tal proposito, ricordava però che tra i “doni” ricevuti dall’Ucraina c’era «la sciagura di Černobyl’, causata da carrieristi e imbecilli del sistema sovietico», una tragedia, aggiungeva, per la quale «noi dobbiamo prosternarci davanti alla Bielorussia e all’Ucraina».

E a questo “dono” ne andrebbe aggiunto ovviamente un altro di ben più imponenti dimensioni, l’Holodomor, la grande carestia artificiale del 1930-1933, con cui, nell’intento di domare le ultime resistenze dei propri sudditi, il governo sovietico causò la morte di diversi milioni di persone. Se non si trattasse di tragedie epocali si dovrebbe parlare di un teatrino dell’assurdo.

Neonazismo

E per finire, l’ultima questione, anche qui una radicale e ancor più dolorosa contraffazione della realtà: il neonazismo e l’antisemitismo sono un cancro che purtroppo metastatizza ed è presente in ogni società contemporanea, ma che definisca l’Ucraina sino a farne uno stato da denazificare è una menzogna le cui dimensioni appaiono immediatamente non appena si pensi al fatto che il principale partito ucraino di estrema destra, l’Unione Pan-Ucraina “Libertà” (Svoboda), su 450 deputati presenti in parlamento, ne ha uno solo.

Ma ancora più grossolana e surreale appare questa idea putiniana della denazificazione dell’Ucraina alla luce dei suoi riferimenti filosofici e culturali. È ovviamente un tema che meriterebbe uno sviluppo ben più ampio, ma non si può ignorare il fatto che tra i suoi punti di riferimento intellettuali di spicco figura un personaggio come Ivan Il’in (1883-1954), pensatore antisovietico e anticomunista che finì per approdare a posizioni come quelle descritte da questo passo, tratto da un suo articolo del 1933: «Il patriottismo, la fede nell’identità del popolo tedesco e nella forza del genio germanico, il sentimento dell’onore, il fatto di essere pronti al sacrificio di sé, la disciplina, la giustizia sociale, l’unità che va oltre la divisione in classi, fraterna e nazionale.

Questo spirito sta alla base di ciò che costituisce la sostanza di tutto questo movimento. Arde nel cuore di ogni nazista sincero, tende i suoi muscoli, risuona nelle sue parole e brilla nei suoi occhi. Basta vedere questi volti pieni di fede, sì esattamente pieni di fede. Basta vedere questa disciplina per capire il senso di quel che accade e chiedersi: "Esiste in terra un popolo che rifiuterebbe di creare per sé un movimento di queste dimensioni e con questo spirito?”. Per dirla in breve, questo spirito suggella la fratellanza tra il nazional-socialismo tedesco e il fascismo italiano. E non solo tra di loro, ma anche con lo spirito del movimento russo bianco» (Nacional-socializm. Novyj duch [Nazional-socialismo. Un nuovo spirito], in Vozroždenie [Rinascita], 2906, 17 maggio 1933).

Il vero problema che sottende le giustificazioni putiniane della guerra si situa a questo livello, che non riguarda innanzitutto la situazione dell’Ucraina, le provocazioni dell’occidente o qualsiasi altra questione geopolitica, ma la lotta tra la realtà e la surrealtà: ci troviamo precipitati in un vero e radicale nichilismo che non riconosce nessuna verità con la quale fare i conti e che su questa base, in una totale autoreferenzialità, può permettersi qualsiasi ingiustizia, qualsiasi violazione delle regole del diritto internazionale e della logica, senza pensare di doverne rispondere anche solo in parte.

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