La sinistra deve riprendersi il suo ruolo di difensore della gente modesta, «perché quello è il nostro compito». A dirlo è Martin Schulz, presidente della Fondazione Friedrich Ebert, vicina alla Spd, già presidente del parlamento europeo, avversario politico di Silvio Berlusconi e candidato sfidante di Angela Merkel nel 2017.

Come valuta i primi sei mesi del governo Meloni?

Credo che la signora Meloni nel Consiglio europeo e a Bruxelles si comporti esattamente come qualsiasi altro capo di governo italiano, non vedo nessuna differenza. Il che significa che tutto quel che ha detto in campagna elettorale contro Bruxelles ora, che è al governo non significa più nulla. Non è inusuale però, con i politici di estrema destra succede sempre che prima delle elezioni promettano cose diverse da quelle che fanno dopo il voto.

Le prime mosse dell’estrema destra sono in linea con le sue attese o è andata addirittura peggio di quanto temesse?

Dalla presidente di un partito di destra come Fratelli d’Italia non mi aspetto che prenda le distanze da Mussolini e dal passato dell’Italia. Non possiamo aspettarcelo da un partito come Fratelli d’Italia, ma me lo aspetto assolutamente dalla capa del governo italiano. Penso che bisogna aspettare e vedere in che direzione si svilupperà la linea politica di Meloni.

Come può essere più incisiva l’opposizione in questo contesto?

Credo che nell’opposizione, in particolare nel Partito democratico, abbia avuto luogo un processo di chiarimento. Il partito per mesi è stato impegnato nella ricerca di una nuova guida, e l’ha trovata nella signora Schlein. Ho visto gli ultimi sondaggi in cui il Pd è dato al 21 per cento: l’opposizione stia riguadagnando fiducia. Credo che il programma di politica sociale e l’idea di società che ha in mente Schlein siano una proposta credibile. Forse anche per chi alle ultime elezioni hanno votato Fratelli d’Italia.

Durante l’ultima campagna elettorale le radici postfasciste di Meloni e del suo partito sono state ampiamente discusse, ma le origini di Fratelli d’Italia non sono state un deterrente che abbia portato gli elettori moderati a non votarla. Fascismo e antifascismo sono ancora temi con cui si vincono le elezioni?

Penso di sì, ma bisogna tenere a mente che da soli non sono sufficienti. Ci vuole un ampio spettro di temi, un’offerta politica ampia dei partiti. Abbiamo superato la pandemia, la crisi bancaria e quella dell’euro, adesso c’è la guerra con tutti i problemi collegati e credo che in Italia la situazione non sia diversa da quella che si vive negli altri paesi.

Cos’altro deve fare parte della proposta politica di un partito di sinistra?

Chi ha molto denaro non viene toccato da queste crisi, ma chi ogni giorno deve combattere per garantire una buona istruzione ai suoi figli, per pagare affitti o interessi, chi deve andare al lavoro in macchina e accudire i suoi genitori o parenti, ma anche chi deve vivere con pensioni basse: tutte queste persone si aspettano dai partiti di sinistra che diano allo stato una forma tale per cui lo stato li protegga.

Le persone ricche possono comprarsi tutto, mentre le persone che hanno poco denaro hanno bisogno che lo stato le protegga. Se questa proposta viene presentata in maniera credibile, le persone ti votano. E la mia impressione è stata che durante la campagna elettorale Meloni ha toccato molti punti dell’agenda della politica sociale: “Noi come la potenza protettrice della gente modesta”. La sinistra deve guardare questa dinamica con attenzione, perché quello in realtà è compito nostro.

E in termini di politiche europee?

Solo i socialdemocratici sono in grado di proteggere quell’elettorato a lungo termine. Un concetto che però è l’opposto del concetto nazionalistico che propone Meloni, che a lungo termine porterà l’Italia, la Germania e la Francia a distanziarsi le une dalle altre: a quel punto saremo deboli e non saremo in grado di sviluppare la forza economica di cui abbiamo bisogno per generare la ricchezza di cui abbiamo bisogno per finanziare lo stato sociale.

Diversi partiti europei di destra guardano al governo Meloni come a un esempio di successo e tanti salgono nei sondaggi. Rischiamo un’onda della destra alle prossime elezioni europee?

Non credo si possa dire in questi termini. Ci sono tante differenze tra i singoli paesi. Non siamo uno stato unico europeo, il contesto cambia di stato in stato. Credo che la signora Le Pen segua con grande attenzione come sta andando qui a Roma, ma non vedo un’onda nera. In Svezia i socialdemocratici sono il primo partito, ma la destra ha fatto una coalizione con l’estrema destra contro di loro. In Danimarca siamo il partito più forte, così come in Spagna e Portogallo, in Germania abbiamo vinto le elezioni. Governiamo in Lussemburgo, nei Paesi Bassi e in Belgio. Il Regno Unito non è più nell’Unione europea, ma è probabile che presto avrà un governo laburista. Insomma, ci sono realtà differenti e non si può parlare di un’onda di destra.

Il dibattito europeo rischia di essere più polarizzato dopo le prossime elezioni se i conservatori dovessero decidere di schiacciarsi su posizioni di estrema destra?

Dipende dai prossimi mesi. Credo che il Partito popolare europeo corra il rischio di non essere più il primo partito nel parlamento europeo. I partiti cristianodemocratici stanno perdendo terreno in Europa. L’Italia e la Francia sono sempre stati punti di riferimento, ma basta guardare l’Austria o la Svezia. I cristianodemocratici sono in picchiata nei Paesi Bassi, inesistenti in Francia. Penso che il Ppe abbia un grosso problema, può darsi che il gruppo di Meloni esca dalle elezioni forte almeno quanto il Ppe. Per questo motivo il prossimo parlamento sarà molto eterogeneo e sarà difficile trovare maggioranze.

La discussione sul patto di stabilità ha risvegliato in Italia ricordi della crisi dell’euro e della politica di austerità con i connessi sentimenti antitedeschi. Rischiamo di replicare quel periodo?

Non penso. Già da ministro delle Finanze, Olaf Scholz è stato un ministro molto diverso da Wolfgang Schäuble. Il Recovery fund europeo è stato un compromesso che però Scholz ha imposto insieme a Bruno Le Maire (il ministro delle Finanze francese, ndr). Credo che la politica di investimenti attivi dell’Unione europea sia la linea guida della lotta alle crisi, ma anche della situazione postpandemica in generale. Quindi non credo che ci saranno altre fasi di politica di austerità, perché è anche stata una politica sbagliata. In tempi in cui bisogna fare investimenti in funzione anticiclica non si può risparmiare.

Come deve svilupparsi secondo lei la relazione tra Europa e Cina? A volte sembra che Berlino ambisca a un rapporto preferenziale con Pechino.

Bisogna essere realisti. La Cina ha 1,4 miliardi di abitanti, tre volte l’intera popolazione dell’Unione europea. Non è una democrazia, ma una dittatura piuttosto brutale, e ha altre priorità rispetto all’Europa. È così e bisogna dirlo apertamente, ma è assurdo immaginare di andare a Pechino e cancellare la cooperazione. Dobbiamo aprire un dialogo aperto e accettare confronti anche duri.

Qual è la strada per conciliare tutti gli interessi?

La Cina è un rivale sistemico, concorrente economico ma allo stesso tempo un partner di cui non si può fare a meno per affrontare i problemi del nostro tempo. La Cina non può fare a meno del mercato europeo tanto quanto l’Europa ha bisogno di quello cinese. Per questo chiedo soluzioni pragmatiche.

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