È recente la notizia per cui le ambasciate statunitensi nel mondo hanno iniziato a imporre ai propri fornitori il rispetto del divieto su qualsiasi pratica, linguaggio o obiettivo legato alla Diversity, Equity and Inclusion (DEI).

Tutto parte da un ordine esecutivo firmato da Donald Trump il 7 gennaio 2025, con cui si vieta a tutte le agenzie federali e ai loro appaltatori di adottare programmi o linguaggi collegati a diversità, equità e inclusione. Chi rifiuta, rischia il congelamento dei contratti. Una clausola di conformità che, di fatto, esporta l’agenda trumpiana oltre i propri confini.

È un’altra faccia della guerra economica che gli Stati Uniti stanno portando avanti per affermare la propria agenda. Non stanno solo ritirando il sostegno alle politiche di genere e inclusione: stanno conducendo un’offensiva contro l'architettura della diversità costruita faticosamente negli ultimi decenni.

Tecnica politica femminista

Negli ultimi trent’anni in diverse parti del mondo sono stati sviluppati strumenti per una tecnica politica femminista nelle istituzioni. Sono strumenti per la “messa a terra” pensati per avere un impatto concreto e trasformativo. Parliamo di gender mainstreaming, di bilancio di genere, di dati femministi e anche di gender procurement, ossia uno strumento per promuovere una spesa pubblica responsabile.

Il gender procurement parte dalla constatazione che la pubblica amministrazione è il più grande acquirente sul mercato e usa meccanismi per indirizzare questa spesa verso imprese e fornitori che rispettano una serie di criteri etici.

Parallelamente, negli Stati Uniti, nascevano pratiche e modelli organizzativi rivolti alle imprese con lo scopo di rendere più inclusivi i luoghi di lavoro. A partire dalla pressione di vari gruppi di attivisti si chiedeva di riconoscere l’esistenza delle differenze e di creare contesti di lavoro in cui queste potessero esprimersi. Era un approccio molto legato al mercato: consentiva alle imprese di allargare la platea di persone da inserire nel mercato del lavoro (inserire donne e minoranze quando la manodopera scarseggiava) ma anche di allargare la platea dei consumatori, strizzando l’occhio a minoranze con capacità di spesa.

Gender procurement

Usare il gender procurement per promuovere imprese che adottano politiche di parità (più facili da misurare e monitorare) e più recentemente anche politiche DEI è un modo per incentivare un riequilibro in un mercato del lavoro da cui le donne e le minoranze spesso sono escluse o, quando accedono, accedono a condizioni peggiori, e di sostenere l’imprenditoria femminile, anche qui, infatti, ci sono ostacoli formali e informali e una sproporzione numerica evidente.

Stiamo parlando di una proposta di policy codificata: Un Women ha rilasciato una guida per il gender procurement nel 2017, la Commissione europea lo ha integrato nella strategia per l’uguaglianza di genere 2020-2025 e diverse pubbliche amministrazioni anche in Italia hanno sperimentato, anche se in maniera frammentata e discontinua, forme di gender procurement nei propri appalti pubblici (per esempio regione Veneto e regione Lazio), anche le clausole di premialità e condizionalità del Pnrr sono un tentativo di applicare misure di gender procurement (un tentativo riuscito male, ma questo è un altro discorso).

Restaurazione trumpiana

Negli Stati Uniti le politiche DEI si sono tradotte negli anni in una serie di provvedimenti prescrittivi e in quote da rispettare a favore dell’inclusione delle donne e delle minoranze nelle imprese, nelle istituzioni e nel sistema dell’istruzione; in un mercato del lavoro che offre garanzie molto diverse da quelle della maggior parte dei paesi europei (vale la pena ricordare che negli Usa non esiste un diritto al congedo di maternità retribuito, che viene concesso come liberalità solo dalle organizzazioni che ritengono utile farlo) le politiche DEI hanno spesso garantito accesso a diritti che in Europa vengono dati come acquisiti e basilari, almeno sulla carta.

Allo stesso tempo, però, le multinazionali americane hanno portato in Europa, attraverso le pratiche DEI, esempi di pratiche sostanziali di uguaglianza nei luoghi di lavoro, capaci di coinvolgere anche gruppi meno tutelati dai vari ordinamenti europei (si pensi, ad esempio, al riconoscimento dei congedi di genitorialità delle coppie dello stesso sesso che alcune imprese attuavano su base volontaria andando oltre le previsioni di legge).

Quello di Trump, quindi, non è solo un attacco tecnico: è un messaggio politico. Non si limita a fare marcia indietro: è un’opera di restaurazione che usa gli strumenti di governance di genere e le pratiche DEI rovesciandone l’intento. Se, infatti, prima dotarsi di misure e politiche di parità, diversità ed inclusione era premiale ora va a detrimento.

La leva è sempre la stessa: la consapevolezza del ruolo della pubblica amministrazione e delle grandi imprese nel mercato, ma viene usata per ledere le persone più vulnerabili. Quello che sta accadendo sotto la regia dell’amministrazione Trump non è semplicemente un passo indietro. È un progetto sistemico per smontare ogni infrastruttura normativa e culturale che negli ultimi vent’anni ha cercato di correggere gli squilibri storici di potere.

© Riproduzione riservata