«Mia madre è alawita, originaria di Jable un villaggio sulla costa siriana», racconta a Domani Razar, 26 anni, social media manager di un centro sportivo, rifugiata palestinese-siriana in Libano che preferisce far sapere solo il suo nome.

Vive a Beirut ed è in contatto con la sua famiglia giornalmente. Soprattutto dopo il peggiore massacro dalla caduta di Bashar al Assad, risultato dagli scontri di inizio marzo tra i fedeli dell’ex regime e combattenti sunniti vicini alle nuove autorità siriane nelle regioni costiere della Siria e nelle città di Hama e Homs.

Per sfuggire ai crimini sommari commessi su base confessionale in cui sono stati uccisi circa 1.500 civili inclusi donne e bambini in quattro giorni secondo l’Osservatorio per i diritti umani in Siria, migliaia di persone si sono rifugiate in Libano nel corso degli ultimi giorni.

Secondo l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), circa 22mila persone sono arrivate in Akkar, regione del nord del Libano tra le più povere del paese, attraversando a piedi il fiume al-Kabir che fa da confine tra i due paesi. Una volta in Libano cercano rifugio nelle municipalità, nelle scuole e nelle moschee di diversi villaggi della zona.

La maggior parte delle famiglie fuggite in Libano fa parte della minoranza alawita, il cui credo deriva dall’islam sciita. Gli alawiti rappresentano il secondo gruppo religioso in Siria dopo i sunniti e dunque la minoranza più vasta del paese (circa il 10 per cento): sono anche il gruppo a cui appartiene la famiglia Assad. Dopo la caduta del regime e le violenze, molti credono che non ci sia più posto per loro nella nuova Siria.

Le violenze 

I massacri perpetrati contro gli alawiti – ma non solo – hanno avuto inizio a partire da giovedì 6 marzo quando alcuni miliziani alawiti considerati dalle nuove autorità siriane fedeli all’ex regime hanno attaccato una pattuglia di forze appartenenti al nuovo governo nei pressi di Jable, a sud di Latakia, uccidendo 14 persone.

L’attuale governo ha allora deciso di dispiegare rinforzi nella zona per reprimere quelli che ha descritto come attacchi premeditati da parte di combattenti allineati alla famiglia Assad. Ma in una intervista a Reuters, l’autoproclamato presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa ha detto che per molti «è diventata un’occasione per avere vendetta» e che alcuni gruppi armati sono arrivati nell’area senza coordinazione con il ministero della Difesa.

Da quel momento la violenza confessionale, rimasta latente o limitata negli ultimi mesi, è esplosa in un massacro che ricorda quelli perpetrati dal precedente regime. «Un mio vicino di casa è stato ucciso mentre guidava, come è successo ad un membro della mia famiglia, mentre un altro è stato ferito», dice Razar.

L’identità di chi ha compiuto questi crimini non è ancora ben definita. Non è chiaro quanti appartengano alle forze da poco disciolte di Hayat Tahrir al Sham (Hts), adesso al governo, o se siano gruppi che le nuove autorità non riescono a controllare.

Nella regione di Latakia, principale porto siriano, vivono tre quarti della minoranza alawita insieme ad altre confessioni, ma i massacri hanno raggiunto anche le città di Hama e Homs, verso l’entroterra.

Secondo l’Osservatorio combattenti filogovernativi stranieri avrebbero ucciso senza riuscire a distinguere tra alawiti e cristiani. Non tutti quelli che sono stati uccisi erano fedeli all’ex regime. Dal 2011 e fino a poco tempo fa questo tipo di crimini è stato perpetrato dal regime di Assad contro le rivolte popolari, spesso utilizzando gli stessi metodi.

«Il 7 marzo hanno attaccato il palazzo di mia zia, sono entrati in tutti gli appartamenti sparando con i mitra. Mia zia si è nascosta in uno dei quartieri sunniti prima di scappare per un’altra località il giorno dopo», continua Razar. «Non si tratta di persone affiliate all’ex regime, è solo razzismo e violenza confessionale», conclude.

Il presidente al Sharaa ha detto di essere pronto a punire i responsabili, anche i suoi stessi alleati.

Secondo Razar, rapimenti e uccisioni di alawiti identificati come affiliati all’ex regime si sono già verificati nei mesi precedenti, fino ad arrivare ai giorni in cui la violenza ha raggiunto il picco. «Oggi la mia famiglia è al sicuro, ma non è tutto finito», aggiunge. Secondo l’Unhcr i fatti di inizio marzo continuano a sfollare persone verso il Libano «in maniera costante quotidianamente».

Il futuro delle minoranza

Appartenente alla minoranza alawita, Assad si era circondato di membri della stessa comunità in molti ambiti del governo, come nell’esercito e negli apparati di sicurezza, noti per la loro brutalità.

Nel contesto di una profonda crisi economica – su cui pesano ancora le sanzioni occidentali – gli alawiti, considerati sommariamente collusi con il precedente regime, sono stati in larga parte licenziati dall’amministrazione pubblica e molti si sono ritrovati disoccupati dopo la decisione di disciogliere l’esercito del precedente regime. Queste misure hanno alimentato un clima già particolarmente teso sulla zona costiera.

Già all’indomani della caduta del regime, l’8 dicembre 2024, nonostante una liberazione quasi senza scontri, i festeggiamenti e le promesse della nuova leadership siriana, alcuni a Damasco si preoccupavano già per la sicurezza delle donne e delle minoranze. Anche la Conferenza per il dialogo nazionale organizzata in poco tempo aveva visto la scarsa partecipazione di alawiti e di altre minoranze.

Mentre si indagano le responsabilità con una commissione d’inchiesta definita indipendente ma che è stata nominata dal presidente al Sharaa e che come ha detto a Reuters include alawiti, restano i dati: quelli dei civili uccisi e quelli di chi cerca rifugio in Libano.

Alcune autorità libanesi hanno mostrato preoccupazione per il nuovo flusso di sfollati della Siria che potrebbe ricreare tensioni in Libano. Una parte della popolazione libanese soffre apertamente la presenza siriana e aveva visto nella caduta del regime l’occasione per il rimpatrio, ma questa non è l’unica ragione. La città di Tripoli, la seconda dopo Beirut, è a maggioranza sunnita così come la regione dell’Akkar e l’afflusso di alawiti potrebbe riaccendere tensioni come già successo durante la guerra civile siriana tra chi a favore e chi contrario al regime di Assad.

Il Libano, infatti, ospita circa 1,5 milioni di cittadini siriani dallo scoppio della guerra civile in Siria ed è il paese che ospita il maggior numero di rifugiati pro capite e per chilometro quadrato secondo le Nazioni unite.

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