Sharaf Barghouti: «Israele ci vuole deboli e divisi. Perciò non libera mio padre»

Sharaf Barghouti, 36 anni, uno dei quattro figli del leader palestinese Marwan Barghouti, arriva alla guida della sua Skoda Qarok blu scura del 2021 davanti al ristorante “Samer” di Ramallah, uno dei migliori della capitale di fatto dell’Autorità Palestinese. Fa tempo appena a salutare e il suo telefono comincia a squillare all’impazzata: le agenzie hanno appena battuto una dichiarazione di Trump a proposito di suo padre, che si trova nelle carceri israeliane da quando lui aveva 12 anni. Alla domanda di Time Magazine su cosa pensi di una sua possibile liberazione, e di un suo possibile ruolo da protagonista nell’ambito del piano di pace, Trump ha risposto che sta prendendo seriamente in esame la questione. «Proprio un quarto d’ora fa mi chiedevano cosa ne pensi», ha detto nello Studio Ovale. «È la mia domanda del giorno, e prenderò ben presto una decisione». L’Aia smonta l’equazione Unrwa-Hamas: così il governo ha diffuso l’accusa costruita da Israele Sharaf non si fa troppe illusioni. «Inshallah», ripete al telefono con la fila di interlocutori. Ed è arrivato anche l’appello della moglie di Barghouti, rivolto proprio a Trump. «Signor Presidente, la aspetta un vero partner, qualcuno che può contribuire a realizzare il sogno che condividiamo di una pace giusta e duratura nella regione», ha dichiarato Fadwa Barghouti. Marwan Barghouti del movimento Fatah è considerato uno dei leader della seconda Intifada e in quanto tale dal 2002 è dietro le sbarre in Israele. Ma rimane il leader palestinese che raccoglie maggiori consensi, ed è al contempo «presentabile» sul piano internazionale – pur avendo scelto la strada della lotta armata, non ha mai compiuto attacchi in prima persona ed è stato dichiaratamente favorevole alla soluzione a due Stati. Arrestato senza prove, torturato e deportato. La storia del palestinese Mourad in Israele Sharaf, le parole di Trump vi danno speranza? Abbiamo appena toccato il fondo, vissuto il momento più duro, quando poche settimane fa papà è stato escluso dalla lista di nominativi per lo scambio di prigionieri con Israele che è coinciso con il terzo cessate il fuoco di Gaza (Israele ha rilasciato 1.718 detenuti e 250 ergastolani, ma non Barghouti, che sta scontando cinque condanne per aver autorizzato, quand’anche non realizzato, diversi attacchi ndr). Siamo rimasti molto delusi, inutile nasconderlo. Non ci piace dire che era la nostra ultima occasione, ma sicuramente era la più grande ad oggi. Ma dall’altro lato siamo contenti che la guerra, anche se non del tutto, si sia in qualche modo fermata. So che mio padre avrebbe rinunciato al proprio rilascio senza pensarci un istante, se questo era il prezzo per fermare le bombe. A questo punto, per il suo rilascio, ci aggrappiamo a qualsiasi cosa ci dia un po’ di speranza. Come le parole di Trump. In passato la sua famiglia aveva ricevuto rassicurazione da diversi leader di Hamas sul fatto che suo padre sarebbe stato una priorità nei prossimi scambi di prigionieri. Come mai pensa sia rimasto fuori? Perché Israele sa bene che è la figura più popolare e amata sulla scena politica palestinese, simbolo di unità fra le fazioni. E vogliono fare di tutto per fare in modo che rimaniamo divisi. Gli americani ci hanno detto che non avevano problemi con mio padre, ma c’è stato un forte rifiuto da parte israeliana. Ben Gvir e Smotrich hanno minacciato di ritirarsi dal governo. E Hamas si trovava in una posizione negoziale molto difficile. Israele e Hamas, le instabilità incrociate che mettono a rischio il piano di pace Avete avuto notizie di lui tramite i prigionieri usciti? Si, mia madre Fadwa è andata in Egitto per incontrare gli ergastolani che Israele ha rilasciato in esilio lì (circa 150, ndr). La maggior parte sono di Fatah, il suo movimento. Ayman Sharbati e Hussam Matar, che erano suoi vicini di cella nella prigione di Megiddo, lo hanno visto arrivare dopo un trasferimento il 14 settembre. Non era in grado di camminare, ed è stato per due ore e mezzo in infermieria. Poi gli ha raccontato che è stato picchiato, a quanto pare ha quattro costole rotte, ed è svenuto per 25 minuti. È molto preoccupante perché mio padre sta invecchiando, ha 66 anni, per questo stiamo cercando di accelerare la campagna per il suo rilascio. Il tempo non è dalla nostra parte. Suo padre era in favore dei due Stati. Crede lo sia ancora? Sì. È un uomo realista. È stato uno degli artefici degli accordi di Oslo, grazie ai quali è tornato in Palestina dopo essere stato in esilio fra il 1987 e il 1994 fra Giordania e Tunisia. Poi lui stesso li ha criticati perché non sono stati attuati fedelmente. È un tipo coraggioso quando si tratta di pace e coraggioso quando si tratta di lottare per il suo popolo. Voglio ricordare che ha solo fatto appello alla resistenza entro i confini del 1967, non dentro Israele, e non contro civili. Quello che rivendica è il diritto di difenderci nella nostra terra, come è sancito dalla legge internazionale. La pace che non c’è. Israele e Hamas ricominciano a sparare Quand’è l’ultima volta che l’ha visto? Nel 2021, da allora non ci hanno più lasciato andare a trovarlo. L’unico che ha passato un po’ di tempo con lui è mio fratello Qassem, quando è stato a sua volta incarcerato. Però di recente l’ho visto nel famoso video girato da Ben Gvir, che è andato a provocarlo in carcere. Ben Gvir ha condiviso sui social soltanto i secondi in cui parlava lui, ma io ho saputo cosa gli ha risposto mio padre. Gli ha detto: “Dovresti vergognarti dei tuoi capelli bianchi, alla tua età ti comporti ancora da teenager”. Poi ha aggiunto: “Noi palestinesi non andremo da nessuna parte. Siamo 8 milioni. Voi non andrete da nessuna parte, e siete anche voi 8 milioni. Quindi non avete altra scelta che concederci i nostri diritti. E un giorno lo farete”. Cosa pensa della situazione di Gaza? Sono contento del cessate il fuoco, ma conosciamo Israele. Sappiamo che lo romperanno, lo stanno già rompendo. I palestinesi non se ne andranno, e in questo secondo me sta la sconfitta di Netanyahu: era questo il principale obiettivo della loro guerra. Non gli ostaggi israeliani, altrimenti non ne avrebbero uccisi a centinaia con i loro bombardamenti (il numero di ostaggi israeliani morti in cattività è di alcune decine, ndr). In futuro Usa e Israele torneranno a dialogare seriamente con i palestinesi? Le opinioni della generazione Z sul conflitto sono diverse da quelle delle generazioni precedenti, e tra 10-20 anni quelli che manifestano in Europa e nel mondo per i nostri diritti saranno al potere. Guarda a New York, la più grande città ebraica del mondo, dove vincerà il candidato sindaco Zohran Mamdani, che è favorevole ai nostri diritti. Gli israeliani sono consapevoli di questo trend, per questo stanno cercando di compiere i loro crimini in fretta. Quanto a Israele, temo la loro sia una società razzista: lo hanno dimostrando eleggendo i leader attuali e sostenendo il genocidio. Non danno peso a vite umane che non siano le loro. Ma il giorno il cui ci daranno i nostri diritti, potranno smettere di spendere trilioni in sicurezza, e saremo felici di vivere accanto a loro. Da Israele all’Indonesia, la chimera della neutralità sportiva