Uno scambio armato a bassa intensità fra militanti armati in territorio libanese e Israele ha subito un’impennata venerdì mattina, con il lancio di una raffica di missili verso lo stato ebraico, trasformandosi in uno dei peggiori scontri dalla guerra del 2006.

Le forze di interposizione dell’Unifil, che dalla Seconda guerra del Libano si avvalgono di un consistente contingente italiano, hanno fatto sapere che «il comandante in capo, generale Stefano del Col, è in contatto con le due parti e chiede un cessate il fuoco immediato», descrivendo la situazione come «molto pericolosa, con azioni offensive da entrambe le parti negli ultimi due giorni».

A preoccupare ulteriormente la leadership politico-militare israeliana è arrivata anche la rivendicazione di Hezbollah, il potente movimento politico e militare sciita e filo iraniano che mantiene un dominio di fatto nel sud del paese dei cedri. L’esercito israeliano in un comunicato di questa mattina ha parlato di «più di dieci razzi» sparati alle 11 del mattino circa verso il nord di Israele.

La rivendicazione

I media locali, che conteggiano anche quelli caduti anzitempo, per errore, in territorio libanese, parlano di un totale di 19 razzi di cui 10 sono stati intercettati dal sistema anti missilistico Iron Dome, il cui primo dispiegamento risale ad un decennio fa. Sei sarebbero invece caduti in territori disabitati, senza causare vittime o danni.

L’esercito israeliano ha risposto colpendo i punti dai quali sono stati effettuati i lanci. Fino a questa mattina Hezbollah aveva preso le distanze dagli attacchi missilistici dal territorio libanese, attribuendoli a gruppi minori di profughi palestinesi. L’ultimo era avvenuto mercoledì, quando tre razzi sono atterrati nella cittadina frontaliera israeliana di Kiryat Shmona, anche in quel caso senza causare vittime.

Lo stesso era avvenuto lo scorso 20 luglio, nella Galilea occidentale, e in tre occasioni durante la guerra fra Israele e i miliziani della striscia di Gaza lo scorso maggio, facendo temere l’apertura di un secondo fronte. Israele ha più volte avvertito che considera lo stato libanese responsabile di ogni attacco che emani dal proprio territorio, ma alla luce dell’apparente estraneità di Hezbollah, aveva risposto con moderazione. Ora le cose potrebbero cambiare.

L’attacco missilistico di venerdì ha preso di mira le alture del Golan, che Israele ha conquistato nel 1967 sottraendole alla Siria. La comunità internazionale – a parte gli Stati Uniti – le considera ancora territorio occupato, ma lo stato ebraico le ha annesse ufficialmente nel 1981 (a differenza della Cisgiordania).

Ci abitano circa 25.000 drusi siriani, che per la maggior parte si rifiutano di accettare la “nuova” cittadinanza israeliana, e altrettanti ebrei israeliani che hanno fondato vari insediamenti negli ultimi decenni.

I testimoni

Samira Rada-Amran, cinquantenne del villaggio di Ein Kinya, uno dei quattro villaggi drusi insieme a Masadeh, Buqata e Majdal Shams, racconta al telefono gli eventi di questa mattina. «Ero a lavorare in banca a Majdal Shams (cittadina sul confine israelo-siriano, ndr) quando il telefonino ha cominciato a suonare all’impazzata – il villaggio di Ein Kinya dove abito era uno dei luoghi in cui erano partite le allarmi anti missili», racconta.

E ancora: «Un collega di Kiryat Shmona è scappato di corsa per andare da famiglia e bambini. Un’amica mi ha mandato un video dei razzi che cadevano in un’area naturale protetta vicina alle nostre case. Fra i drusi qualcuno tifa Hezbollah, qualcuno no, ma nessuno vuole vedersi la guerra arrivare in casa».

Diversi razzi sono atterrati anche nelle fattorie di Sheb’a (Monte Dov nel lessico israeliano), un piccolo territorio rurale di confine che è sotto Israele ma viene rivendicato dai libanesi. In verità, come gli ufficiali militari israeliani amano ricordare durante i briefing alla stampa nelle zone di frontiera, secondo le cartine dell’Onu il territorio ricadrebbe sotto il Golan siriano, non il Libano, e, avendo Israele occupato le alture, non sarebbe passibile di rivendicazioni da parte di Beirut. Lo scorso 4 agosto, il Libano ha celebrato il primo anniversario della violenta esplosione del porto che un anno fa ha fatto oltre 200 morti e danni incalcolabili a causa di 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio stoccate nel modo sbagliato. Il paese versa in una crisi economica senza precedenti dall’epoca della guerra civile.

Lo scorso 26 luglio il miliardario sunnita Najib Mikati è stato nominato premier designato per formare un esecutivo che manca da 12 mesi, ma la strada per lui è irta di ostacoli. Il 30 luglio l’Unione europea ha annunciato sanzioni contro politici libanesi.

L’esercito israeliano ha suggerito che Hezbollah stia tentando, attraverso l’attacco contro Israele, di sviare l’attenzione dalla crisi interna.

La crisi libanese e l’Iran

Il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, ha però ammonito che Israele «non permetterà che il tracollo sociale, economico e politico in Libano si trasformi in una minaccia alla nostra sicurezza». Ha aggiunto: «Il Libano consente che attacchi terroristici vengano lanciati dal proprio territorio. Lo stato di Israele agirà contro qualsiasi minaccia alla propria sovranità e ai propri cittadini, secondo i propri interessi e nei luoghi e nei tempi appropriati».

L’escalation avviene anche all’indomani dell’insediamento, in Iran, del nuovo presidente, Ebrahim Raisi.

Noto come un falco vicino al leader supremo Ali Khamenei, Raisi ha subito alzato la posta nei negoziati con gli americani sul programma nucleare, che avevano ripreso piede dopo l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. Hezbollah è uno dei bracci armati più importanti dell’Iran nella regione.

La tensione con Teheran sta salendo anche nel golfo Persico, dove la scorsa settimana un drone iraniano ha colpito una nave, di proprietà indirettamente israeliana, uccidendo due membri dell’equipaggio, un cittadino rumeno e uno inglese.

Quello settentrionale è considerato da Israele il fronte più caldo, proprio per le capacità militari e gli arsenali di Hezbollah, di gran lunga superiori a quelli dei miliziani della striscia di Gaza.

Dal 2018 l’esercito ha unilateralmente iniziato la costruzione di un muro di cemento al confine, che per ora però scorre per soli 11 chilometri. E che nulla può contro i sofisticati missili dei miliziani.

Nel Dicembre 2018, con un’operazione militare battezzata “Scudo Settentrionale”, l’esercito israeliano ha distrutto una serie di tunnel che gli uomini di Hezbollah avevano scavato per penetrare in Israele dalle zone di frontiera, in occasione di un prossimo conflitto.
L’esercito israeliano dice di conoscere i dettagli di un programma militare segreto di Hezbollah denominato “Piano per l’occupazione della Galilea”, che prevederebbe un tentativo di conquista, seppur temporanea, di alcune cittadine nel nord di Israele.

 

© Riproduzione riservata