Questo è un passaggio chiave non solo del conflitto in Ucraina, che va avanti, ma della definizione di un nuovo equilibrio internazionale, che è la posta in gioco di questa guerra. Gli Stati Uniti tentano la doppia spinta: a est, affrontano la Cina, con l’intenzione di forzarla ad abbandonare ogni ambiguità di campo. Questo venerdì le interlocuzioni si sono svolte al più alto livello: il presidente statunitense Joe Biden si è collegato per quasi due ore in videochiamata con il suo omologo cinese Xi Jinping. A ovest, Washington preme perché l’Ue, già sua alleata, vada allo scontro finale di contromisure con Mosca, anche sul fronte energetico. Il segnale della presenza di Washington al tavolo delle decisioni europee arriva dalle parole dello stesso premier italiano. Mario Draghi osserva infatti, riferendosi all’agenda di Biden per la prossima settimana: «Non ricordo altre occasioni nelle quali un presidente Usa abbia partecipato di persona a un Consiglio europeo». In vista del vertice Ue, il governo Draghi lavora su energia e debito comune; rafforza l’alleanza meridionale sul primo fronte, e tiene i dialoghi aperti coi paesi frugali per il secondo. Mentre il fronte occidentale si compatta, Vladimir Putin tiene i contatti sia con il cancelliere tedesco sia con il presidente francese.

Biden affronta Xi

L’obiettivo più ambizioso degli Stati Uniti è che Xi Jinping «scelga la parte giusta della storia», per usare le parole di Wendy Sherman, la vicesegretaria di Stato. Prima che fosse Biden in persona a parlare con il presidente cinese, ci sono state ore di incontri preparatori, a Roma, tra le diplomazie dei due paesi. Poi la videochiamata di due ore durante la quale l’obiettivo si modula: evitare, quantomeno, che Pechino non aiuti concretamente la Russia. Il che non vuol dire necessariamente supporto militare, come Washington ha ventilato, ma anche solo addolcire a Mosca il peso delle sanzioni occidentali fornendole vie di fuga. Dopo un primo scambio di moniti – gli Usa che arrivano alla telefonata sventolando come monito contromisure verso Pechino stessa, la Cina che respinge «minacce e coercizioni» – i due leader hanno concluso che lo scontro frontale non conviene a nessuno. Pechino, che invita a un dialogo tra Usa, Nato e Mosca, dice di aver portato a casa un punto chiave: che Biden non sostenga l’indipendenza di Taiwan. La Casa Bianca rivendica di non volere «una nuova Guerra fredda».

Il summit Ue-Cina

Anche l’Unione europea ha previsto un momento di dialogo con la Cina. Il primo aprile si terrà il summit Ue-Cina, sul quale proprio questo venerdì si sono messi al lavoro i rappresentanti degli stati membri a Bruxelles. Il vertice è stato annunciato dopo l’invasione, a fine febbraio, con la consapevolezza che «siamo in una fase complicata delle relazioni con la Cina», come ha detto il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, che ha anche la delega al Commercio. E che si riferiva sia all’accordo sugli investimenti congelato, sia alle dispute su Lituania e Taiwan, ma soprattutto al «rischio che Pechino non si allinei all’occidente» nel contesto di guerra.

La pressione sull’Europa

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La prossima settimana Joe Biden sarà a Bruxelles, dove si condensano di conseguenza appuntamenti decisivi. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha da poco convocato il G7 per giovedì. Ci sarà anche un vertice straordinario della Nato. Inoltre, il presidente Usa farà un passaggio anche al vertice dei capi di stato e di governo: giovedì e venerdì prossimi è in agenda un Consiglio europeo. Nella prima giornata, Biden parteciperà per parlare della guerra «e del rafforzamento della cooperazione transatlantica in risposta all’aggressione russa». Un punto è la sicurezza, e in questa fase sono in corso riallineamenti: Emmanuel Macron, che nel 2019 parlava di «una Nato in coma», ora mentre presenta il suo programma elettorale ammette che «la guerra è stata un elettroshock».

Ma la presenza – e l’influenza – di Biden incide anche sulle misure economiche. Mentre l’Ue valuta il quinto pacchetto di sanzioni, gli Usa spingono perché l’intervento sia anche sull’energia.

Gli allineamenti nell’Ue

Mentre Estonia, Lettonia e Lituania espellono i diplomatici russi, e la Polonia si vede passare i missili di Mosca a poche decine di chilometri dal suo confine, sia i paesi baltici sia l’est Europa sostengono l’opzione di colpire anche le esportazioni russe di petrolio e gas. Ma la pressione di Washington è pensata per altre capitali più refrattarie, prima fra tutte Berlino, che ha espresso timori per uno stop dei flussi. Intanto Draghi, dopo il Consiglio europeo di Versailles e in vista di quello della prossima settimana, lavora su due direttrici.

Le direttrici di Roma

Per l’energia, questo venerdì a Roma, i premier italiano, spagnolo, portoghese, e in collegamento quello greco, hanno dato un segnale di compattezza: l’obiettivo è scuotere Commissione e governi. «Non possiamo aspettare un solo giorno di più!», ha detto lo spagnolo Pedro Sánchez. Di fronte al caro prezzi dell’energia, iniziata già prima dell’invasione, e alla volatilità sui mercati, i quattro paesi rivendicano una risposta comune. Insistono su acquisiti e stoccaggi comuni, tetti ai prezzi di importazione del gas e separazione tra prezzo del gas e dell’elettricità. Intanto palazzo Chigi, in attesa che «i tempi siano maturi» per un ulteriore debito comune di guerra, tiene aperto anche il dialogo con il governo olandese, reticente all’idea. Questo venerdì il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha accolto a Roma il suo omologo.

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