Tra terre rare, soia e dazi: braccio di ferro Trump-Xi

Nemmeno un seme di soia statunitense è stato scaricato nei porti cinesi il mese scorso, mentre, in direzione opposta, le esportazioni di terre rare venivano ridotte del 30 per cento. Il comunicato che ha chiuso il IV plenum del XX comitato centrale è pieno dell’esortazione a «combattere»: il «fight» trumpiano è diventato il grido di battaglia anche di Xi Jinping, a cui il partito ha appena rinnovato la fiducia nella convinzione che «l’Oriente è in ascesa e l’Occidente è in declino» (dōngshēng xījiàng), che è l’ora della Cina. Non ci sarà nessun “grand bargain” tra Xi Jinping e Donald Trump quando, giovedì prossimo, si vedranno faccia a faccia in Corea del Sud, prima del vertice Apec. Tariff Man ha annunciato che ha «fissato un lungo appuntamento con Xi, durante il quale risolveremo un sacco di problemi». «Penso che faremo un accordo sulle terre rare, è il minimo. Guardate, i dazi sono molto più potenti delle terre rare. Credo che raggiungeremo un’intesa anche sulla soia», ha dichiarato il presidente Usa prima di partire. Alla preparazione del summit coreano hanno lavorato a Kuala Lumpur le delegazioni dei due paesi, guidate dal vice premier He Lifeng e dal segretario al tesoro, Scott Bessent e dal rappresentante per il commercio, Jamieson Greer. È il quinto round di trattative in vista della stretta di mano tra i due leader, che non si vedono di persona da sette anni. Nuove tecnologie e più welfare, nel piano quinquennale la scommessa della Cina per superare gli Usa Un lavoro che ha portato agli annunci di ieri. Bessent ha dichiarato di aver raggiunto un accordo di massima con il team cinese per escludere i dazi Usa al 100 per cento. In cambio Pechino dovrebbe rinviare di un anno le restrizioni all’esportazione di terre rare, oltre a riprendere gli acquisti di soia statunitense e a intervenire sui flussi di Fentanyl. Anche sulla vendita della branca americana di TikTok l’intesa sarebbe stata trovata. Ma bisognerà aspettare giovedì per l’ufficialità. Blocco dei software Nel frattempo Pechino ha bloccato le importazioni di petrolio russo via mare, ma l’ha fatto per proteggere i suoi giganti di stato dalle sanzioni Usa, non per smarcarsi da Vladimir Putin. Per la Cina la Russia resta un quasi-alleato, mentre gli Stati Uniti (e le loro punizioni unilaterali) rappresentano un avversario, con il quale, se possibile, venire a un accomodamento, che tuttavia non rallenterebbe la competizione strategica tra le prime due economie del pianeta. La tecnologia continua a essere al centro del confronto. In quella che potrebbe essere una tattica per provare a ottenere altre concessioni da parte cinese (ma che potrebbe pure finire per segnare un’escalation) Trump aveva annunciato possibili restrizioni all’esportazione in Cina di software di largo impiego. Una rappresaglia dopo che la Cina, il 9 ottobre, ha irrigidito il controllo delle terre rare esportate negli Usa, a sua volta in risposta all’annuncio di Washington, del 29 settembre, che qualsiasi azienda a maggioranza controllata da un’entità presente nella loro Entity List sarebbe stata automaticamente soggetta a restrizioni sull’export. A quel punto Pechino ha applicato controlli all’esportazione su quasi tutte le terre rare e Trump ha risposto con i dazi aggiuntivi («inapplicabili») del 100 per cento alla Cina, che al momento sembrano rinviati. Nella capitale malese i funzionari delle due amministrazioni hanno cercato di dipanare questa matassa sempre più folta e intricata di divieti e restrizioni, per favorire il buon esito di un summit in cui entrambe le parti dovranno portare a casa qualcosa. TikTok e commercio, cosa c’è dietro l’accordo quadro tra Cina e Usa Il peso degli agricoltori Trump ci arriva in posizione di svantaggio. Strutturale anzitutto: il caos del suo governo ha provocato, tra l’altro, lo shutdown, con il blocco dell’attività amministrativa. Dall’altra parte c’è la stabilità e la visione di lungo periodo del partito-stato, che ha appena discusso il XV Piano quinquennale (2026-2030) di sviluppo socio-economico. Inoltre il magnate ha fretta, deve rivendicare almeno un successo – un flusso stabile e abbondante di esportazioni di soia, ad esempio – in vista del voto di medio termine dell’anno prossimo, con gli agricoltori che rappresentano una fetta importante dell’elettorato repubblicano. Xi al contrario è relativamente tranquillo. Dopo l’ultima tornata di purghe eccellenti (l’ex membro dell’ufficio politico, He Weidong, espulso dal partito per “corruzione” è stato sostituito alla vice presidenza della Commissione militare centrale da Zhang Shengmin), anche il comitato centrale è sempre più “normalizzato” e l’economia continua a crescere (+4,8 il Pil del terzo trimestre). Anche da un punto di vista caratteriale Trump dovrà vedersela con un osso duro. Infatti è improbabile che la sua spavalderia impressioni Xi, il cui carattere è stato forgiato dalle privazioni subite durante la Rivoluzione culturale. «Non ho mai incontrato nessuno così freddo e calcolatore nel valutare l’interesse nazionale o personale come Xi Jinping», ha dichiarato Ryan Hass. L’ex direttore per la Cina del Consiglio di sicurezza nazionale durante l’amministrazione Biden ha aggiunto che il presidente cinese «non è emotivamente indulgente. Non si lascia facilmente influenzare dal fascino. E penso che dovremmo tenerne conto». Per Jonathan Czin, ex funzionario della Cia esperto di Cina, le restrizioni varate il 9 ottobre da Pechino dimostrano che «Xi sta passando all’offensiva. Si è trattato di una mossa strategica. Non era soltanto una mossa tattica, limitata al prossimo ciclo di incontri». Trump, nel mondo degli autocrati la vanità è la variabile chiave Intesa possibile? Rispetto alla guerra commerciale del 2018-2019, conclusa con l’accordo “Phase One” del gennaio 2020, siamo in un’altra era geologica, nella quale la Cina ha diversificato il suo commercio estero, riducendo la dipendenza dagli Usa (circa il 10 per cento degli scambi globali della Cina nel 2024) e si sta muovendo a tappe forzate verso la indipendenza tecnologica. Qualche giorno fa, per la prima volta il ministero del commercio di Pechino ha pubblicato un documento ufficiale non in formato Microsoft, ma WPS Office, l’alternativa cinese. Mentre l’ennesima delegazione di top manager delle corporation Usa veniva ricevuta dai leader comunisti, Pechino ha fatto capire che, in caso di embargo sui software Usa, sono a rischio centinaia di milioni di licenze Microsoft. Pechino non accetterà accordi al ribasso, anche perché ritiene che sia stata l’amministrazione Trump a sparare il primo colpo dell’ultimo ciclo di attacchi e rappresaglie, con l’allargamento della sua Entity List. Il ministero del Commercio aveva criticato duramente la norma: «Questa mossa degli Stati Uniti è di natura estremamente oltraggiosa. Viola gravemente i legittimi diritti e interessi delle imprese coinvolte, compromette seriamente l’ordine economico e commerciale internazionale e mina in modo grave la sicurezza e la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento globali». Gli Usa non possono vincere la guerra commerciale con la Cina, Trump lo sa Difficilmente Pechino rinuncerà ai controlli sulla vendita delle terre rare, potranno essere allentati ma continueranno a rappresentare l’asso nella manica della Cina nella contesa con gli Usa. Mentre molto più agevole sarà firmare un accordo definitivo sulla soia e sul Fentanyl, come sembra confermato dall’annuncio di Bessent. E Trump lo potrà vendere come un successo al suo elettorato.