A due settimane dall’inizio della guerra in Ucraina sembra aprirsi uno spiraglio diplomatico. Zelensky si è detto pronto al compromesso, mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, nelle ultime dichiarazioni rilasciate alla Cnn non ha più parlato di “denazificare” il paese e di demilitarizzazione, viste le pesanti perdite subite dall’esercito ucraino.

La Russia ha ribadito invece il riconoscimento dell’annessione della Crimea e dell’indipendenza delle repubbliche popolare del Donbass. Inoltre, chiede garanzie, anche a livello costituzionale, che l’Ucraina non entri in alcun blocco e in particolare nella Nato. Ieri Vladimir Putin ha avuto colloqui telefonici con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi che in questi giorni ha tenuto una posizione marginale nelle trattative.

Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, dopo aver fatto visita a Macron l’8 marzo, con il quale ha parlato della crisi umanitaria e nuove sanzioni per la Russia, si appresta a concludere il suo tour europeo con la visita di ieri nel Regno Unito, dove ha incontrato la sua omologa britannica, Liz Truss. 

Col passare dei giorni, le soluzioni diplomatiche sembrano guardare più al Novecento che al futuro. Opzioni, come quella «austriaca» e quella «finlandese», che fanno ormai parte dei libri di storia. Chissà se ne parleranno anche il ministro degli esteri ucraino, Dmytro Kuleba, e quello russo, Sergej Lavrov che oggi si incontrano nell’ambito del forum diplomatico ad Antalya, in Turchia, a casa di Erdogan che insieme a Bennett sta lavorando per raggiungere a una soluzione diplomatica. Entrambi godono di buone relazioni e insieme a Putin hanno relazioni e interessi non soltanto in Siria ma anche nel Mediterraneo centrale.

Finlandization

Tra i primi ad aver ammesso che la “finlandizzazione” dell’Ucraina può essere una soluzione per trovare la pace è stato il presidente francese Emmanuel Macron che ai giornalisti presenti sul suo volo diretto a Mosca prima dell’inizio della guerra ha detto che è un’opzione “presente sul tavolo”. Qualche giorno dopo, in Ucraina, davanti al presidente Zelensky ha cercato di ritrattare. Ma è una soluzione di cui si sta discutendo sempre di più in questi giorni.

Il termine è stato coniato a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta ed è stato utilizzato per descrivere la neutralità della Finlandia nei confronti dell’Unione sovietica durante la Guerra fredda.

Tra le definizioni più diffuse del termine “finlandizzazione” c’è quella che vede la «riduzione di un paese straniero in condizioni di dipendenza economica e politica, pur con relativi margini di autonomia interna». Ed è quello che è accaduto alla Finlandia quando nel 1947 ha firmato il trattato di pace di Parigi in cui in cambio di una non invasione da parte dell’Unione sovietica si è impegnata, tra le altre cose, a non entrare all’interno della Nato.

Analisti ed esperti sono divisi su quanto questa soluzione possa essere applicata all’Ucraina. Come riporta un articolo di Foreign Policy, l’ex segretario di Stato agli Affari europei portoghese, Bruno Maçães, recentemente ha scritto: «Putin non vuole un’Ucraina neutrale, ma vuole un’Ucraina russa».

In pratica, la garanzia che il paese di Zelensky resti fuori dalla Nato non basta, è meglio puntare ad avere un’altra Bielorussia fedele e alleata. Entrando in un’ottica di bilanciamento dei poteri nel continente europeo l’obiettivo di Putin, infatti, è anche quello di mantenere l’Ucraina come stato cuscinetto ed evitare un suo allineamento all’Occidente, come invece accaduto con la Finlandia.

Se per il paese scandinavo il termine “finlandizzazione” è spesso interpretato in un’accezione di sudditanza nei confronti della grande Russia, non si può negare che il paese negli ultimi Sessant’anni si è allontanato dalla sfera di influenza di Mosca.

La Finlandia è riuscita a difendere la sua democrazia, a costruire un’architettura politica ed economica che di fatto le ha permesso di entrare all’interno dell’Unione europea, adottare l’euro e mettere in piedi diversi partenariati economici con Bruxelles. Nonostante questo, però, non è mai entrata all’interno della Nato l’obiettivo principale cercato e ottenuto con quella strategia politica.

Modello Austria

C’è chi pensa anche al modello austriaco come risoluzione della controversia. Richiama la scelta effettuata nel 1955 dall’Austria che ha sancito tramite un atto costituzionale approvato dal parlamento la sua perpetua neutralità nei confronti delle dispute internazionali.

Gli austriaci si liberarono dei francesi, britannici, americani e sovietici in cambio della neutralità in caso di conflitti futuri e questo, tradotto in termini pratici, significa anche non aderire alla Nato. Ciononostante l’Austria fa parte dell’Unione europea e di quel gruppo di paesi associati alla Nato, che vengono invitati agli incontri come osservatori.

A oggi una neutralità perpetua dell’Ucraina significherebbe non avere truppe straniere nel territorio, non aderire alla Nato, non permettere che gli stati vicini possano raggruppare truppe lungo il confine e avere delle forze armate limitate alla sicurezza interna e alla partecipazione delle missioni di peacekeeping delle Nazioni unite.

Ma la questione Ucraina ha caratteristiche diverse rispetto a quella finlandese e austriaca. Nel paese Zelensky deve tenere conto del sentimento popolare emerso dopo le manifestazioni europeiste iniziate a fine 2013. Senza contare che negli ultimi anni, secondo un sondaggio citato da Foreign Policy, nel 2012 gli ucraini che vedevano la Nato come la migliore opzione alla propria sicurezza erano il 13 per cento, nove anni dopo quel dato è aumentato al 53 per cento.

Zelensky, inoltre, deve prendere in considerazione anche le istanze dell’ala separatista e filorussa prevalente nel Donbass e in Crimea. Come mettere d’accordo i due opposti? Gli accordi di Minsk firmati nel 2015 prevedevano, tra le altre cose, anche un maggior decentramento dei poteri di Kiev a favore di una maggiore autonomia delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk.

Oggi quella soluzione sembra non essere sufficiente. E tra l’opzione austriaca e finlandese prende piede l’idea di rivedere l’intesa di Minsk.

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