«Sei libero di dire quello che vuoi, ma tieni presente che qui ci sono due soldati pronti ad ammazzarci se diciamo qualcosa di sbagliato». Pausa. «Scherziamo, umorismo russo». Inizia così la registrazione di un talk show di Russia Today dove mi sono trovato ospite, per parlare della guerra direttamente dai microfoni dell’emittente usata per la propaganda del Cremlino. Per testarne i limiti e capirne le parole d’ordine.

In una puntata di Otto e mezzo, il talk show italiano condotto da Lilli Gruber su La7, qualche giorno fa mi sono trovato a dibattere con Nadana Fridrikhson, giornalista russa di RT e della radio del ministero della Difesa, che negava ogni censura in Russia e vantava le virtù del dibattito libero nel paese impegnato nella “operazione speciale” ucraina che, assicurava Nadana, si può chiamare anche “guerra” in televisione senza rischiare il carcere. Benissimo, le ho scritto dopo la trasmissione, vediamo se è davvero così: se mi inviti, io ci vengo alla tua trasmissione.

Lei mi ha invitato e io ho partecipato, a due talk diversi: uno di RT (Letuchka), la televisione russa che diffonde la visione del mondo del Cremlino in varie lingue, pensata soprattutto per il pubblico estero e che infatti la Commissione europea ha oscurato dopo l’invasione dell’Ucraina, e l’altra a una trasmissione radio dell’emittente del ministero della Difesa russo (mandata anche in video online).

Si può dire tutto?

Le regole di ingaggio sembrano chiare: nessun filtro, posso dire quello che voglio, loro fanno le domande, io rispondo come credo. Ovviamente c’è qualche precauzione da parte russa: la trasmissione tv è registrata, in studio ci sono Georgy Babayan e Nadana Fridrikhson, le domande sono in russo, io devo rispondere in italiano, un interprete traduce in entrambi i sensi (non posso quindi sapere cosa viene detto esattamente). Dopo la registrazione, si prendono quasi una settimana prima di mettere online la trasmissione, con un po’ di montaggio, un po’ di campi e contro-campi, qualche immagine aggiunta a vivacizzare.

Stesso formato alla radio, che però è in diretta, deduco anche venga trasmessa la versione video sul web, perché gran parte del format è il commento a video mostrati dalla redazione: atrocità commesse non si sa bene da chi e dove, ma i russi dicono si tratti di ucraini, e poi interviste a passanti senza nome o ombre senza volto che raccontano i crimini commessi dagli ucraini: «Prego, commenta queste immagini».

Le didascalie scelte dalla redazione per presentare l’intervista su RT sono queste: “Sull’operazione speciale, i nazisti in Ucraina, il genocidio del Donbass. I nostri contro l’Europa”. E ancora: “Il mondo occidentale ha una sua visione sulle ragioni e gli scopi dell’operazione speciale russa. Perché per 8 anni l’Europa non ha visto quello che succedeva nell’Ucraina orientale? Cosa sanno degli accordi di Minsk i giornalisti che fanno luce sugli eventi odierni? Come si parla dei neonazisti in Ucraina nei media stranieri?”.

Più domande

RT è una tv di propaganda, il suo motto “Question more”, cioè “fai più domande”, indica la leva su cui agiscono i media voluti dal Cremlino per interagire con l’opinione pubblica internazionale: se l’Occidente dice di essere pluralista e democratico, allora deve includere anche il punto di vista russo e legittimarlo, a prescindere dalla fondatezza delle tesi sostenute.

Nel dibattito su RT, pero, le domande le fanno solo i conduttori, è un interrogatorio allo scopo, si suppone, di dimostrare che chi dall’Occidente contesta l’aggressione di Putin è soltanto mal informato o impreparato.

«Lo sai cosa è successo il 2 maggio del 2014?», è la tipica domanda a freddo.  Si tratta degli scontri a Odessa, che hanno causato 48 morti, in uno dei momenti più drammatici della tensione seguita al movimento di piazza Maidan, cioè la rivolta contro l’esecutivo filorusso di Viktor Yanukovich.

Secondo l’Onu, che ha ricostruito i fatti, la violenza c’è stata da entrambi i lati, filorussi e anti-russi (“pro-unitari”), non è neppure ben chiaro chi abbia le maggiori responsabilità, gli osservatori dell’Onu sostengono addirittura che siano stati i filo-russi a lanciare le Molotov che poi hanno causato la strage.

Ma poiché le autorità ucraine poi hanno condotto indagini molto superficiali, che di fatto hanno lasciato la violenza senza colpevoli, gli scontri di Odessa sono assurti nella propaganda filo-russa a simbolo delle violenze ucraine. In questa e altre occasioni, durante la trasmissione, rivolto ai miei interlocutori la stessa domanda: «Anche ammesso che le violenza si siano consumate del modo che voi dite ai danni dei russi, in che modo questo legittimerebbe l’esercito russo a macchiarsi di crimini analoghi oggi in Ucraina?». Nessuna risposta, ma almeno mi lasciano parlare.

Uccidere tutti i nazisti

Poi c’è l’ossessione del battaglione Azov: i giornalisti russi non provano a difendere le azioni del proprio esercito in terra ucraina, neppure un accenno alle operazioni sul campo, tutta la propaganda è volta a dimostrare che gli ucraini se lo meritano, che vanno effettivamente de-nazificati. E quindi lunga lista dei crimini dei nazionalisti di Azov, che hanno svastiche tatuate, e tutto il resto: poiché sono stati integrati nell’esercito regolare ucraino, l’Occidente rifornisce di armi anche i nazisti di Azov, questa l’accusa.

Le accuse ai nazionalisti ucraini, tutti equiparati a nazisti, sono cruciali nel messaggio russo perché permettono ai giornalisti di RT di difendere l’unica argomentazione rimasta a sostegno di una “operazione militare speciale” che sta andando peggio del previsto: l’esercito russo deve de-nazificare l’Ucraina e proteggere i russofoni (che, per la verità, non hanno accolto festanti i liberatori, anzi).

I giornalisti spiegano che “non ci saranno più nazisti in Ucraina”. Visto che per i loro standard sono sospettabili di nazismo tutti coloro che non si schierano con Putin, chiedo: «Cosa vuol dire? Che li ucciderete tutti?».

Parlano in russo, l’interprete non traduce, poi: «Bella domanda». E spiegano: «Noi offriamo corridoi umanitari, anche per i nazisti di Azov, hanno la vita garantita. Per il momento questa offerta è attiva e non vogliamo uccidere tutti». Per il momento.

La parola chiave

Russian military vehicles move on a highway in an area controlled by Russian-backed separatist forces near Mariupol, Ukraine, Monday, April 18, 2022. Mariupol, a strategic port on the Sea of Azov, has been besieged by Russian troops and forces from self-proclaimed separatist areas in eastern Ukraine for more than six weeks. (AP Photo/Alexei Alexandrov)

«Tu lo sai chi era Stepan Bandera, eh?». Bandera è la parola chiave: chi lo nomina, sta seguendo la scaletta della propaganda putiniana. Non può essere questione di attualità, Bandera è morto nel 1959, ricordato come combattente nazionalista, contro i russi, antisemita, complice dei nazisti. «Lo sapevi che gli hanno intitolato strade di recente in Ucraina?».

No, non lo sapevo, ma la toponomastica non mi pare un valido argomento per spiegare l’intervento dei tank russi in Donbass. «E se in Italia intitolassero una strada a Benito Mussolini? A Roma ce l’avete?». Lo sanno anche loro che non c’è, ma spiego che abbiamo interi quartieri costruiti ai tempi del fascismo e che sono pure considerati belli, visto quello che è venuto dopo (correttamente montano in sovrimpressione immagini dell’Eur). E nessuno pensa di fare stragi per questo.

«E il viale degli angeli a Donetsk lo conosci? Con le vittime dei nazisti? E lo sapevi che l’ex presidente Petro Poroshenko ha detto che i bambini ucraini dovevano andare a scuola e quelli russi nelle cantine?». Si continua così per un po’.

L’interrogatorio poi, sia in radio sia in tv, si concentra sugli accordi di Minsk del 2015: qui il messaggio russo è più sofisticato. La Russia, con la propaganda del Cremlino, sostiene di essere soltanto un garante di quell’intesa diplomatica, non una delle parti in causa: Mosca, sullo stesso piano di Parigi e Berlino, ha imposto una tregua agli scontri nel Donbass in Ucraina, quindi ogni violazione del cessate il fuoco è imputabile soltanto a Kiev e alla violenza dei non filo-russi contro i russofoni.

Il resto del mondo sa che dietro l’escamotage diplomatico di presentare la Russia come garante, lo scopo degli accordi di Minsk era proprio di vincolare l’azione di Vladimir Putin e spingerlo ad abbandonare i propositi di annessione del Donbass che poi, sette anni dopo Minsk, hanno portato alla guerra attuale.

Le violenze da parte ucraina sono continuare anche perché la Russia non ha mai rimosso i suoi apparati militari sostegno dei separatisti filo-russi sostenuti da Mosca. «La Russia non c’entra niente, era solo osservatore, doveva essere l’Ucraina a rispettare questi accordi», ripetono  Georgy Babayan e Nadana Fridrikhson in studio a RT.

A un certo punto l’interrogatorio finisce, nessuno ha cambiato idea, ma sempre meglio parlarsi che spararsi, anche nel pieno di una guerra. E comunque, al netto di qualche possibile aggiustamento nelle traduzioni (tocca fidarsi), magari qualche spettatore di RT ha davvero sentito parlare di “guerra” e di Putin come un criminale internazionale.

Avrò fatto la mia parte nel permettere alla propaganda della Russia di presentarsi come più liberale di quanto la consideriamo, o forse nessuno ha visto e sentito le lunghe trasmissioni a cui ho partecipato. Forse era tutta una complessa operazione per convincere me, in quanto giornalista occidentale, di poter dire tutto quello che volevo in Russia. Chissà, l’Unione europea ha bloccato RT in Europa, YouTube impedisce l’accesso ai contenuti di propaganda, ma il video si trova su RuTube.ru. O almeno io lo trovo, chissà.

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