Mentre Teheran festeggia (donne comprese sebbene separate dal settore degli uomini) per la qualificazione al campionato del mondo di calcio per la terza volta consecutiva al moderno stadio Azari (che significa libertà in persiano), gli Stati Uniti e i loro alleati europei sembrano sul punto di ripristinare l'accordo a Vienna che limitava il programma nucleare iraniano ai soli fini civili.

Lo hanno reso noto alcune fonti dell'amministrazione Biden al New York Times, ma hanno altresì avvertito che ora la palla è nel campo di Teheran, cioè alla guida suprema Alì Khamenei, a cui spetta decidere se, dopo mesi di negoziati, è pronto a smantellare gran parte delle sue centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, accettare le ispezioni dei “segugi” dell’Aiea, l’agenzia atomica delle Nazioni Unite con sede a Vienna, in cambio dell'allentamento delle sanzioni economiche che hanno strangolato l’economia iraniana.

La cautela è d’obbligo ma parlando con i giornalisti a Washington, un alto funzionario del dipartimento di stato americano ha segnalato, riporta il Nyt, che i negoziati hanno raggiunto un punto in cui i leader politici devono decidere se accettare gli elementi chiave di un accordo che in sintesi sarebbe un ritorno all’accordo del 2015 che il presidente Donald Trump, aveva stracciato nel 2018, nonostante le obiezioni di molti dei suoi consiglieri.

La mossa unilaterale americana ha permesso all’Iran di riprendere la sua produzione di materiale nucleare, in alcuni casi arricchendo il combustibile nucleare a livelli molto più vicini (60 per cento) a quelli necessari per fabbricare armi nucleari (90 per cento). Una decisione che ha molto allarmato il premier israeliano Naftali Bennett. In precedenza l’Iran non arrivava al 20 per cento di arricchimento per usi medici.

Per il presidente Joe Biden, ripristinare l’accordo con Teheran, e con esso i limiti alla capacità produttiva dell’Iran, consentirebbe di mantenere un’importante promessa elettorale ed evidenzierebbe finalmente una rottura significativa con la precedente politica estera unilaterale di Trump. Secondo alcuni analisti basati a Londra molto dipenderà dall’intensità delle pressioni che Russia e Cina faranno sull’Iran per spingerla ad accettare l’accordo firmato nel 2015 da Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti insieme a Russia e Cina (5+1).

I rischi politici

President Joe Biden speaks during a meeting with the Qatar\'s Emir Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani in the Oval Office of the White House, Monday, Jan. 31, 2022, in Washington. (AP Photo/Alex Brandon)

Sembra che il presidente russo Vladimir Putin nell’ultimo incontro a Mosca con il neo presidente iraniano Ebrahim Raisi, lo abbia trattato come un interlocutore minore nella partita in corso in medio oriente. Ovviamente la mossa di apertura di credito di Biden a Khamenei, se andrà in porto, comporta anche notevoli rischi politici interni per i democratici.

Inutile ricordare che nessun deputato repubblicano ha votato per l’accordo nel 2015 e il suo ripristino sarebbe quasi sicuramente usato come una clava dai seguaci di Trump nel dibattito elettorale nelle elezioni di medio termine.

In effetti ci sarebbero delle criticità nella riedizione dell’accordo: come l’intesa originale, il nuovo non limiterebbe lo sviluppo missilistico dell’Iran. Inoltre, non fermerebbe il sostegno di Teheran ai gruppi terroristici o ai suoi alleati, che hanno suscitato disordini in tutto il medio oriente, come hanno chiesto alcuni democratici e quasi tutti i repubblicani. Nulla su quello che viene definita l’espansione della mezzaluna sciita verso il Mediterraneo e il mar Rosso.

Sale l’importanza del Qatar

In questo quadro in movimento va segnalato che gli Usa hanno rafforzato l’alleanza con il Qatar. Doha potrebbe sopperire alla mancanza di forniture di gas all’Europa tramite Gnl (gas naturale liquefatto) in caso di un’interruzione dei flussi provenienti dalla Russia in seguito a un'escalation in Ucraina.

Durante i colloqui di lunedì alla Casa Bianca con l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, il presidente Joe Biden, ha sottolineato che «il Qatar è un buon amico e un partner affidabile e capace», rivelando l’intenzione di notificare al Congresso la futura designazione del paese come «un importante alleato non Nato»: questa classificazione trasformerebbe il paese del Golfo nel più importante partner militare degli Stati Uniti al di fuori dell’Alleanza atlantica al pari di Israele, Giappone e Pakistan.

Secondo gli analisti, la designazione sarebbe un modo di Washington per spingere il cauto Qatar (alleato della Turchia di Erdogan) ad accettare gli “Accordi di Abramo” tra Emirati, Bahrein ed Israele, a cui hanno aderito anche Marocco e Sudan. Il Qatar è il secondo esportatore di Gnl al mondo e il quarto di gas.

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