Paolo Borsellino è stato ucciso il 19 luglio di trent’anni fa in via d’Amelio a Palermo. Sua figlia, Fiammetta, ha detto, ormai quasi un mese fa in un’intervista all’Espresso, che non parteciperà ad alcuna cerimonia dello stato: «Ho deciso che è inutile andare allorquando ho avuto chiara certezza che personaggi di primo piano delle istituzioni non avevano fatto il loro dovere». Eppure non smette di andare nelle scuole. «È l’unico posto dove mi trovo a mio agio a raccontare di papà. Solo il contatto con menti pure, disinteressate, senza secondi fini, mi dà serenità».

La commemorazione

A trent’anni dal 23 maggio 1992, il giorno in cui il giudice Giovanni Falcone è stato ucciso dalla mafia, Palermo si è riempita di lenzuola illustrate, ben 1.400 drappi preparati da 1.070 istituti scolastici, come proposto dal bando della Fondazione Falcone e dal ministero dell’Istruzione. Al progetto, introdotto dall’hashtag #LaMemoriaDiTutti, è seguito l’annuncio dello scorso 22 maggio riguardo lo stanziamento di un milione di euro per progetti sulla legalità.

La scuola, dice il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi a Domani, «è per sua natura il luogo della legalità, perché attraverso la conoscenza e la vita di relazione punta a formare cittadini, responsabili e partecipi». I progetti “legalità” fino ad oggi non sono mancati ma adesso serve l’intenzione «di collegare le discipline alla realtà del proprio territorio», spiega Luca Redolfi, dell’Unione degli studenti. Quella finora, racconta, non si è mai manifestata.

La memoria

L’interesse c’è. Piero Grasso, ex magistrato, giudice a latere del Maxiprocesso contro la mafia, quest’anno ha pubblicato un libro per ragazzi scritto con Alessio Pasquini: Il mio amico Giovanni. Non è la sua prima opera e si accompagna a un lavoro che porta avanti da decenni: «Quello di raccontare e tenere viva la memoria è un impegno che ho preso davanti alle bare dei miei amici e colleghi. Le loro parole sono veramente attuali e capaci di formare una nuova classe dirigente e rivolta allo sviluppo del paese», dice mentre sta uscendo da un istituto di Taormina. Negli anni ha avuto centinaia di appuntamenti. Anche Borsellino racconta di essere arrivata a tenere tre incontri a settimana.

Ma chi ha visto in tv le immagini delle stragi di mafia e ha conosciuto in diretta la notizia ha una percezione diversa rispetto alle nuove generazioni: gli adulti di oggi si ricordano anche cosa facevano quando sono accadute, i ragazzi i video dei telegiornali. Ma dopo tre decenni la storia è diventata un racconto, e le informazioni sui quei fatti arrivano «soprattutto per l’iniziativa dei docenti, spesso di italiano o di storia», racconta Grasso.

Nord e sud

La formazione sulla mafia risulta, nonostante la buona volontà di parte degli insegnanti, a macchia di leopardo. Oggi «ci sono posti dove il nome di Falcone dice poco, sanno che è un eroe: sbagliando. Io cerco di far capire che non era un eroe dei videogame, era una persona eccezionale, ma che si può e si deve imitare», dice Grasso.

Alcuni eventi ormai fanno parte della consapevolezza comune, ma il quadro della formazione sulle mafie risulta più legato alla storia che all’attualità. Un conto è sapere che esistono cosa nostra, la camorra, la ‘ndrangheta. Un’altra è avvertirne il pericolo. Un discorso che vale in modo diverso sia nel caso dello studente del liceo Parini di Milano sia di quello della Napoli della Paranza dei bambini.

Nella maggior parte dei casi la criminalità organizzata viene ritenuta un corpo estraneo, soprattutto nelle aree del nord-est come emerge dai risultati dei sondaggi che Libera, l’associazione contro le mafie nata nel 1995, ha sottoposto agli studenti negli ultimi anni. Per come è costruita, spiegano gli studenti, non c’è una narrazione che porta all’interesse sociale: «Della cosiddetta mafia del nord ad esempio si parla molto poco. Tra nord e sud, tra centro e periferia c’è molta differenza su come viene vissuta la criminalità», dice Redolfi.

L’Uds è fiera di aver accolto nel 1994, anno della sua nascita, i gruppi studenteschi contro la mafia e la camorra. Oggi hanno un responsabile legalità e lavorano insieme a Libera: «Con i nostri progetti cerchiamo di eradicare questa dinamica di chi vede ancora solo la mafia con la lupara e invece esiste una mafia differente che gira nel mondo economia e moltissimo al nord». Il problema «è che molto spesso di queste cose parlano solo le organizzazioni esterne e non la scuola al suo interno».

Colmare le lacune

Libera porta avanti da 14 anni un percorso nazionale chiamato “Abitare i margini” che è diretto a docenti di ogni ordine e grado e che punta a coinvolgerli in prima persona: «Li formiamo su determinate tematiche che vanno oltre alla memoria che rischia di diventare retorica» dice Giuseppe Parente, dello staff nazionale di Libera formazione. Parlano con docenti e studenti delle storie delle vittime di mafia, ma anche dei beni confiscati e delle ecomafie.

Occuparsi di mafia per l’associazione non significa solo parlare di criminalità organizzata: «Facciamo lavorare i docenti sul confronto, sulla non violenza e sulla mediazione pacifica dei conflitti. Sono l’impalcatura per avere una cittadinanza attiva antimafiosa». Un tema su cui torna anche Grasso che spiega cosa intende per “nuova cultura della legalità”: «Non è solo rispetto della legalità in sé, ma dei princìpi di uguaglianza, di libertà, dell’ambiente. Rispetto di chi ha la pelle di un colore diverso. Non è possibile fare breccia in tutti, ma ho riscontri che mi dimostrano che funziona quando incontro i ragazzi ad anni di distanza».

L’educazione civica

È tutto nelle mani dell’iniziativa personale dei docenti e degli istituti, a volte direttamente dei ragazzi. Grasso racconta che lo scorso 30 maggio è stato presente a un evento a Siracusa. Una studentessa aveva deciso di invitarlo per la sua classe. Poi si è fatto avanti tutto l’istituto, e alla fine pure altre scuole ed è stato necessario il teatro greco per contenerli tutti. L’interesse è ancora diffuso e forte, da nord a sud. «Vedo che i ragazzi vogliono conoscere la persona, approfondire la sua umanità. Mi chiedono l’aneddoto con Falcone, l’aneddoto con Borsellino, lo vogliono sentire dalla mia viva voce», dice il senatore.

Per il responsabile di Libera «purtroppo ci sono dei gap pedagogici dovuti probabilmente al fatto che in Italia il processo di reclutamento dei docenti non cura quella componente lì». E allora che succede? «Che c’è l’insegnante che fa il suo lavoro sulla sua disciplina» e poi ci sono «molti insegnanti che sulla base della loro spinta hanno una maggiore sensibilità e fanno in modo di arricchire la formazione dei ragazzi con i saperi di cittadinanza».

Sono loro i primi a chiedere una preparazione adeguata: «E noi li accompagniamo, anche se non sempre le scuole hanno le risorse per farlo». La speranza conclude Libera, «è una cura maggiore alla formazione, sperando che non sia sempre e necessariamente delegata all’esterno e al terzo settore che deve supplire alle carenze». Dal 2019 è stato istituito come insegnamento obbligatorio l’educazione civica, ma il rischio è che diventino 33 ore aggiuntive di teoria.

Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale prèsidi conferma che l’iniziativa «è rimessa all’autonomia della scuola, inclusa l’individuazione delle modalità con cui trattare argomenti così importanti per la recente storia italiana». Poiché tale periodo del nostro recente passato difficilmente viene affrontato come parte del programma di storia, dove non è esplicitamente previsto, le scuole hanno la possibilità di inserire questi argomenti sia nell’ambito delle lezioni di educazione civiche, sia in quelle delle attività extra curricolari connesse alla educazione alla legalità. Ma non sempre accade.

Le scuole aperte

Per rendere la scuola realmente trasformativa servono le risorse economiche ma non solo: «Ci deve essere una volontà politica» dicono gli studenti. Questo significa che la scuola deve provare a cambiare il suo ruolo, anche restando fisicamente più aperta per creare una comunità a livello locale dove poter trasmettere non solo nozioni, ma anche cultura e saperi.

Gli studenti hanno formulato diverse proposte: «Il miglior modo per combattere le mafie non è raccontare quanto sono cattive, ma riuscire a costruire un’idea di società differente mettendo al centro l’istituzione scolastica», conclude Redolfi. E lì si innesta una preoccupazione che sembra inquietare solo i più giovani: «Gli studenti non solo non si sentono coinvolti, ma non sono coinvolti nell’attualità. Sono loro che non vogliono partecipare o qualcuno non vuole che lo facciano?». Una domanda a cui si aggiunge la considerazione di Fiammetta Borsellino: «Fare memoria è avere risposte in termini di cose concrete, che ci avvicinino alla verità. Fare memoria non è dire vuote parole».

© Riproduzione riservata