L’analisi degli indicatori economici del secondo trimestre 2022 pubblicati ieri – tra i quali spicca la brusca frenata del prodotto interno lordo, solo +0,4 per cento – esprime tutte le difficoltà della Cina.

Fu Linghui, portavoce dell’Ufficio nazionale di statistica, ha spiegato che «le basi per una ripresa sostenibile e costante devono ancora essere consolidate a causa, dall’estero, dell’aumento del rischio di stagflazione nell’economia mondiale, delle politiche delle principali economie che tendono a essere irrigidite, a cui si aggiungono instabilità e incertezza globale». «E a livello nazionale – ha proseguito – per i persistenti contraccolpi dell’epidemia, la contrazione della domanda che si intreccia con l’interruzione dell’offerta, i problemi strutturali che si combinano con quelli ciclici, e perché le aziende stanno tuttora incontrando difficoltà operative».

Il +0,4 per cento del periodo aprile-giugno certifica il Pil più basso della Cina dal 1992, dopo il tonfo del primo trimestre 2020 (-6,8).

L’aumento dei consumi (+3,1 per cento a giugno dopo il -6,7 per cento del mese precedente) e degli investimenti in capitale fisso (+6,1 per cento nel primo semestre 2022) fanno prevedere una crescita più sostenuta nella seconda metà di quest’anno.

Tuttavia, dopo il +4,8 per cento del primo trimestre, appare irraggiungibile il traguardo di un Pil «intorno al +5,5 per cento» per il 2022, indicato durante l’ultima sessione dell’Assemblea nazionale del popolo dal premier Li Keqiang.

Crisi e boom di laureati

Il tasso di disoccupazione urbana (che non include quella dei migranti, un terzo della forza lavoro, i più colpiti dalla crisi) resta alto per gli standard cinesi: 5,5 per cento a giugno. Preoccupa soprattutto quella giovanile (16-24 anni), al 19,3 per cento il mese scorso, record assoluto da quando (nel 2018) viene reso noto questo dato.

Per molti dei 10,76 milioni di neolaureati – mai così tanti – il “sogno cinese” sul quale la propaganda martella dall’insediamento di Xi Jinping al vertice del partito si scontrerà con un ridimensionamento delle aspettative, una competizione sempre più accanita, l’ingresso ritardato nel mercato del lavoro e stipendi di un terzo più bassi di quelli pre Covid.

L’inflazione rimane bassa, per questo il Fondo monetario internazionale chiede alla Banca centrale di Pechino di continuare una politica monetaria espansiva. La stessa Banca del popolo ieri ha lasciato invariato al 2,85 per cento il tasso su 100 miliardi di yuan (14,8 miliardi di dollari) di prestiti a medio termine alle banche, mentre Xi concludeva una visita di quattro giorni nel Xinjiang, il territorio ribelle come Hong Kong riportato all’ordine durante il suo mandato. 

Nell’attesa che (così si vocifera a Pechino) con il congresso d’autunno nella leadership rientri qualche “tecnico”, l’economia continua a costituire il tallone d’Achille di Xi.

Un altro stress test per le banche

Ieri centinaia di migliaia di risparmiatori hanno iniziato a compilare le richieste di risarcimento dopo che gli erano stati congelati i conti correnti da quattro banche della provincia dello Henan gestite per un decennio da una «gang criminale» che concedeva prestiti a piacimento, ma torna a preoccupare l’immobiliare, già terremotato dalla crisi del colosso Evergrande.

Centinaia di famiglie che, in 86 città, hanno acquistato appartamenti la cui costruzione è stata bloccata dalla crisi, ora rivogliono indietro i soldi dalle banche, aggiungendo un’altra fonte di stress al sistema finanziario. E sono tutte famiglie della classe media delle città di secondo e terzo livello, la costituency senza diritto di voto di Xi Jinping.

Nei prossimi mesi, poi, continueranno le chiusure. Dopo che negli ultimi giorni a Shanghai è sbarcata la più contagiosa variante BA.5, viene dato per scontato che lockdown parziali e limitazioni agli spostamenti interni e internazionali proseguiranno fino all’autunno 2023.

Chiusure giustificate – nel paese più popoloso del mondo –dall’arretratezza della sanità cinese (4,53 posti di terapia intensiva ogni 100.000 abitanti), dall’industria farmaceutica che non è riuscita a produrre un vaccino all’altezza di quelli dei paesi più avanzati e dal basso tasso di vaccinazione tra gli anziani.
A questo si aggiunge la determinazione di Xi a intestarsi la «vittoria nella guerra popolare contro il coronavirus», una delle pietre miliari che ha piazzato lungo il percorso che lo porterà a conquistare un inedito terzo mandato al prossimo congresso del partito comunista.

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