Massacri, saccheggi e fame. Il Sudan verso il baratro, l’Occidente sta a guardare

Sono ormai più di due anni e mezzo che, complice l’assordante silenzio mediatico e della comunità internazionale, si susseguono notizie terribili dal Sudan travolto da una guerra civile che ha fatto centinaia di migliaia di morti, un numero enorme di profughi (più di 15 milioni secondo le ultime stime, di cui 11 interni e oltre 4 esterni) e ha reso la situazione del paese africano la più grande emergenza umanitaria del momento, molto peggiore di Gaza o Ucraina. Ma quanto sta accadendo nelle ultime settimane a El Fasher, capitale del Darfur settentrionale, è letteralmente spaventoso. Dopo un periodo succeduto alla riconquista della capitale Khartoum da parte delle Forze armate sudanesi (Saf), completata a marzo scorso, sembrava che gli equilibri pendessero, per la prima volta dopo mesi, verso la fazione del generale e capo di stato Abdel Fattah al Burhan. Ma la presa di El Fasher da parte delle Rsf (Rapid Support Forces) del generale Dagalo, avvenuta sul finire di ottobre, ha nuovamente sconvolto gli assetti portando i ribelli a controllare quasi tutta la zona occidentale del paese e aumentando decisamente i timori di una prossima “libizzazione" del Sudan. Scene di terrore L’ingresso delle Rsf a El Fasher e l’immediata uscita di scena delle Forze armate sudanesi hanno portato con sé, oltre al fatto politico, scene di terrore. In poche ore almeno 2.000 persone, tutti civili, sono state sterminate. E, una volta preso possesso dei palazzi del potere, le Rsf si sono dedicate al saccheggio e alle violenze e hanno costretto una popolazione stremata da fame, malattie e provata da circa 18 mesi di assedio, nuovamente alla fuga. Gli abusi sulla cittadinanza inerme sono stati talmente palesi da indurre Dagalo ad ammettere un uso smodato della forza da parte dei suoi effettivi e annunciare commissioni investigative per indagare sui massacri. Guerra in Sudan, il macellaio delle Rsf che riprende le sue esecuzioni: chi è Abu Lulu L’irresistibile avanzata da parte delle Rsf verso El Fasher, non sarebbe stata possibile senza l’appoggio incondizionato di un agente esterno molto potente, gli Emirati Arabi Uniti. Si deve a loro una fornitura imponente di droni e mezzi sofisticatissimi, veicoli blindati e artiglieria pesante, in cambio dell’oro che le miniere controllate dalle Rsf continuano a garantire. Tutti sanno della evidente complicità degli Eau e del loro contributo decisivo nel conflitto. Il problema è che gli Emirati negano da sempre un proprio coinvolgimento e, sebbene alleati degli Usa, non partecipano a trattative (neanche a quelle sostenute di recente da Washington che il Consiglio di difesa sudanese sta seriamente valutando, ndr) dichiarandosi al massimo spettatori, non protagonisti. «Ma anche l’Occidente contribuisce al caos sudanese, non solo rimanendo indifferente – ha dichiarato Brando Ricci, giornalista di Nigrizia intervenendo nella conferenza stampa del 4 novembre organizzata alla Camera da Lia Quartapelle e da parlamentari del Pd, su richiesta dei missionari comboniani – È noto che arrivino armi francesi e britanniche in Darfur nonostante l’embargo di Onu e Ue e che licenze su armamenti continuano a essere approvate, anche dall’Italia». Nel frattempo si moltiplicano i timori di un allargamento della sfera di potere delle Rsf anche nel limitrofo Kordofan: se anche questa regione dovesse cadere nelle mani delle Rsf, tutto il Sudan centro meridionale sarebbe controllato dai ribelli antigovernativi e gli equilibri sarebbero nuovamente sconvolti. La testimonianza «Mentre le sto parlando – dice Atif Adam, un attivista delle Emergency Response Rooms (Err) del Nord Darfur – proseguono le violenze all’interno della città e nei villaggi circostanti. I residenti rimasti a El Fasher continuano a essere uccisi o costretti alla fuga. Sappiamo anche di intere famiglie detenute dall’Rsf». Le Err sono cooperative locali auto-organizzatesi che raggiungono centinaia di migliaia di individui in ogni angolo del Sudan e svolgono un ruolo determinante nell’attenuare i danni e nel fornire un sostegno alla popolazione. Nel 2024 hanno sfiorato il Nobel per la pace, mentre quest’anno si sono aggiudicate il prestigioso Right Livelihood Award. Sudan, dopo 500 giorni di assedio le Rsf prendono El Fasher: esecuzioni sommarie e pulizia etnica in città «Le Err – riprende Adam – sono in gran parte costituite da giovani che hanno rinunciato alla loro vita normale per dedicarsi all’assistenza delle persone colpite. Solo a El Fasher operano oltre 35 Err e offrono assistenza umanitaria primaria (cibo, acqua, riparo), sostegno psicosociale, e provvedono servizi nei settori dell’istruzione e della salute». Le squadre, composte da medici, insegnanti, studenti o ingegneri, così come da artisti o semplici volontari, si occupano anche di gestire le evacuazioni dalle zone di combattimento verso aree più sicure. Loro stessi, ovviamente, rischiano la vita e affrontano gravi problemi di sicurezza che ostacolano la loro mobilità. «Ma continuiamo a lavorare con la ferma convinzione che il paese si debba costruire con le braccia dei suoi figli».