Mentre il presidente Recep Tayyip Erdoğan precipita nei sondaggi a causa di una crisi economica sempre più dura con un’inflazione al 17 per cento, la lira sempre più debole e la disoccupazione al 14 per cento, gli Stati Uniti hanno inserito la Turchia in un elenco di paesi accusati di essere implicati nell’uso di bambini soldato per le loro campagne militari, una mossa assolutamente inedita che rischia di complicare ulteriormente i già tesi rapporti tra Ankara e Washington dopo il clamoroso riconoscimento americano del “genocidio armeno” da parte dell’impero Ottomano nel 1915.

Bimbi soldato

Ora arriva un nuovo motivo di tensione tra i due paesi: il Dipartimento di stato americano ha stabilito nel suo rapporto annuale sul traffico di esseri umani (Tip, Trafficking in persons) che la Turchia sta fornendo «sostegno tangibile» alla divisione “Sultan Murad” di stanza in Siria, un gruppo armato composto da combattenti turkmeni siriani che, secondo Washington, recluta e mette sul campo minorenni tra le fila dei suoi combattenti.

Un alto funzionario del Dipartimento di stato, citato dalla stampa internazionale, ha parlato di un possibile utilizzo di bambini soldato anche in Libia, sottolineando la speranza (o meglio la richiesta) di Washington di aprire un dialogo reale con Ankara per affrontare e risolvere la delicatissima questione e l’inizio del ritiro dei mercenari turchi dalla Tripolitania. È infatti la prima volta che un paese membro della Nato viene inserito in questo tipo di lista. E non è certo un bel viatico visto che Ankara è anche l’unico paese Nato ad aver acquistato missili S-400 dalla Russia, il “nemico” dell’alleanza atlantica, invece dei patriot americani.

La Turchia ha effettuato nel recente passato alcune operazioni transfrontaliere in Siria contro i miliziani dello Stato islamico (Is) e contro le milizie curde sostenute dagli Stati Uniti (Ypg), spesso cooptando tra le sue fila gruppi di combattenti siriani arruolati tra i ribelli anti-governativi. Alcuni di questi gruppi sono stati accusati da associazioni per i diritti umani e dalle Nazioni Unite di attaccare indiscriminatamente civili e compiere rapimenti e saccheggi, accuse che Ankara ha definito «infondate».

La Turchia ha anche svolto un ruolo molto assertivo e di fornitura di aiuti militari in Libia con l’invio sul terreno di mercenari siriani e droni armati, a sostegno di quello che era il Governo di accordo nazionale (Gna), guidato dal premier Fayyez Al Sarraj e in opposizione al generale Haftar, quest’ultimo sostenuto dai russi.

Lasciare l’Afghanistan

I governi inseriti nella lista relativa ai bambini soldato sono soggetti a restrizioni su alcuni servizi di sicurezza e per quello che riguarda licenze commerciali per attrezzature militari, almeno in assenza di un’apposita deroga presidenziale di Biden, una possibilità per ora molto remota.

Il portavoce del Dipartimento di stato Usa, Ned Price, ha assicurato che l’inserimento della Turchia nella lista non è da ritenersi collegato ai negoziati in corso sulla potenziale gestione dell’aeroporto di Kabul, in Afghanistan, paese dal quale le forze statunitensi completeranno il ritiro entro l’11 settembre prossimo dopo venti anni di permanenza.

I presidenti Recep Tayyip Erdoğan e Joe Biden, hanno raggiunto un accordo verbale all’inizio di questo mese durante gli incontri nella sede Nato di Bruxelles che vedrebbe la Turchia assumere il controllo della sicurezza dell’aeroporto internazionale di Kabul dopo il ritiro della stragrande maggioranza delle forze Nato dall’Afghanistan.

La reazione turca

Il ministero degli Esteri turco non si è fatto attendere e ha definito «infondate» e «inaccettabili» le accuse americane sulla presenza di bambini soldato nelle milizie sostenute da Ankara in Siria e Libia. «Gli Stati Uniti sperano di lavorare con la Turchia per incoraggiare tutte le parti coinvolte nei conflitti in Siria e Libia a non utilizzare bambini soldato», aveva dichiarato un funzionario del dipartimento di stato. La nota del ministero turco ha replicato negando le accuse e accusando gli Usa di non aver preso in considerazione l’utilizzo di bambini soldato nelle milizie curde in Siria e Iraq. 

In questo quadro sempre più destabilizzante la Turchia ha fatto sapere che continuerà le sue controverse esplorazioni in cerca di idrocarburi nel Mediterraneo orientale e al largo di Cipro. Lo ha ribadito Erdoğan domenica 4 luglio. «Dovunque ci sono nostri diritti, in un modo o nell’altro ce li prenderemo», ha affermato il leader di Ankara in modo assertivo e per niente incline alla mediazione, sottolineando che il 20 luglio intende recarsi a Cipro Nord per l’anniversario dell’intervento militare turco del 1974, (compiuto in risposta a un tentativo di golpe che voleva unire l’isola alla Grecia), nonostante le dure critiche Ue alla visita.

La zona di Cipro Nord occupata da 40mila soldati turchi  non è riconosciuta da nessuno stato salvo appunto la Turchia. «Siamo in Libia, siamo in Azerbaigian, siamo in Siria, siamo nel Mediterraneo orientale, e ci resteremo», ha aggiunto Erdoğan nei consueti toni belligeranti a caccia disperata di un consenso che è sempre più evanescente di fronte a politiche avventuriste in politica estera e sempre meno convincenti in economia e per gli investitori internazionali chiamati a colmare il disavanzo delle partite correnti.

Il rapporto della Bers

Secondo l’ultimo report di previsioni della Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo sulla Turchia, le riserve lorde del paese della mezzaluna sul Bosforo arrivano a 88 miliardi di dollari, mentre le riserve nette, esclusi gli swap, sono ritenute essere negative, a meno 45 miliardi di dollari. I dati devono essere considerati nel contesto di passività esterne (tra cui prestiti in scadenza in valuta forte, ndr), dovute nei prossimi dodici mesi, per circa 220 miliardi di dollari, incluso un deficit delle partite correnti pari a circa 36 miliardi di dollari. L’inflazione resta «ostinatamente alta», quasi al 17 per cento nel maggio 2021, in parte a causa del deprezzamento della lira registrato nel 2020.

Il cambiamento del team economico nel novembre 2020, inclusa la nomina di un nuovo governatore della Banca centrale (Naci Agbal), prosegue il rapporto della Bers con sede a Londra, ha determinato il varo di una politica monetaria più restrittiva, con un aumento complessivo di 875 punti base dei tassi. La stretta creditizia ha provocato una significativa riduzione del premio per il rischio, la stabilizzazione della lira e un ritorno dei flussi di investimenti, ma il sentimento positivo associato alla “svolta ortodossa” è stato ribaltato con la sostituzione del governatore della Banca centrale – attualmente Sahap Kavcioglu – nel marzo 2021 da Erdoğan da sempre sensibile alle richieste di denaro a basso costo degli immobiliaristi e costruttori turchi.

Per ora le preoccupazioni degli investitori di un ritorno a politiche non ortodosse non si sono ancora avverate, sottolinea il rapporto della Bers: i tassi sono invariati e il governatore ha promesso di restare cauto. Tuttavia, con l’alternarsi di quattro governatori in due anni la credibilità delle politiche monetarie è bassa, rileva la Bers, e la Turchia è vulnerabile ai cambiamenti del sentimento degli investitori internazionali.

In termini di Pil il forte momento di crescita registrato nella seconda metà del 2020 è proseguito nel primo trimestre 2021, con una crescita su base annua del 7 per cento; altri indicatori suggeriscono tuttavia che la ripresa abbia cominciato a perdere forza nel secondo trimestre. Durante quest’anno e l’anno prossimo, la crescita sarà guidata dall’export, vista la debolezza della domanda interna dovuta alla situazione finanziaria delle famiglie e l’impatto delle misure contro il Covid.

Tra i rischi che gravano sulle previsioni, conclude il rapporto, ci sono la possibilità di un ritorno ma rallentato del turismo, potenziali interruzioni del piano di vaccinazioni, l’aumento dell’inflazione nelle «economie avanzate» con aumento dei tassi e «sviluppi geopolitici avversi». Un quadro più che allarmante per Erdoğan.

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