È di oltre ottocento morti e quasi tremila feriti il bilancio del terremoto che, nella notte tra domenica e lunedì, si è abbattuto sull’Afghanistan orientale, al confine con il Pakistan. Non risultano italiani tra le vittime ma il sisma, di magnitudo 6.0, ha distrutto interi villaggi nelle province del Kunar e Nangarhar, dove case di fango e pietra si sono sbriciolate per le forti scosse.

E mentre i soccorsi sono resi più complicati dalle frane, che rendono impossibile l’accesso via terra alle aree più colpite, da Kabul il regime talebano si appella alla comunità internazionale per far fronte all’ennesima emergenza umanitaria del paese.

Il sisma

La prima scossa, la più forte, è arrivata pochi minuti prima della mezzanotte con epicentro a 27 chilometri a nord-est della città di Jalalabad. E nei minuti successivi la terra ha tremato nuovamente con intensità che ha raggiunto una magnitudo di 4.5. In pochi secondi interi villaggi si sono sbriciolati: le case, costruite con fango e mattoni si sono accartocciate su se stesse travolgendo interi nuclei familiari.

«Il livello di distruzione è inimmaginabile – ha commentato alla Bbc un funzionario talebano – interi villaggi sono rasi al suolo e le strade verso le aree montuose sono inutilizzabili».

E i danni alla rete viaria rendono ancor più difficile il già complesso lavoro dei soccorsi che per tutta la giornata di lunedì sono proseguiti incessantemente con decine di elicotteri utilizzati per trasportare i feriti. Frane e smottamenti hanno isolato intere vallate mentre una pioggia incessante si è aggiunta come l’ennesima beffa per un paese già martoriato da un’emergenza senza fine. Al termine della giornata il bilancio è di almeno 812 vittime e quasi tremila feriti secondo le stime ufficiali. Ma sono migliaia le persone ancora disperse sotto le macerie.

L’appello

Immediate le richieste di aiuto da parte del regime talebano che, travolto dall’emergenza, si è rivolto alla comunità internazionale per chiedere l’invio di mezzi e uomini. «Ne abbiamo davvero bisogno, migliaia di persone sono ancora sotto le macerie», ha ammesso il portavoce del ministero della Salute Sharafat Zaman, sottolineando l’impossibilità di gestire da soli una catastrofe di queste dimensioni. Anche il ministero dell’Economia ha definito «necessario» il sostegno esterno per garantire cibo, assistenza medica e ripari.

Le Nazioni unite hanno attivato le squadre di emergenza ma gli aiuti umanitari sono resi più difficili dai recenti tagli. «La nostra risposta umanitaria –  ha commentato Kate Carey, vice capo dell’agenzia Onu per l’Afghanistan – è stata duramente colpita dai tagli di quest’anno. Anche il numero di persone che abbiamo sul campo è molto inferiore a quello che avremmo avuto sei mesi fa». Senza mai nominarlo apertamente, il riferimento è a Donald Trump e ai tagli operati sin dai primi mesi del suo secondo mandato.

Intanto alcuni paesi si muovono: l’India ha inviato mille tende e tonnellate di aiuti alimentari verso Kunar e la Cina si è detta pronta a fornire supporto «in base ai bisogni dell’Afghanistan». Ma le difficoltà restano enormi: sanzioni, restrizioni imposte dai talebani alle operatrici umanitarie e canali bancari quasi bloccati rallentano l’afflusso di aiuti.

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