Affamati, esausti, traumatizzati. Centinaia di migliaia di sudanesi cercano di scappare dalla capitale del Sudan. Lunghe code si stanno formando ai confini del Sudan, dove le persone in fuga da intensi combattimenti devono affrontare intere giornate di attesa e richieste di visti per poter attraversare in sicurezza. Altri raccontano di essere rimasti senza passaporto, poiché le ambasciate straniere non li hanno restituiti alle persone che erano in attesa di visto. «Siamo partiti all’alba», racconta Nisrin Elamin, 38 anni, ricercatrice sudanese.

«Una scelta impensabile: lasciarti alle spalle i tuoi genitori anziani e malati o tenere i tuoi figli in pericolo?». Nei gruppi WhatsApp, creati per aiutare le persone in fuga da Khartoum, hanno iniziato a circolare numerosi servizi di autobus che promettevano di riuscire a raggiungere i confini. Molti si sono diretti alla stazione di Soba alla periferia sud di Khartoum, alcuni a piedi nonostante il pericolo di rimanere feriti nei combattimenti.

Centinaia di autobus sono partiti nel giro di poche ore, con prezzi in rapido aumento. Secondo quanto raccontano alcuni dei cittadini sudanesi che sono riusciti a raggiungere il valico egiziano, i biglietti costano più di 500 dollari, per un viaggio che qualche settimana fa costava solo poche decine di dollari.

«Ci hanno fermato più volte durante la fuga», continua la ricercatrice. A Khartoum continua l’aspra lotta al potere iniziata il 15 aprile, tra i vertici dell'esercito regolare sudanese e un gruppo paramilitare rivale, le Rapid Support Forces (RSF).

Nessuna supervisione

Fonti della polizia hanno confermato che un raid nella prigione di Kober ha portato all’uccisione di due guardie carcerarie e che le Rsf hanno fatto scappare tutti i prigionieri, inclusi alcuni uomini della cerchia dell’ex dittatore al Bashir.

Un portavoce dell’esercito sudanese ha negato qualsiasi coinvolgimento delle forze armate, affermando che i militari «non hanno alcuna supervisione sulle carceri». Le forze di Hemetti - costituite durante la dittatura di Bashir - continuano a terrorizzare i civili. Immagini di telecamere di sorveglianza ricevute da Domani, hanno ripreso uomini di Hemetti derubare un negozio di telefoni a Khartoum. Altri residenti raccontano di miliziani sempre piu affamti e stanchi, entrare nelle case in cerca di acqua e cibo. Per chi tenta la fuga, il rischio è di morire a sangue freddo.

«Un soldato delle Rsf ci ha parlato per un po', ha chiesto a mio fratello perché avesse deciso di lasciare il paese. Eravamo terrorizzati», racconta Elamin. «Ci hanno fermato una seconda volta, hanno fatto scendere gli uomini dall’autobus, controllato le loro carte di identità e i loro telefoni cellulari. Sono scappati all’improvviso dopo aver ricevuto informazioni», conclude.

Mentre è arrivata in Arabia Saudita una nave che ha evacuato più di 1.600 persone da oltre 50 paesi, oltre trecento autobus sono stazionati al valico di Argeen al confine con l’Egitto, racconta un avvocato sudanese arrivato al confine dopo un viaggio di oltre 20 ore. Ora si prospetta attesa, in mezzo al deserto, e il rischio di non poter entrare.

L’Egitto e il Sudan hanno firmato nel 2004 un accordo sulla liberta di movimento tra i due paesi, ma non è mai stato pienamente attuato. L’Egitto, che ospita tra i 2 ei 5 milioni di rifugiati sudanesi, non ha mai richiesto a donne, bambini e agli anziani un visto d'ingresso, ma nonostante la guerra, continua a chiedere visti turistici per gli uomini in fuga con meno di 50 anni. «Non capisco perché l'Egitto chieda visti turistici alle persone che scappano da un paese in guerra?», si chiede un padre con 4 figli bloccato al confine da oltre 3 giorni. «Non stiamo andando a visitare le piramidi», conclude. Racconta di essere stato costretto ad andarsene perché non c'era cibo nei supermercati, né acqua corrente nelle case, e persino la sua casa, a Kafouri, un quartiere alto borghese di Khartoum, era stato attaccato più volte.

Nella base navale King Faisal di Gedda, in Arabia Saudita, Dallia Mohamed Abdelmoniem, una ex giornalista di Khartoum, scende dal tragetto insieme a famiglie sudanesi che sventolavano la bandiera saudita verde. Un estenuante viaggio in autobus durato 26 ore, prima dell’imbarcarco da Port Sudan sul Mar Rosso, racconta Dallia. «La parte più emozionante è stato incontrare altri sudanesi che sulla strada ci hanno portato acqua e succhi di frutta. Nonostante hanno poco da offrire, mi ricorda della bellezza di questo paese e dei suoi abitanti. Questo è il motivo per cui non possiamo semplicemente abituarci all’idea che verrà distrutto da questa guerra», conclude.

E per gli oltre un milione di rifugiati, molti dei quali erano fuggiti dalla violenza nei paesi vicini, tra cui Ciad, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Etiopia ed Eritrea la situazione è senza via d’uscita. Cresce la paura di essere rimpatriati al confine eritreo di Arbaata-Asher o rimanere intrappolati a Khartoum senza cibo e acqua.

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