TikTok e commercio, cosa c’è dietro l’accordo quadro tra Cina e Usa

L’accordo su TikTok raggiunto durante i colloqui bilaterali tra Cina e Stati Uniti che si sono chiusi martedì a Madrid ha un significato che va al di là del valore (oltre 200 miliardi di dollari) del social media made in China, che negli States ha 170 milioni di utenti, tra cui 15 milioni di follower dell’account del presidente Trump. L’intesa tra la delegazione guidata dal vice premier e responsabile dell’economia, He Lifeng, e quella con a capo il segretario al tesoro, Scott Bessent – che sarà formalizzata domani con una telefonata tra Xi Jinping e Donald Trump – dimostra che, in questa fase che a tanti ricorda la Guerra fredda, Pechino e Washington preferiscono dialogare, piuttosto che andare allo scontro. «Siamo il nuovo ordine»: Xi Jinping e il Sud globale sfidano l’impero americano Dare e avere Quello di Madrid è stato definito un accordo “di massima”, che prevede il trasferimento della divisione americana di TikTok a un consorzio guidato da Oracle (dell’amico di Trump, Larry Ellison), con il fondo Silver Lake e nel quale la cinese ByteDance manterrà il 19,9 per cento della proprietà. L’app contro la quale si era mosso Joe Biden alla fine è salva. Ci saranno audit periodici su algoritmi e gestione dei dati, per assicurare che siano in linea con la tutela della “sicurezza nazionale”. Il governo cinese, che nei mesi scorsi aveva resistito alla vendita di TikTok, alla fine ha ceduto. Lo ha ammesso Li Chenggang, l’inviato di Pechino per il commercio, dichiarando che «vogliamo sottolineare che i risultati delle consultazioni commerciali ed economiche sono stati conquistati con grande fatica, e che la parte statunitense non dovrebbe, da un lato, chiedere alla Cina di venire incontro alle proprie preoccupazioni e, dall’altro, continuare a reprimere le imprese cinesi». In cambio di cosa la Cina ha dato l’ok su TikTok? Il resoconto di Pechino delle discussioni nella capitale spagnola – quarto round dopo quelli dei mesi scorsi a Londra, Ginevra e Stoccolma – parla di “accordo quadro” anche sulla riduzione delle barriere agli investimenti e sull’avanzamento della cooperazione economica e commerciale tra la potenza in ascesa e quella egemone. Le “barriere agli investimenti” potrebbero far riferimento a quelli cinesi negli Stati Uniti, viceversa, o in entrambe le direzioni. Si tratterebbe comunque di un successo per Pechino – che, a differenza dell’Ue, ha impostato una trattativa a muso duro sui dazi – contro la politica di contenimento tecnologico dell’avversario messa in atto fin dalla prima amministrazione Trump e proseguita da Biden. Per quanto riguarda la collaborazione economico-commerciale, Bessent ha annunciato che tra un mese ci sarà una quinta tornata di confronto. Insomma, c’è la volontà di rompere l’impasse, aprendo la strada per una visita di stato a Pechino di Tariff Man (mai effettuata da Biden), che i cinesi vorrebbero anche a Shanghai, principale magnete degli investimenti stranieri in Cina. Perciò, mentre si avvicina lo scadere (il 10 novembre) della proroga dei super-dazi reciproci varata tre mesi prima, il segretario al tesoro ha rivelato che Washington è pronta a estenderla ulteriormente, «se i colloqui procederanno in una direzione positiva». Anche perché, ha aggiunto, «gli Stati Uniti stanno ricevendo dalla Cina le terre rare con molta più regolarità che in passato». La partita dell’India sulle terre rare, Modi vuole sfruttare le proprie riserve e aggirare la Cina Questioni aperte Tutto bene quel che finisce bene? Le amministrazioni Xi e Trump andranno d’amore e d’accordo, come del resto ha sostenuto più volte Trump? È presto per dirlo. Le questioni commerciali da risolvere (mentre restano in vigore tariffe Usa sulle importazioni cinesi del 30 per cento e del 20-25 per cento in direzione opposta) sono tante e complesse. Ma Corporate America, negli ultimi decenni vero e proprio arbitro delle controversie bilaterali, spinge per un accordo. Il colosso statunitense dell’aviazione Boeing è in trattative con la Cina per vendere 500 dei suoi aerei commerciali al secondo mercato aeronautico mondiale. Se arriverà la fumata bianca, si tratterà del primo grande acquisto di aerei Boeing da parte della Cina durante il secondo mandato di Trump. E Washington vuole che Pechino aumenti anche gli acquisti di soia statunitense. Nel 2024 la Cina ha importato circa il 20 per cento della sua soia dagli Usa, con un calo del 41 per cento rispetto al totale del 2016. Nei primi sette mesi di quest’anno la Cina ha acquistato 42,3 milioni di tonnellate di soia dal Brasile, ma solo 16,6 milioni di tonnellate dagli Stati Uniti. Insomma lo schema è quello dell’accordo già sottoscritto da Trump nel 2020, reso vano dallo scoppio della pandemia. Missili e leadership, Xi mostra i muscoli: «Il mondo deve scegliere tra pace e guerra» E mentre Xi e Trump si preparano a incontrarsi, la fiducia degli investitori statunitensi nelle compagnie cinesi è al massimo da cinque anni. Secondo Morgan Stanley, «non è che l’inizio». La banca d’affari Usa negli ultimi giorni ha pubblicato un report nel quale rileva che «più del 90 per cento degli investitori ha manifestato esplicita volontà di aumentare la propria esposizione nel mercato cinese, il livello più alto dall’inizio del 2021, quando il mercato azionario cinese ha toccato il picco».