Il referendum che attende questo fine settimana la Nuova Caledonia è l’ennesimo confronto con il suo passato coloniale. L’arcipelago situato nel sud dell’Oceano Pacifico e abitato da 284mila persone è infatti chiamato a scegliere se rimanere parte della Francia o diventare una nazione indipendente. Si tratta del secondo voto sul tema per i cittadini neocaledoni dopo che già nel 2018 erano stati chiamati a decidere il destino della loro terra. In quell’occasione il 57 per cento degli elettori aveva deciso di rimanere parte della Francia. Quello che si terrà questo weekend è il secondo dei tre referendum concessi dall’accordo di Noumea del 1998 tra il governo francese e i rappresentanti dell’arcipelago per far decidere ai neocaledoniani se rimanere sotto il potere dell’Eliseo o meno. Se il risultato della consultazione fosse negativo i neocaledoni avrebbero a disposizione entro il 2022 una terza votazione per scegliere il proprio destino.

Un paese diviso

La popolazione della Nuova Caledonia è principalmente composta da due etnie: il gruppo indigeno dei kanak e i discendenti dei coloni europei. A metà degli anni Ottanta furono i kanak a iniziare una serie di manifestazioni per chiedere l’indipendenza del paese. Le proteste sfociarono anche in episodi di sangue come quando nel 1988 gli indipendentisti uccisero quattro gendarmi francesi e ne presero in ostaggio 27 per ottenere l’apertura delle trattative con il governo francese.

All’epoca i neocaledoniani di origine francese furono molto più tiepidi se non freddi nei confronti delle rivendicazioni avanzate dai gruppi autoctoni. Questa divisione si è riproposta nelle urne nel 2018, quando le istanze di indipendenza dei kanak si sono scontrate con la volontà di mantenere lo status quo dei discendenti dei colonizzatori. Le ingerenze francesi nella politica locale non si fermano solo ai suoi eredi presenti nell’arcipelago.

Molti politici francesi si sono esposti pubblicamente per chiedere agli abitanti della Nuova Caledonia di non staccare il cordone ombelicale che li lega a Parigi. È il caso della leader del Rassemblement National, Marine Le Pen, che, se in patria lotta per rendere i francesi “liberi” dall’Unione europea, nel Pacifico veste i panni del più convinto nemico dell’autodeterminazione della Nuova Caledonia. Le Pen ha invitato i cittadini dell’arcipelago a votare contro l’indipendenza avvertendo che se questa ipotesi diventasse realtà porterebbe “fame e lacrime”. Anche il presidente del partito repubblicano, Christain Jacob, ha messo in guardia i neocaledoniani dalla scelta di diventare uno stato autonomo. Secondo il leader del partito di destra il distaccamento dell’arcipelago dalla Francia significherebbe un attacco all’integrità del popolo francese.

Se la destra preme dunque apertamente per un risultato sfavorevole all’ipotesi dell’indipendenza, l’esecutivo francese si è mantenuto più cauto. Il premier francese, Jean Castex, ha infatti detto che incontrerà in ogni caso i leader dell’arcipelago dopo il referendum mentre il presidente Emmanuel Macron non si è esposto pubblicamente. Alcuni media riportano però la preoccupazione del capo dell’Eliseo nel caso in cui gli indipendentisti trionfassero. Un timore che riguarda soprattutto l’aumento dell’influenza cinese sull’isola.

Dalla Francia alla Cina?

Se Parigi rischia di perdere una colonia, la Cina, secondo alcuni osservatori, rischia di guadagnarla. Il paese governato dal presidente Xi Jinping è infatti il principale partner commerciale della Nuova Caledonia.

Lo scambio tra Pechino e Noumea è basato principalmente sulle esportazioni del nickel, di cui l’arcipelago è il quarto produttore al mondo. Un traffico di affari quello tra Pechino e Noumea così importante per l’arcipelago da raggiungere nel 2018 più di un miliardo di dollari, una cifra superiore a quella generata dalla somma di tutte le altre transazioni commerciali che l’arcipelago fa con gli altri paesi. Il timore delle potenze occidentali, Francia in primis, è che se la Nuova Caledonia diventasse indipendente potrebbe finire definitivamente nella sfera d’influenza cinese.

Negli ultimi anni il governo di Xi Jinping è già riuscito a ottenere importanti consensi nel Pacifico arrivando a convincere storici alleati di Taiwan come le Isole Salomone. L’avanzata del potere cinese nel Pacifico è stata l’ultima carta giocata da Macron due anni fa per convincere i neocaledoni a non votare l’indipendenza. Nel suo discorso il presidente francese disse che l’egemonia cinese era una «minaccia per la libertà di tutti». Il rischio per l’inquilino dell’Eliseo è che i neocaledoni in questi due anni abbiano cambiato idea. Anche se è impossibile fare vere previsioni, visto che non sono stati pubblicati sondaggi sul referendum.

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