Non sappiamo ovviamente chi sarà il presidente americano da gennaio, né con quale Congresso governerà nei prossimi quattro anni. Guardando però al primo mandato di Donald Trump e alla lunghissima traiettoria politica del suo sfidante Democratico Joe Biden, possiamo provare a delineare alcuni scenari su cosa cambierà per l’Europa.

Trump II: (di nuovo) tempesta?

Per il vecchio continente, il primo mandato di Trump è stato certamente una tempesta. In una Europa alle prese con la crisi della democrazia, Trump ha ammiccato a forze illiberali e a paesi apertamente “devianti”, non risparmiando sbeffeggiamenti ai principali leader europei.

In una Europa accerchiata ai confini da crescenti crisi, Trump non ha perso occasione per mostrare la sua freddezza nei confronti della Nato e accondiscendenza verso le fughe in avanti di Russia e Turchia; in una Europa indebolita dalle divisioni e dal rischio disgregazione, Trump ha tifato apertamente per Brexit.

A una Europa che ha prosperato sull’ordine liberale disegnato decenni fa con l’America, ha servito ulteriori picconate proprio alle istituzioni che di quell’ordine sono un pilastro portante.

Fine delle certezze. Prevedere Trump II è infatti paradossalmente più difficile che delineare Biden I.

Potrebbe premere sull’acceleratore dell’isolazionismo, sulla Nato (fino al ritiro americano), sul protezionismo rendendo ancor più profonde le spaccature dell’Alleanza atlantica: ma potrebbe anche stupire invertendo la rotta, proponendo anche all’Europa uno dei suoi tanto sbandierati “deal post-ricatto”: al centro del deal, è facile scommetterlo, ci sarebbe il contenimento della Cina.

Biden I: la quiete dopo la tempesta?

Che aspettarsi da “sleepy Joe” se non la quiete, la quiete dell’“usato garantito”?

Con Biden tornerebbe alla Casa Bianca un internazionalista più tradizionale circondato da consiglieri ben conosciuti a Berlino, Parigi o Roma: fine della sfida aperta, della scommessa sull’indebolimento dell’Unione e ritorno a rapporti idilliaci?

Certamente sì, su alcuni dossier: su clima, multilateralismo, su Iran e Nato le divergenze fra le due sponde dell’atlantico si colmerebbero in modo evidente.

Certamente sì, nei toni e nello stile: quelli dei dialoghi della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco abitualmente frequentata da Biden e non più quelli rissosi e sbeffeggianti dei tanti incontri bilaterali e vertici multilaterali degli ultimi quattro anni.

Su Cina e commercio, però, la sostanza potrebbe cambiare poco. “America first” sarà infatti anche per Biden la bussola inevitabile, com’è sempre stato per ogni presidente americano.

“America first” in questo momento significa fare tutto il possibile per mantenere “China second”; fare il possibile per rafforzare un’economia messa in ginocchio dalla pandemia. Anche con il protezionismo, se servisse.

Rendere l’America “great again” sarà una necessità ancor più irrinunciabile che per Trump in un paese indebolito dalla recessione post pandemia e desideroso di riproiettarsi internazionalmente in modo non velleitario.

Aspettiamoci dunque meno attacchi frontali e “in solitario” alla Cina, ma più sfide a Pechino, coordinate anche con l’Europa: su diritti umani, sul regime, su Taiwan e Hong Kong, orchestrati magari da una neo-costituita coalizione delle grandi democrazie del mondo – una D10 – che ridimensionerebbe il troppo “allargato” G20 e isolerebbe, di fatto, soprattutto la Cina.

Aspettiamoci, allo stesso modo, meno indifferenza e accondiscendenza verso il protagonismo turco e russo in Medio Oriente, ma non illudiamoci che l’America di Biden sia pronta ad intervenire a favore dell’“interesse europeo” – esiste? – nel Mediterraneo orientale o in Libia.

Get the band back together” sarà certamente la priorità di Biden: che l’Europa sia pronta a contenere dentro la band la sua cronica cacofonia interna è tutto da verificare.

I quattro anni di Trump hanno suonato il silenzio di ordinanza sul ruolo protettivo dell’America, obbligando l’Unione a riflettere sul suo collocamento nel mondo e sulla necessità di un’Europa geopolitica.

Con Biden, la quiete dopo la tempesta potrebbe far venire meno il senso di urgenza e di consapevolezza, rallentando il percorso da poco avviato.

Dovremo alla fine rimpiangere (un po’) Trump?

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