Espulsione immediata dai ranghi statunitensi: Donald Trump obbliga all’addio mille soldati americani che si sono dichiarati apertamente transgender.

Per tutti gli altri – ovvero quanti hanno preferito non riferirlo pubblicamente o hanno deciso di tenere nascosta la loro identità per paura di ritorsioni – il conto alla rovescia per la grande cacciata è appena cominciato: hanno trenta giorni, ha reso noto l’amministrazione repubblicana, per auto-denunciarsi alle autorità. In ogni caso, il dipartimento della Difesa procederà con un’analisi capillare delle cartelle cliniche per identificare chi aveva preferito finora la privacy.

Al movimento conservatore che lo ha sostenuto sin dall’inizio, il presidente lo aveva promesso più volte e, una volta entrato alla Casa Bianca, non ha atteso neppure un giorno: nel primo del suo insediamento, ha emesso un ordine esecutivo per riconoscere legalmente solo due sessi, cancellando con un colpo di spugna e di penna l’identità di genere di centinaia di migliaia di persone, eliminando al contempo anche la validità dei documenti che la certificavano, insieme all’accesso ai servizi di assistenza.

In piena luce

In quello stesso 27 gennaio ha emesso un secondo ordine esecutivo per revocare quello del predecessore democratico Joe Biden, che aveva consentito fino a quel momento ai transgender di prestare servizio militare in piena luce, senza ricorrere a segreti o occultamenti, pubblici e burocratici.

Alibi del presidente repubblicano è stato un concetto vago di standard: vuole le truppe americane «pronte e letali, uniformi e integre» e l’identità trans sarebbe in conflitto «con l’impegno e lo stile di vita» da soldato. Soprattutto, Trump è contro «l’uso mutevole dei pronomi che riflettono in modo impreciso il sesso di un individuo».

Il presidente statunitense aveva già tentato di chiudere le porte dell’esercito al mondo Lgbt già a febbraio, ma ricorsi legali piovuti nei tribunali di tutto il paese avevano bloccato un’imposizione legale che però non si è riusciti ad ostacolare del tutto. Ad autorizzarlo a procedere è stata una decisione dalla Corte suprema statunitense che risale a martedì scorso.

La sentenza dei togati è arrivata senza firma e senza spiegazione sulle motivazioni (come spesso accade quando la fretta prevale) e non ha avuto il placet di tre membri progressisti, che hanno apertamente dissentito, ma altro non hanno potuto, contro l’obbligo discriminatorio che rimarrà in vigore finché (e se) altre nuove contestazioni non imporranno un nuovo dietrofront agli organi competenti.

Secondo gli ultimi dati ufficiali (dicembre 2024), oltre 4.200 soldati in servizio attivo, tra le file degli arruolati e dei riservisti dell’esercito Usa, hanno ricevuto una diagnosi di disforia di genere.

In realtà il numero totale al momento risulta incalcolabile, si stima che molti hanno mantenuto nascosta la propria identità. Fughe, denunce, terrore di essere riconosciuti e perseguitati si moltiplicano anche per il limbo burocratico in cui sono stati scaraventati non solo i soldati attivi, ma anche i veterani che fanno parte della comunità Lgbtqi+.

Secondo il Guardian, oltre 130mila reduci a stelle e strisce potrebbero rimanere senza accesso alle cure poiché il dipartimento degli Affari dei veterani è pronto a congelare la loro assistenza sanitaria, spesso l’ultima barriera che li separa dalla miseria o dalla povertà assoluta. Insieme a bandiere arcobaleno e poster, anche materiale informativo e accesso ai servizi medici sono scomparsi da uffici e cliniche d’America per i trans.

«Congedi volontari»

Il portavoce del Pentagono, Sean Parnell, ha annunciato che per mille soldati trans è iniziato un «processo di congedo volontario». In mille sono andati via in silenzio, ma non hanno compiuto una scelta «volontaria», anzi: sarebbero rimasti in servizio se non fossero state apparecchiate le condizioni per costringerli all’allontanamento.

Lo denuncia l’associazione Sparta Pride: «Tutti i tribunali finora hanno dichiarato incostituzionale questo ordine. Gli americani transgender hanno prestato servizio apertamente, onorevolmente ed efficacemente nelle Forze Armate Usa per quasi un decennio».

Oltre ai diritti civili, andranno persi anni di benefici maturati, stipendi e pensioni. Perse anche le garanzie di buona uscita, indennità varie e congedi con onore. Eppure, attualmente in armi rimangono in migliaia, soldati trans che «sono pienamente qualificati per le posizioni che ricoprono». In tanti promettono battaglia: non sui campi di guerra dove sono schierati, ma nei tribunali dove hanno già vinto una volta.

Dopo i trans, le prossime nel mirino dei conservatori sono le donne: secondo Pete Hegseth, segretario alla Difesa Usa, non sono adatte ai ruoli di combattimento. Non si possono equivocare le sue parole diffuse sui social: «Ci stiamo lasciando dietro wokeness and weakness», consapevolezza e debolezza, «niente più pronomi, abbiamo chiuso con questa merda».

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