Che Donald Trump sia unico si era capito: è l’unico presidente a essere stato sottoposto a ben due procedure di impeachment, per esempio. Ma da qui a mezzogiorno di mercoledì, quando il testimone passerà a Joe Biden, Trump stupirà ancora. Negli Usa c’è un potere che il presidente ha in mano fino all’ultimo e che lui intende usare: il potere di grazia. Si può declinare in un pardon, che cancella i reati e restituisce i diritti civili, o in commutation, che sforbicia le pene. Questo potere Trump lo userà fino all’ultimo per altri cento fra colletti bianchi e alleati; e lo ha già usato in precedenza a favore del suo entourage, parenti inclusi. Per un po’ ha pure considerato di perdonare il più vicino a lui di tutti, e cioè se stesso.

«I have the absolute right to PARDON myself», ho il diritto assoluto di auto-graziarmi, è un suo tweet del 2018. Su quel diritto, o potere, assoluto, i giuristi dibattono; finora nessun presidente lo ha usato per sé. Solo gli eventi di Capitol Hill hanno dissuaso Trump dal tentare: i suoi consulenti glielo hanno sconsigliato. A beneficiare degli ultimi sprazzi di clemenza sarà allora forse Salomon Melgen, chirurgo di Palm Beach, ricco, influente e più volte colpevole di frode: ha fatto milioni curando anziani per malattie che non avevano. Anche l’ex stratega Steve Bannon potrebbe esser “sollevato” da frode e riciclaggio, e poi tra i papabili ci sono manager, rapper, la lista è ancora aperta. E pure il mercato delle grazie: il New York Times ha ricostruito una intensa attività lobbistica.

Mercato delle grazie

Il “cerchio magico” del presidente uscente – i suoi più stretti alleati e dozzine di lobbisti – starebbe cercando di trarre profitto fino all’ultimo dal potere di clemenza presidenziale. Un ex consulente della campagna elettorale di Trump ha ricevuto 50mila dollari per tentare di incassare il perdono per John Kiriakou, ex ufficiale della Cia. Il lobbista Brett Tolman, ex consulente della Casa Bianca, ha raggranellato migliaia di dollari per “aiutare” a ricevere clemenza il figlio di un ex senatore. Con Trump bisogna essere vicini al cerchio magico per essere considerati; se non si hanno le connessioni con quel potere si rimane tagliati fuori. Migliaia di richieste di clemenza rimangono a prender polvere, come denuncia Nichole Forde, ragazza madre, in carcere per spaccio: «Neppure la clemenza qui è equa, la gente come me chi la considera?».

I precedenti

Il Pew Research Center mostra che fino a ottobre Trump ha graziato solo lo 0,5 per cento delle 10mila persone appellatesi a lui: la percentuale più bassa della storia; l’unico che si avvicina è George W. Bush (2 per cento). La grazia di Trump è per pochi: nel 2017 la prima è andata a Joe Arpaio, che da sceriffo dell’Arizona ha usato la linea dura contro l’immigrazione e si è spinto fino ad abusi di potere e profilazioni razziali. Questo novembre la grazia è toccata a Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale, sotto accusa per aver mentito all’Fbi e per i rapporti opachi con la Russia. Prima di Natale la clemenza è caduta su Charles Kushner, padre del genero Jared, su Paul Manafort, ex capo della campagna elettorale di Trump, e Roger Stone, suo alleato storico coinvolto nelle interferenze russe sulle elezioni. Questo presidente non è l’unico ad aver fatto scelte controverse: Gerald Ford ha graziato Richard Nixon. George H. W. Bush ha graziato l’entourage di Reagan per il traffico illegale di armi con l’Iran. Bill Clinton si è fatto notare per la clemenza verso Marc Rich, il finanziere evasore e fuggitivo. Nessuno però era arrivato al record di Trump: fare della grazia un uso da monarca assoluto, e fino all’ultimo graziarne pochi, ma ricchi e alleati.

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