Qualche analista lo aveva detto: Donald Trump e la sua cerchia si sarebbero dovuti preparare a qualche brutta notte per quanto riguarda le primarie repubblicane in corso nel paese. Lo scorso 7 aprile aveva detto che lui era «il re degli endorsement» in un’intervista con il Washington Post. In tutte le principali competizioni dove si sono svolte le primarie, Trump non ha fatto mancare il proprio sostegno.

Ovviamente ai fedelissimi che lo hanno sostenuto anche nel tentativo di rovesciare il risultato delle elezioni 2020, come il senatore Rand Paul del Kentucky, ma anche moderati conservatori come il senatore Mike Crapo dell’Idaho. Il suo obiettivo massimo, quello davvero trasformativo, è di cambiare definitivamente la pelle del Partito repubblicano. Nel modo affermato da uno suoi ex critici diventato sostenitore sfegatato, quel J.D. Vance da lui sostenuto per diventare il nuovo senatore dell’Ohio: «Sostituire tutti i membri della macchina dello stato, burocrati non eletti, con la nostra gente».

Il cuore di questa operazione rivoluzionaria era lo stato che, a sorpresa, lo aveva “tradito” nel 2020: fuori da tutti i radar, la Georgia governata dai repubblicani prima aveva votato Joe Biden come presidente, poi due senatori democratici al ballottaggio del 5 gennaio. Infine, né il governatore Brian Kemp né il segretario di Stato Brad Raffensperger lo avevano “aiutato”, anzi: Raffensperger aveva registrato la chiamata dell’allora presidente nella quale gli chiedeva «di trovare i voti che gli servivano», per farla pubblicare dal Washington Post. Sia Kemp che Raffensperger avevano proclamato «l’assoluta integrità elettorale» del processo. Un senatore sconfitto, David Perdue, aveva sostenuto le pretese trumpiane sui «brogli diffusi».

Sostenuto da Donald Trump, aveva deciso di sfidare il governatore uscente per mettere finalmente “sotto controllo” il processo elettorale, stessa cosa che ha proclamato Jody Hice lanciandosi nella corsa a segretario di Stato. Trump ha sottovalutato un aspetto non da poco. Il potere degli incumbent, ovvero di chi già è in carica. A poco serve affermare, come ha fatto circa una settimana fa, che Kemp è «un debole, un bluff totale». Gli elettori sanno che il governatore ha attuato politiche molto conservatrici. Ebbene sì, anche in campo elettorale.

Ricevendo per questo il sostegno di un altro ex presidente come George W. Bush e a sorpresa anche il vice di Trump, quel Mike Pence che dopo l’assalto al Campidoglio sembrava finito e che invece, a passi lenti e ben distesi, si sta ricostruendo un’immagine di rappresentante integro del conservatorismo sociale, anti aborto ma a favore della creazione di una sorta di conservatorismo costituzionale che faccia un uso moderato delle “culture war” senza fine e che superi il trumpismo.

Vittoria a sorpresa

Per Raffensperger invece si era trattato di una corsa in solitaria: nessun esponente, tranne il governatore Kemp, lo ha sostenuto e sembrava spacciato contro il maglio trumpiano. A sorpresa, ha vinto con quasi venti punti di distacco. Circola la voce che siano accorsi molti democratici a salvare il suo scranno, ma la cosa non è esplicitamente proibita. Quindi, tutto regolare. Sembrerebbe dunque, come afferma il magazine progressista New Republic, che il presidente deposto abbia perso «il suo tocco di Re Mida».

In realtà lo aveva già in parte perso. Non bisogna farsi illusioni: in Texas i suoi endorsement sono andati tutti a segno, compreso quello prezioso per il procuratore generale uscente Kevin Paxton, uno dei suoi principali alleati, sfidato dall’ultimo esponente della dinastia Bush, George P., figlio di Jeb.

Ma nel remoto Idaho c’era stato un anticipo della disfatta georgiana: Trump aveva sostenuto una candidata di estrema destra, la vicegovernatrice Janice McGeachin, che nel suo programma proponeva di togliere le restrizioni anti Covid (già molto blande), di arrestare il dottor Anthony Fauci e di sospendere la ricezione di fondi federali per difendere la “sovranità statale”.

Un pacifico esponente dell’establishment come il governatore Brad Little l’ha tranquillamente battuta lo scorso 17 maggio per 20 punti percentuali. Un’altra governatrice uscente che ha trionfato è Kay Ivey in Alabama, dove anche lì il messaggio di Trump non ha sfondato. In uno stato dove però le “culture war” piacciono eccome. Cosa ci dice quindi questa serie di risultati? Questo conservatorismo con tratti autoritari piace ancora molto.

Forse però la figura dell’ex presidente è diventata troppo divisiva e tossica per vincere comodamente sia il midterm che le prossime presidenziali. Serve solo un leader che abbia il coraggio di sfidarne la leadership. I gruppi a sostegno del governatore della Florida Ron DeSantis sono molto attivi sui social. Difficile dire però se vorrà attaccare chi di fatto ne ha creato la figura anche a livello nazionale.

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