Attacco all’Ue, Putin dà ragione a Trump. Ma i primi nemici dell’Europa sono interni

Ci sono parole che suonano ormai completamente obsolete, scavalcate purtroppo dagli sconvolgenti eventi recenti, acceleratori della storia. Sono le parole ammantate di candore ma invece irresponsabili di chi si immagina di vivere ancora irenicamente in una sorte di infrangibile pace perpetua kantiana. Una vignetta che fissasse la realtà la si potrebbe disegnare così: due gendarmi con il volto di Donald Trump e di Vladimir Putin che stringono in mezzo e prendono per il collo una donna, l'Unione europea. Una donna, perché loro vengono da Marte e noi da Venere come ebbe già a scrivere 22 anni fa nel fortunato saggio Power and Weakness Robert Kagan, il pensatore neocon. Kagan allora non contemplava la Russia, sottolineava la divisione esistente tra i due occidenti. Sperava in un rinnovato impegno di collaborazione tra le due sponde dell'Atlantico anche se temeva un futuro di tensioni. Sovranista, imperialista, suprematista: la dottrina “eurofobica” di Trump Fratture insanabili Le speranze sono morte all'alba del secondo mandato della presidenza di Donald Trump. Le tensioni sono diventate fratture al momento impossibili da conciliare, se non nella testa della nostra premier Giorgia Meloni che procede, chissà con quale intima convinzione, nel perseguire una politica di sutura delle divergenze contro ogni evidenza. Domenica 7 diecembre ha telefonato a Zelensky rinnovando la «solidarietà italiana» per una «nuova serie di attacchi russi contro obiettivi civili ucraini», per poi annunciare «l’invio di forniture a sostegno delle infrastrutture energetiche» ed infine esprimere «sostegno al processo negoziale in corso e all’impegno degli Stati Uniti». Peccato che il presunto amico della Casa Bianca abbia scaricato – peggio ancora: liquidato – lei e l'Europa tutta, con l'epocale nuova dottrina della sicurezza nazionale che cancella con un colpo di spugna ottant'anni di alleanze, abbandona al suo destino anche militare il Vecchio Continente che in vent'anni rischia di essere «cancellato». Nel sottofondo la logica per la quale gli stati non hanno princìpi ma solo interessi. E da qui il rifiuto delle regole pletoriche della democrazia a favore di democrature con un uomo forte al comando e in connessione diretta con il popolo, in un mondo in cui i muscoli contano più del diritto. Non si dica che è una sorpresa. È la logica conseguenza, ora messa nero su bianco, di una postura chiarissima fin dal secondo insediamento in quella che viene designata come la poltrona più importante del mondo. Bastava ascoltare le sue parole senza cullarsi nell'illusione che Trump fosse una tigre di carta, un rodomonte che le spara grosse ma che sarebbe stato riportato dal “deep state” nell'alveo delle consuetudini e delle partnership consolidate dalla II guerra mondiale in poi. L’Ue, il furore del tycoon e la retorica europeista Ora Trump è per certi versi una tigre di carta ma è anche il portatore di una nuova concezione dell'ordine mondiale in cui come in una moderna rupe Tarpea i deboli sono destinati a soccombere. E l'Unione europea è debole. Non stupisce nemmeno che la visione di Trump sia stata prontamente condivisa dal suo dioscuro Vladimir Putin, che per bocca del fedelissimo Dmitri Peskov si è affrettato a sottoscriverla (la nuova strategia di sicurezza statunitense «è in larga parte in linea con la visione della Russia») esattamente nel momento in cui stava scatenando l'ennesimo attacco micidiale, però aggiungendo che questa comunione d'intenti tra Mosca e Washington favorisce un «lavoro costruttivo» per la soluzione della crisi con Kiev. Sarà: a detta del figlio maggiore del presidente, Donald Trump Jr, la Casa Bianca potrebbe abbandonare il processo di pace per l’Ucraina, tagliando aiuti, armi e sostegno. Altrettanto entusiasta il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitrij Medvedev, che ha definito la nuova strategia di sicurezza nazionale Usa «caratterizzata da una valutazione realistica delle sfide moderne». Infine è tornato alla carica Elon Musk, offeso per la multa Ue da 120 milioni: sempre sul social di sua proprietà, X, ha rilanciato un post in cui la scritta «Quarto Reich» accompagna un'immagine in cui sotto la bandiera dell'Ue compare una svastica: «Praticamente», commenta Musk nel repost. Davanti a tanta protervia, e al netto di dichiarazioni di routine, nessuno si è erto in modo adeguato a difendere l'Europa da un attacco tanto vile perché portato da chi è considerato ancora un alleato. Un silenzio imbarazzato e perciò molto rumoroso. A Bruxelles non c'è nessuno che risponda al telefono, per parafrasare la famosa frase di Kissinger, e ora non c'è nemmeno nessuna che abbia una voce decisa. L'afonia è figlia del fatto che l'Ue non può parlare per l'unanimità dei suoi componenti, molti dei quali sono perfettamente d'accordo con Trump e Putin. L'elenco delle quinte colonne è lungo. L'Ungheria di Orban, la Slovacchia di Fico, più sovranisti di ogni provenienza, dalla destra moderata all'estrema destra, Meloni e Salvini da noi, Wilders in Olanda (domenica 7 ha detto «Trump ha ragione, l’Europa sta diventando un continente medievale, a causa dell'immigrazione di massa»), la Le Pen in Francia, Afd in Germania, Vox in Spagna... Influenti anche quando non direttamente nella maggioranza perché Ursula von der Leyen si regge con la sua commissione in precario equilibrio tra gli opposti del Parlamento. Mosca e il suo zar hanno perso anche se vincono Due velocità Per chi non l'avesse ancora capito siamo soli. Trump ce lo ha detto a lettere cubitali. O scivoliamo nell'irrilevanza e nella sudditanza o è l'ora delle scelte drastiche. Intanto varando quel piano europeo di riarmo a scopo di deterrenza e difensivo. E se non c'è l'unanimità (la sciagura che ha paralizzato finora le istituzioni comunitarie), si proceda con chi ci sta. Un'Europa a due velocità. Chi ci sta è presto detto. Francia e Germania, i paesi del nord, i baltici direttamente minacciati, la Polonia ovviamente, la Gran Bretagna come supporto esterno dopo la Brexit. Sperabilmente l’Italia se si risolve a volgersi verso Bruxelles e la smette di essere Arlecchino servo di due padroni.