Quando Elon Musk ha annunciato l’acquisto di Twitter per 44 miliardi di dollari, alcuni osservatori hanno posto l’attenzione sull’approccio libertario del tycoon di origine sudafricana alla “moderazione dei contenuti”. Avrebbe nuovamente liberalizzato gli insulti, anche su base etnica o sessuale? E la diffusione di fake news? Soprattutto, avrebbe nuovamente consentito a Donald Trump di tornare sulla piattaforma? Apriti cielo! I democratici, tra cui l’ex segretario al lavoro dell’amministrazione Clinton, Robert Reich, hanno definito questa nuova piattaforma “un incubo”. Per chi sarebbe però l’incubo? Per i repubblicani, probabilmente.

Non facciamoci trarre in inganno dal tweet inviato dall’account ufficiale del gruppo parlamentare alla Camera dei rappresentanti che il 25 aprile ha taggato il nuovo proprietario per chiedergli di “liberare” l’ex presidente. Nell’account del Senato, invece, si trova soltanto un retweet della senatrice Marsha Blackburn del Tennessee: afferma che il fatto che Musk sia per la libertà di parola è “una bella cosa”, ma niente altro.

Il pasticcio

Il ricordo va agli ultimi giorni di utilizzo dell’ex presidente, poco prima del ballottaggio in Georgia per due seggi del Senato, quando il suo protagonismo assoluto ha attirato su di sé l’attenzione, togliendo ai due repubblicani uscenti David Perdue e Kelly Loeffler un argomento forte nei confronti degli elettori: togliamo a Joe Biden la maggioranza al Senato per impedirgli di portare avanti il suo programma “radicale”. Non si poteva perché avrebbe voluto dire mettersi in contrasto con Trump, che riteneva quelle elezioni “rubate”. Insomma, un gran pasticcio che ha generato l’esile maggioranza di cui ancora dispone l’attuale presidente.

In un’intervista al magazine Politico, un membro anonimo della leadership ha detto: «Se fossi un democratico, pregherei per il ritorno di Trump su Twitter». Argomentando il punto, il politico senza nome ha continuato sostenendo che «ciò eleverebbe di nuovo le opinioni di Trump a notizia e i candidati repubblicani dovrebbero nuovamente rispondere di questo. Potrebbe costarci qualche seggio».

Non si sa ancora se e quando le nuove policy promosse da Elon Musk verranno implementate: al di là delle dichiarazioni di circostanza su quanto sia brutta la censura e il ban definitivo delle persone dalla piattaforma, non dovrebbero discostarsi di molto da quelle attuali. Inoltre, il diretto interessato Trump ha dichiarato a Fox News che non intende tornare su Twitter, che resterà sulla sua applicazione Truth Social, lanciata lo scorso 21 febbraio e che ora il suo ex social media preferito è diventato “noioso”.

Un ex presidente poco credibile

Peccato per due punti: la parola di Trump è assai poco credibile, tanto per gli avversari come per gli alleati, e la sua creatura, per la quale ha convinto l’ex deputato californiano Devin Nunes a lasciare il congresso per diventarne amministratore delegato, non sta andando affatto bene. Non soltanto perché è aperta solo agli utenti americani, ma anche perché gli utenti attivi quotidiani sono soltanto 513mila, poco meno degli abitanti del Wyoming, contro i 217 milioni di Twitter.

E anche l’ex presidente la usa poco: dopo un post iniziale a febbraio, non ha postato più nulla. La tentazione di tornare al centro dell’attenzione però potrebbe essere troppo forte, non solo per gli 88 milioni di follower che tornerebbe a informare direttamente, ma perché sarebbe il modo più facile per tornare sulla cresta dell’onda. Nonostante, oltre a Truth, ci siano altre tre piattaforme che hanno chiesto all’ex presidente di aprire un account: Gab, Parler e Gettr. Tutte e tre però non lo hanno convinto. Verrebbe da dire perché non ci sarebbero progressisti da “far arrabbiare”. Al Congresso però temono di tornare al 2017, quando Trump twittava qualcosa di molto forte la mattina e loro dovevano rispondere delle sue opinioni nel pomeriggio, lasciando poco spazio alle loro proposte costruttive.

Non che in un’elezione di metà mandato siano importanti, ma di certo aiuterebbe le fragilissime prospettive di Joe Biden l’aver a che fare con l’unico politico molto più impopolare di lui, che regalerebbe un argomento facile all’amministrazione: volete tornare al caos di Trump? Per di più, il leader repubblicano alla Camera Kevin McCarthy, che aspetta di diventare speaker da moltissimo tempo, si trova a dover fronteggiare le rivelazioni del New York Times di giovedì scorso: in un’intercettazione successiva all’assalto al Campidoglio dello scorso 6 gennaio, avrebbe cercato di far dimettere l’allora presidente insieme a colei che è diventata un nemico numero del mondo nazional-conservatore: la deputata del Wyoming Liz Cheney, avversaria strenua di Trump. Inutili quindi le visite mensili nella residenza di Mar-a-Lago per tenere buoni rapporti con il vecchio presidente. Due sostenitori del trumpismo come Marjorie Taylor Greene e Matt Gaetz hanno già annunciato che faranno mancare il loro appoggio a McCarthy qualora dovessero vincere nuovamente una maggioranza. In sintesi, Trump non è ancora tornato e già sta creando problemi. Soprattutto però ai repubblicani, che già pregustavano il trionfo elettorale il prossimo novembre.

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