Lavrov spiega il cambio di rotta: «La proposta di Putin di un cessate il fuoco rappresenta l’inizio di una trattativa con gli ucraini». Ma continuano le accuse reciproche, mentre Washington avverte: «Si deve trovare un accordo prima che Trump perda la pazienza»
Nel 1.161esimo giorno di guerra l’Ucraina rivendica il sangue dell’alto grado dello Stato maggiore russo Yaroslav Moskalik, eliminato con un’autobomba piazzata in una Volkswagen Golf il 25 aprile scorso a Balashikha, a una decina di chilometri da Mosca.
A confermare che c’è l’intelligence di Kiev dietro l’uccisione mirata del generale che da quarant’anni stava nei ranghi dell’esercito russo (membro della delegazione dei negoziati di Minsk, vice capo della direzione operativa responsabile del coordinamento delle operazioni militari) è stato il presidente ucraino, pur senza chiamarlo per nome nella sua dichiarazione sibillina: «La giustizia arriva inevitabilmente».
Più loquace è stato il parlamentare ucraino Roman Kostenko: «Cosa posso dire? Sono contento. Credo che ci sia bisogno di capire che, anche se dovessimo raggiungere il cessate il fuoco presto, il lavoro dei servizi d’intelligence sarà solo all’inizio». Il deputato ha detto al giornale Ukrainska Pravda che questa diventerà «la missione primaria dei servizi e dell’Sbu»: «Assicurare che queste persone vengano punite, non importa dove si trovino».
Non è la prima volta che Mosca si lascia sorprendere dall’esplosione di un ordigno: questa operazione dei servizi ucraini è stata quasi gemella a quella di dicembre scorso, quando è stato eliminato il generale Igor Kirillov.
Mosca scalpita. Si lamenta con Kiev che continua ad accusare il Cremlino di atrocità ma rimane silente sul cessate il fuoco di tre giorni proposto da Putin per celebrare il nove maggio, il giorno in cui la Federazione si ferma per festeggiare la Giornata della Vittoria sulla Germania nazista, una «festa sacra per tutte le nazioni dell’ex Urss», come ha detto ieri Putin da Volgograd, la città che si chiamava Stalingrado. La parata di reggimenti che sfileranno in Piazza Rossa quest’anno sarà più maestosa per un anniversario tondo: l’ottantesimo.
Tregua «manipolata»
L’unica cosa che hanno finora recapitato gli ucraini sono accuse; questo silenzio delle armi momentaneo è «tentativo di manipolazione», ha detto Zelensky che è tornato a chiedere un cessate il fuoco «immediato, completo e incondizionato» per un mese: «Noi diamo valore alla vita delle persone, non alle parate. Non c’è motivo d’aspettare l’otto maggio».
È la stessa posizione dell’Ue: i russi «potrebbero farlo proprio ora, adesso», ha detto la portavoce della Commissione europea Annitta Hipper. Però «ora» i russi stanno avanzando velocemente contro Sumy, denunciano le autorità ucraine. Anche per questo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov sottolinea che «manipolazione è evitare di dare una risposta diretta alla proposta di tregua russa».
Il punto è che negli ultimi giorni Zelensky ha cambiato linea sulla Crimea che non può riconquistare, ma anche che i russi hanno virato su Zelensky: le trattative dirette sono questione «prioritaria» mentre non lo è più la legittimità del presidente ucraino eletto nel 2019, il cui mandato è scaduto un anno fa. «Gli interessi per avviare un processo di risoluzione pacifica sono al di sopra di tutto, il resto è secondario», ha chiosato Peskov. Nuove urne sarebbero ulteriore caos, di nuovi avversari politici quanto di vecchi mai andati via (come l’ex presidente Poroshenko).
Ma soprattutto: il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov spiega la nuova linea del Cremlino affermando che la proposta di Putin di un cessate il fuoco del giorno della Vittoria va considerato come «l’inizio di colloqui diretti con Kiev senza precondizioni».
Si cammina su un filo teso, forse l’ultimo, con Donald Trump alla Casa Bianca. Ancora ieri il suo vice JD Vance ha detto che è «illusorio» credere che Kiev possa vincere. Tutto il coro greco dei repubblicani, a turno, sta ribadendo che il comandante capo ha esaurito ogni indulgenza: «Ucraina e Russia devono rapidamente raggiungere un accordo prima che Trump perda la pazienza», ha avvisato Mike Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale Usa.
Nonostante le costanti dichiarazioni del ministro degli Esteri russo Lavrov sul nuovo fil rouge tra Mosca e Washington, sul dialogo fruttuoso che prosegue («la comunità internazionale presto si renderà presto conto che gli interessi di Russia e Stati Uniti sono reciproci»), è partita una seconda chiamata verso Mosca in meno di due settimane dal segretario di Stato americano Marco Rubio «per porre fine alla ora» alla senseless war, la guerra «insensata». Parole che danno continuità agli ultimi avvertimenti di Trump: «Smettete di sparare, sedetevi e firmate un accordo».
Il fattore tempo
«Ci sono ragioni per essere ottimisti, ma anche ragioni per essere realisti», ha affermato Rubio, ricordando che l’opzione della fuga statunitense dai negoziati non è mai stata scartata.
Con dettagli e modi diversi, ucraini che russi stanno dicendo proprio quello che Trump vuole sentire (vogliono mettere fine al conflitto), ma il tempo gioca a favore di Mosca che mira a dare altri mesi alle sue truppe sul campo.
Più il tempo passa più a uscirne sconfitto è anche Trump, che aveva promesso di mettere fine alla guerra in 24 ore: dopo i suoi primi cento giorni a Washington, a finire è stata solo l’euforia degli statunitensi per il suo arrivo al vertice. Non ha bandierine da piantare né su un compromesso geopolitico né sull’accordo per i minerali rari con gli ucraini: pure quello, a telecamere spianate, aveva promesso che sarebbe arrivato lo scorso 26 aprile. E invece no.
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