Gli occhi del mondo arabo e in gran parte anche di quello europeo sono tutti puntati sulla Tunisia. Sono passati tre giorni da quello che vari osservatori politici hanno definito il “colpo di stato” del presidente Kais Saied e la situazione rimane ancora tesa. Basta una scintilla per scaldare gli animi tra i sostenitori del presidente della repubblica e i suoi oppositori.

Gli islamisti del partito di maggioranza Ennahda si sono fin da subito opposti alla sospensione del parlamento e al sollevamento dall’incarico del primo ministro e dei ministri di Difesa e Giustizia, definendo la mossa politica di domenica sera un attacco alla rivoluzione del 2011 con la quale, dieci anni fa, i tunisini posero fine al regime ventennale di Ben Ali.

Sbattendo i pugni sul tavolo e con uno sguardo serio di fronte alla tv di stato, il presidente Saied ha negato che si sia trattato di un colpo di stato e ha detto di aver agito in difesa della Tunisia e del suo popolo rispettando la Costituzione. Inoltre, ha detto di non volere vedere «neanche una goccia di sangue», invitando la popolazione «a restare calma e non cedere alle provocazioni». Durante questo periodo di stato di emergenza si procederà a governare tramite dei decreti presidenziali, in attesa di arrivare a un nuovo governo. Secondo il presidente, la sua legittimità politica trova fondamento nell’art. 80 della Costituzione, ma spetta alla Corte costituzionale, organismo giuridico di cui il paese al momento è privo, confermare un eventuale scioglimento del parlamento.

Le prime misure e il dialogo

Tra i primi provvedimenti adottati da Saied c’è l’estensione del coprifuoco fino al 27 agosto dalle 19 alle 6, orario in cui vengono anche limitati gli spostamenti tra le varie città fatta eccezione per i lavoratori notturni. Inoltre, sono vietati assembramenti di tre o più persone in tutti i luoghi pubblici, una scelta dettata sia dalla pandemia sia dalla volontà di voler reprimere eventuali proteste o manifestazioni.

Dopo il turmoil politico ora si profila una nuova fase di confronto, iniziata con l’incontro tra il presidente tunisino e l’Ugtt, il più importante sindacato nazionale che insieme alla Lega dei diritti dell’Uomo, la Confederazione industriale e del commercio e l’Ordine degli avvocati ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2015 per aver favorito il dialogo politico portando la Tunisia fuori dal pantano politico. Molto probabilmente, ancora una volta, toccherà a loro svolgere un ruolo di raccordo tra le varie parti politiche in gioco. Fino a ora, le istituzioni sindacali hanno di fatto appoggiato l’entrata a gamba tesa di Saied ma ora chiedono una “roadmap” partecipativa e comprensiva di tutte le forze politiche in campo per uscire dalla crisi.

Se inizialmente il primo ministro uscente Hichem Mechichi sembrava volesse continuare il suo operato e convocare una riunione di emergenza del Consiglio dei ministri, in un secondo momento ha deciso di fare un passo indietro e accettare la sua dipartita imposta dallo stesso uomo che circa un anno fa lo ha nominato a capo di quella che era una squadra di governo di tecnici. In un lungo post su Facebook, Mechichi ha augurato «successo alla nuova squadra di governo», affermando di aver compreso e accettato la decisione del presidente Saied.

Reazioni estere

Per ora restano tutti affacciati alle finestre a guardare: dall’Ue agli Stati Uniti passando per la Russia i vari rappresentanti di stato e di governo si sono detti allarmati per ciò che sta accadendo nell’unica democrazia, seppur giovane, del Maghreb. Lunedì sera il Segretario di stato americano, Antony Blinken, ha chiamato il presidente Saied chiedendogli di non discostarsi «dai principi democratici e dal rispetto dei diritti umani».

Dichiarazioni che rischiano di essere di contesto, come quelle dell’Alto rappresentate dell’Unione europea, Josep Borrel, che ha chiesto alle autorità tunisine «il ripristino della stabilità istituzionale, e in particolare la ripresa dell’attività parlamentare, il rispetto dei diritti fondamentali e l’astensione da ogni forma di violenza». La Turchia, da sempre a sostegno degli islamisti di Ennahda ha invocato, invece, il ripristino della legittimità democratica e criticato fortemente la decisione di Saied.

Tuttavia, la percezione è che a gran parte della popolazione tunisina importi poco dibattere se sia stato un colpo di stato oppure no. Negli ultimi mesi la disperazione ha raggiunto livelli mai visti negli ultimi dieci anni. La disoccupazione è ferma intorno al 15 per cento, le violenze e la repressione della polizia sono sempre più insistenti e la pandemia ha messo in ginocchio le già precarie strutture sanitarie del paese. Il Fondo monetario internazionale guarda con apprensione alla Tunisia e secondo l’agenzia di rating Fitch il piano discusso per un nuovo prestito economico di 4 miliardi potrebbe essere a rischio.

Dall’entroterra alla costa i giovani tunisini vogliono lasciare il paese e attraversare il Mediterraneo. Il rischio maggiore per le istituzioni europee è che con l’attuale crisi politica ci sia un picco degli sbarchi nelle coste italiane. La paura di una nuova ondata di arrivi potrebbe spingere l’Unione europea a pressare di più il presidente tunisino. Nei prossimi giorni si saprà di più, per ora tutti stanno a guardare le prossime mosse di Saied.

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