Il nuovo governo annunciato dal presidente Kais Saied nella mattinata di lunedì 11 ottobre nasce in uno dei momenti più delicati della storia della Tunisia, di certo il più complesso dalla caduta di Ben Alì nel 2011. Al tempo stesso, però, porta con sé i segni della novità e comunica una energia di cambiamento tale da suscitare cauto ottimismo dopo un periodo di buio pesto.

Pieni poteri e proteste

Il quattordicesimo esecutivo in dieci anni prende forma all’indomani di una lunga estate che ha visto succedersi una serie di avvenimenti politici senza precedenti. Il 25 luglio, certificato il fallimento del primo ministro Hichen Mechichi, Saied lo ha esautorato. Nella stessa mossa ha dichiarato sospesa l’attività parlamentare e ha avocato a sé i poteri giudiziario ed esecutivo.

Il 22 settembre, tra manifestazioni di larghe fette di popolazione che denunciavano da una parte il rischio di deriva autoritaria e, dall’altra, di migliaia di sostenitori del presidente stomacati dall’inefficacia parlamentare, Saied ha ratificato la consegna di tutti i poteri nelle sue mani per decreto. Sei giorni dopo, il capo di stato, noto per il suo pronunciato islamismo, per le difficoltà a riconoscere la parità di genere e per una formazione politica di stampo conservatore, tira fuori dal cilindro Najla Bouden Romdhane, una donna, a capo del costituendo esecutivo, per la prima volta nella storia di tutti i paesi arabi.

Generazione disperata

Ora, però, spenti i fuochi d’artificio, alla neoleader del governo spetta una missione impossibile. Il paese, complice anche l’incapacità politica di innescare riforme sostanziali, giace in una crisi economica ormai endemica che peggiora di giorno in giorno. Il governo di Romdhane dovrà convincere il Fondo monetario internazionale che le riforme che avvierà saranno tali da garantirgli il prestito da 4 miliardi di dollari atteso da mesi e sempre rimandato per l’inaffidabilità dei precedenti esecutivi. Nel frattempo l’agenzia di rating Fitch ha declassato la Tunisia al livello “B-” con outlook negativo. La popolazione è stremata, il prodotto interno lordo è crollato, il tasso di disoccupazione sfiora il 20 per cento con picchi spaventosi tra i giovani (41 per cento).

Il gesto estremo del ventiseienne Nèfil Hefiane, morto dopo essersi dato fuoco il 2 settembre, ha riportato l’orologio tunisino al dicembre del 2010 quando Mohamed Bouazizi, anch’egli giovanissimo, gettandosi tra le fiamme, denunciava lo stato di disperazione dei giovani e innescava la primavera araba.

La prima ministra

Il nuovo governo si compone di 24 ministri e un sottosegretario di stato. Per dirla all’italiana è un governo tecnico, con tanti profili accademici – c’è anche una poetessa, Amel Moussa Belhaj, ministra delle Questioni femminili e della famiglia – e nessun appartenente alla sfera partitica. Nominando come capo del governo una donna, il presidente Saied ha ottenuto una serie di indiscutibili risultati.

Ha guadagnato il consenso di gran parte del mondo femminile tunisino, anche quello del femminismo attivista strutturalmente opposto alla sua tendenza islamico-conservatrice; ha ribaltato la radicata convinzione che in Tunisia la politica sia cosa per uomini e gerontocrati; ha suscitato interesse al di fuori dei confini. Ma si è anche messo al riparo da critiche in un chiaro tentativo di convincere i tunisini che le scelte a tinte autocratiche, sono state prese per il bene del paese.

Gli scenari

Saied esce dall’angolo, si presenta come il leader più innovatore della storia della politica del mondo arabo e punta a condurre in porto una serie di riforme che tra attacchi e timori di ritorno al passato – in parte realistici – aveva innescato da luglio e che ha in mente già da molto prima. Un mix di populismo spinto, tentazione autocratica e conservazione, che mira a una totale riforma del sistema elettorale e una limitazione dei poteri del parlamento

Gli interrogativi aperti restano molti. Riuscirà la prima ministra a imporre una sua agenda o, come suggerirebbe il decreto di settembre che dà mano libera del presidente anche nelle decisioni esecutive, sarà una sua passacarte? Ha avuto peso nella scelta dei ministri?

E loro, scelti per lo più per le loro carriere accademiche, per onestà e probità piuttosto che per esperienza di amministrazione della cosa pubblica, riusciranno a governare un paese sull’orlo del default? «Saied ha fatto una mossa intelligente nominando una donna», dice Youad Ben Rejed, attivista nei movimenti di liberazione femminili tunisini: «Si è garantito subito il consenso di tutte noi. Aspettiamo e speriamo: nonostante i grandi timori di svolta autocratica, non possiamo che sostenere il governo perché ne abbiamo un disperato bisogno».

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