L’impennata dell’inflazione in Turchia sta creando forti tensioni sociali nella popolazione, già stremata dai rincari degli alimentari e dei carburanti.

Da ultimo le tensioni hanno raggiunto persino i pretoriani, gli apparati militari che hanno manifestato insofferenza verso le politiche del governo, che stanno avendo come effetto quello di far evaporare il potere di acquisto dei salari. In un paese che ha visto quattro colpi di stato nella sua storia recente è un segnale molto inquietante e da non sottovalutare.

Il presidente Recep Tayyip Erdoğan sta ipotizzando un attacco militare in Siria per distrarre l’opinione pubblica dalla grave crisi valutaria, ma i suoi consiglieri lo hanno avvisato che se dovesse lanciare il raid contro le forze curde, la lira sarebbe la prima a subirne le conseguenze con un nuovo pesante calo.

Secondo fonti russe e siriane, i militari turchi, come anche i mercenari filo-turchi dispiegati al confine in Siria, chiedono ai loro superiori da giorni che gli stipendi siano pagati in valuta estera, stanchi di incassare le lire turche che hanno sempre meno valore.

In questa situazione di impasse le forze di Ankara starebbero subendo sul terreno l’iniziativa militare dei curdi siriani, perdendo decine di veicoli corazzati.

La Banca centrale compra lire

A man sells Turkish flags in a commercial area in Kadikoy neighbourhood in Istanbul, Turkey, Thursday, Dec. 2, 2021. Turkey’s beleaguered currency has been plunging to all-time lows against the U.S. dollar and the euro in recent months as President Recep Tayyip Erdogan presses ahead with a widely criticized effort to cut interest rates despite surging consumer prices. (AP Photo/Francisco Seco)

Intanto la Banca centrale di Turchia è tornata a immettere liquidità nel mercato valutario per la seconda volta in 48 ore «a causa di una dannosa formazione di prezzi nei tassi di cambio», come si legge in un comunicato.

La situazione è sempre più grave nonostante gli Emirati Arabi Uniti abbiano fatto trapelare la possibilità di un aiuto attraverso uno swap di 5 miliardi di dollari a sostengo della lira turca: in una settimana le riserve valutarie internazionali nette delle Banca centrale turca sono scese di 510 milioni di dollari, passando da 25 miliardi e 180 milioni a 24 miliardi e 670 milioni di dollari. Un segnale preoccupante.

L'intervento della Banca centrale ha rallentato momentaneamente la grave svalutazione della lira turca, che negli ultimi mesi ha segnato costantemente record negativi rispetto a euro e dollaro, perdendo più del 45 per cento del suo valore rispetto alla valuta americana da gennaio.

La crisi della lira si era aggravata nelle ultime settimane dopo il cambio di tono della Fed e la successiva decisione della Banca centrale di abbassare il tasso di interesse di riferimento al 15% (-400 punti base da settembre), scelta fortemente sostenuta dal presidente Erdoğan ma che ha allarmato gli investitori internazionali.

La svalutazione della lira ha provocato una ampia crescita dei prezzi di molti prodotti, secondo i dati dell'Istituto di statistica nazionale l'inflazione su base annua è al 21,31 per cento e da ottobre a novembre è salita del 3,51 per cento.

L’allarme del Fmi

Gita Gopinath e Tobias Adrian, i due capo economisti del Fondo monetario internazionale, hanno avvertito che la politica monetaria dei paesi deve prendere atto del rischio inflazione, spiegando tuttavia che tale tendenza ha un’eccezione nel panorama internazionale: la Turchia.

La valutazione è che qui le aspettative di inflazione «vengano disattese, dal momento che la politica monetaria viene allentata nonostante l’aumento dell’inflazione». Insomma, un invito ad Ankara ad alzare i tassi senza indugio prima che il treno deragli.

Inflazione in ripresa

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L’aumento dell’inflazione, secondo gli studi degli osservatori internazionali, ha ridotto il potere d’acquisto dei consumatori. Giovedì l’agenzia di rating internazionale Fitch ha rivisto in negativo le prospettive sul rating del debito sovrano della Turchia, indicando «un deterioramento della fiducia interna». Un segnale pericoloso da non sottovalutare. Nell’ultimo mese, la lira ha perso il 30 per cento nei confronti del dollaro e oltre il 45 per cento dall’inizio dell’anno.

L’aumento arriva dopo il terzo taglio consecutivo dei tassi deciso dalla Banca centrale e di un nuovo taglio annunciato per il 16 dicembre in linea con le politiche monetarie di Erdoğan. Il leader turco ha più volte imposto tassi di interesse più bassi per stimolare la crescita e la produzione e rilanciare l’export.

Sfidando il pensiero economico ortodosso, il presidente sostiene che i tassi elevati causano un’elevata inflazione e questa settimana ha ribadito la sua opposizione a qualsivoglia aumenti nonostante il nervosismo della piazza finanziaria. Secondo fonti di mercato, la Banca centrale taglierà il tasso a metà dicembre aggravando ancora di più la crisi valutaria che potrebbe portare a una fuga dei capitali dalle banche e costringere il governo al blocco dei capitali. E a quel punto Erdoğan sarebbe all’angolo.

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