Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è sempre più in difficoltà sul fronte economico interno con l'inflazione al galoppo che ha toccato a dicembre un incremento annuo superiore al 36 per cento, livello record dal 2002, conseguenza della stravagante e poco ortodossa politica monetaria perseguita dal presidente in nome "dell'indipendenza economica” del suo Paese.

Così Erdogan ha minacciato di ritenere un tentativo di colpo di stato chiunque, tra i partiti di opposizione, organizzi proteste e manifestazioni pubbliche contro il caro vita, un rincaro dei prezzi che sta mettendo in ginocchio le famiglie costringendo molti turchi a lunghe file davanti ai negozi per acquistare pane a prezzo calmierato e fornito dalle municipalità in mano, nel caso di Istanbul e Ankara al CHP, il maggior partito anti-Erdogan.

La valuta invece ha perso il 45 per cento del suo valore da inizio anno. Una situazione temporanea? Non proprio. Secondo Goldman Sachs, l'inflazione in Turchia supererà il 40 per cento nel corso di quest'anno mentre il quotidiano turco Ahval, sottolinea che la maggior parte del denaro nel sistema bancario turco è investito in conti con una scadenza di soli 32 giorni o anche meno. Segno di una estrema volatilità finanziaria e del nervosismo dei risparmiatori che non si fidano delle promesse governative di sostenere le eventuali perdite valutarie nei conti correnti in lire.

Secondo la Bloomberg, la banca centrale turca ha registrato uno straordinario profitto giornaliero di circa 10 miliardi di dollari nell'ultimo giorno del 2021. Nessuno ha chiaro come abbia fatto. 

La banca centrale aveva segnato una perdita annuale di 70 miliardi di lire (5,2 miliardi di dollari) il 30 dicembre, ma ha chiuso l'anno con 60 miliardi di lire di profitto.

Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nella vendita di riserve in valuta estera al Tesoro. Il deprezzamento della lira ha reso le riserve estere più preziose in valuta locale, ma non possono essere registrate nella colonna dei profitti fino a quando non vengono vendute.

Verso l’Arabia

Comunque per uscire dall'impasse interno, che lo sta trascinando in una guerra di logoramento e perdere consensi nel suo stesso elettorato, il presidente turco ha annunciato che si recherà in Arabia Saudita il prossimo mese, una mossa che va considerata nell'ambito del processo di riavvicinamento del paese della Mezzaluna sul Bosforo ai Paesi del Golfo, Egitto e Israele, che come Riad non avevano avuto relazioni con Ankara negli ultimi tempi.

«Mi aspettano a febbraio, sono atteso per una visita che avevo promesso». ha affermato Erdogan, promettendo di far ripartire l'export (un tempo molto florido e ora ridotto al lumicino) verso Riad, senza però dare dettagli da chi sarebbe atteso, se dal re o dal principe ereditario, Mohammed bin Salman meglio noto come “MbS”.

Secondo il Wall Street Journal, il principe erede al trono dell'Arabia Saudita, avrebbe posto come condizione per il riavvicinamento diplomatico di Riad ad Ankara che il presidente turco Erdogan metta la sordina alo caso dell’editorialista del Washington Post, Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato saudita a Istanbul nel 2019.

Legami più stretti tra Atene e Riad

FILE - A portrait of Turkey's President Recep Tayyip Erdogan hangs in a money exchange shop in Istanbul, Turkey, Monday, Dec. 20, 2021. Turkey's currency made significant gains Tuesday, Dec. 21, 2021 after President Recep Tayyip Erdogan announced extraordinary measures that aim to safeguard deposits in the lira against volatile fluctuations seen in recent weeks and boost confidence among Turks as they have watched their buying power erode. (AP Photo/Francisco Seco, File)

Forse Erdogan si è preoccupato per la rinnovata intesa tra Grecia e Arabia Saudita, il maggior produttore e detentore di riserve petrolifere al mondo. Il 4 gennaio il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias, ha accolto calorosamente il suo omologo dell'Arabia Saudita, Faisal bin Farhan, in Grecia. «Un'opportunità per portare avanti le relazioni strategiche tra Grecia e Arabia Saudita e discutere gli sviluppi nel Mediterraneo orientale, nel Golfo e nel Medio Oriente», ha scritto il ministero degli Esteri ellenico su Twitter. Ma c’è molto di più.

La posizione della Turchia sulla Grecia «è l'epitome dell'irrazionalità», ha detto il ministro Dendias dopo aver incontrato il suo omologo saudita ad Atene. La retorica turca contro la Grecia «ha raggiunto un livello che non vedevamo da anni», ha osservato il ministro greco, «mentre il paese vicino è intento a travisare la verità e qualsiasi senso del diritto internazionale, compreso il diritto del mare». «Minaccia di guerra la Grecia se applichiamo il diritto inalienabile di espandere le nostre acque territoriali, come è esplicitamente previsto dal diritto internazionale del mare», ha affermato Dendias.

Poi è arrivata la stoccata finale del ministro degli Esteri di Atene: «La Turchia ha schierato davanti alle nostre isole la più grande forza da sbarco e la più grande flotta del Mediterraneo, chiedendoci di smilitarizzare le nostre isole - in altre parole, di rinunciare al nostro diritto riconosciuto all'autodifesa, come previsto dalla Carta delle Nazioni Unite», ha aggiunto chiedendo l’appoggio saudita alla richiesta di annullamento del Memorandum turco-libico che ha cambiato unilateralmente i confini marittimi nel Mediterraneo Orientale.

Il riferimento nei colloqui ateniesi agli sviluppi nel Mediterraneo orientale ha allarmato Ankara, che su quel quadrante sta sfidando tutti i paesi dell'area e la Francia di Emmanuel Macron che vende aerei militari di ultima generazione Rafale e fregate alla Grecia sostenendone anche le rivendicazioni nel Mediterraneo orientale in sintonia con la Repubblica greco-cipriota di Nicosia.

 Il nuovo ambasciatore 

In questo quadro diplomatico in grande fibrillazione, il governo di Ankara ha espresso il gradimento alla nomina del nuovo ambasciatore italiano, designato dal Consiglio dei ministri, Giorgio Marrapodi, che diviene così il capo della missione diplomatica ad Ankara, dove sostituisce Massimo Gaiani, giunto a fine mandato.

Classe 1961, a Marrapodi spetterà il difficile compito di rinsaldare i legami tra i due paesi mediterranei che si sono deteriorati per l’intervento turco nella Tripolitania e dopo la frase del premier Mario Draghi che aveva definito Erdogan un "dittatore" con cui dobbiamo collaborare. Una collaborazione che deve districarsi tra le nuove politiche assertive e di sfida di Ankara in aree come Libia e Somalia e il mantenimento di buoni rapporti con un importante partner commerciale e della Nato.

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