Camminando per le strade di Istanbul o di Ankara è facile imbattersi in ragazzi più o meno giovani che trascinano dei carretti a due ruote su cui sono montati grossi sacchi di iuta da riempire con carta, vetro o plastica. Sono i raccoglitori illegali di rifiuti (toplayıcılar in turco), persone appartenenti alle fasce più basse della popolazione o immigrati che hanno trovato in questo settore una via alla sopravvivenza.

In molti casi a svolgere questo compito sono anche bambini o adolescenti cui spetta già il compito di sostenere le proprie famiglie. Contro di loro si sono dirette negli ultimi mesi le azioni repressive della politica locale e nazionale, interessate a trasformare il risentimento nei confronti dei migranti in capitale elettorale in vista delle elezioni del 2023.

Arresti ed espulsioni

Il lavoro dei toplayıcılar consiste nel differenziare la spazzatura prodotta dai loro concittadini per poi consegnare sacchi pieni di carta, plastica e vetro agli appositi centri di raccolta gestiti da intermediari o dalle aziende che si occupano dello smistamento dei rifiuti.

La paga giornaliera varia a seconda della quantità di rifiuti raccolti, ma è generalmente bassa rispetto alla quantità di ore di lavoro svolto. In media si aggira intorno ai 12 dollari al giorno. Questi operatori ecologici non riconosciuti dallo stato lavorano tra l’altro in condizioni degradanti e non godono di alcuna forma di tutela, finendo così con l’essere sfruttati da chi gestisce ufficialmente la gestione dei rifiuti.

Eppure il loro contributo è fondamentale per l’implementazione della raccolta differenziata, una pratica ancora poco diffusa in Turchia. Il paese anatolico, secondo i dati dall’European environment agency, è ancora terzultimo in Europa per percentuale di corretto smaltimento dei rifiuti nonostante i progressi degli ultimi anni.

Di recente però la repressione nei loro confronti è aumentata. Sempre più spesso si assiste a operazioni di polizia che si concludono con sequestri di materiale e attrezzature per la raccolta dei rifiuti o con decine di arresti di immigrati irregolari. A inizio ottobre, nel giro di pochi giorni, sono state fermate 200 persone nel distretto istanbuliota di Atasehir e altre 33 in quello di Umraniye: si tratta per lo più di raccoglitori di rifiuti di origine afghana sospettati di essere entrati illegalmente in Turchia. Molti di loro rischiano ora l’espulsione.

Migranti

Le retate contro i raccoglitori di rifiuti sono strettamente legate al crescente risentimento di una parte della popolazione nei confronti dei migranti.

La Turchia ospita già 4 milioni di rifugiati siriani, arrivati a partire dal 2015 ad oggi a causa della guerra, ma deve adesso fare i conti anche con l’aumento dei flussi provenienti dall’Afghanistan. Con la definitiva caduta del paese nelle mani degli studenti coranici, il numero di afghani che ha cercato rifugio in Turchia è cresciuto costantemente.

Il governo ha cercato di limitare gli arrivi costruendo un nuovo muro al confine con l’Iran, passaggio obbligato per gli afghani diretti in Turchia, ma la percentuale di migranti presenti nel paese è comunque aumentata. E con questa anche il malcontento della popolazione, alle prese da anni con alti tassi di inflazione e disoccupazione e sempre meno tollerante nei confronti degli immigrati.

Una questione politica

A farsi portavoce di questa frustrazione è principalmente il partito conservatore e nazionalista vicino al presidente Recep Tayyip Erdogan, ma anche le forze progressiste hanno portato avanti politiche discriminatorie nei confronti degli stranieri. Emblematico è il caso del sindaco socialdemocratico di Bolu, che aveva proposto un aumento delle bollette ai migranti residenti nel suo municipio.

Il risentimento nei confronti dei migranti, che la classe politica continua ad alimentare per il proprio tornaconto, è sfociato in alcuni casi anche in veri e propri episodi di violenza, come accaduto quest’estate con l’attacco ai negozi gestiti da siriani ad Ankara.

L’odio verso gli stranieri ha assunto quindi un carattere trasversale, incentivando la generalità dei partiti e delle amministrazioni locali a implementare politiche xenofobe per aumentare i propri consensi.

Raccogliere i rifiuti

Anche il partito di Erdogan, l’Akp, è spaccato sulla questione migranti. Il presidente continua a sfruttare l’afflusso di siriani e afghani per ricattare l’Europa e avere maggiori finanziamenti da Bruxelles, ma non ha preso posizione contro gli episodi di violenza né contro le leggi discriminatori delle municipalità.

Lo stesso smantellamento della rete di raccoglitori illegali di rifiuti potrebbe avere degli importanti risvolti politici. Nel 2004 il governo turco, guidato già al tempo dell’attuale presidente Erdogan nella veste di primo ministro, ha approvato una legge che consente alle municipalità di appaltare la gestione dei rifiuti a ditte private, esternalizzando così un servizio particolarmente lucrativo.

La misura si inserisce nel quadro delle riforme e dei progetti approvati nel corso degli anni da Erdogan per rafforzare il suo legame con la classe imprenditoriale, in crescita negli ultimi anni e fondamentale per il suo successo elettorale.

La presenza di operatori ecologici informali, però, è diventata un problema per quelle ditte interessate al settore dello smaltimento dei rifiuti, che vorrebbero l’eliminazione di ogni forma di concorrenza e l’accentramento del servizio nelle loro mani. Con i relativi guadagni.

Regolarizzarsi

Intanto i raccoglitori informali stanno cercando di organizzarsi in associazioni locali con l’obiettivo di regolarizzare la propria posizione, inserendosi finalmente a pieno titolo nel mercato legale del lavoro.

Ad oggi, però, i loro tentativi non hanno prodotto risultati a causa dell’immobilismo della politica, attenta a non danneggiare gli interessi degli elettori che davvero contano, anche in vista delle elezioni del 2023. Ancora una volta a pagare il conto delle campagne elettorali dei partiti sono gli indigenti e gli immigrati. Oltre che l’ambiente.

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