Molte persone affermano di non essersi affatto sorprese per quanto accaduto il 6 gennaio a Capitol Hill. Altre hanno avuto la sensazione di rivivere emozioni e momenti già vissuti. È il caso dei membri del Congresso dello stato del Michigan che lo scorso 30 aprile avevano visto entrare nel campidoglio di Lansing, capitale dello stato, gruppi di manifestanti pro-Trump, tra cui diverse persone armate. Ed è il caso di persone come Brian Cash, che hanno partecipato ad entrambe le proteste.

Video di Brian Cash

«Il 6 gennaio onestamente non mi aspettavo di entrare a Capitol Hill», racconta Cash. Cinquantadue anni, una lunga barba e un lavoro nell’edilizia come posatore di pavimenti, Cash è partito dal Michigan, da una cittadina non lontana da Detroit, e ha raggiunto Washington a bordo del suo furgone tappezzato di adesivi a sostegno di Trump. Con lui viaggiavano due amici. La loro intenzione era di protestare contro la conferma della vittoria di Joe Biden e più in generale contro l’esito di elezioni che ritengono “rubate”. Cash si trovava in albergo quando in televisione ha visto orde di manifestanti che facevano irruzione nell’edificio del Campidoglio. «Ho detto..wow. E mi sono precipitato per raggiungerli», racconta. «Mi ci è voluta un’ora per farmi strada nella folla». Si è quindi arrampicato sulle impalcature allestite in vista della cerimonia di inaugurazione del 20 gennaio, ed è riuscito ad entrare.

Il furgone di Brian Cash

«C’erano fiumi di persone che andavano e venivano. Sembrava di essere ad una mostra d’arte», racconta, se non fosse che la folla era circondata anche da centinaia di poliziotti. La sensazione che aveva era quella di «fare parte della storia». Per questo con il suo smartphone ha realizzato diversi video e fotografie - tra cui un selfie proprio davanti alla facciata marmorea dell’edificio. In testa indossava un berretto di lana rosso con la scritto Make America Great Again mentre dalle labbra gli pendeva una canna accesa, come quella che fuma mentre parliamo al telefono. Cash dice di essere rimasto dentro la sede del Congresso solo pochi secondi, ed è questa la ragione per cui ha accettato di parlare. «Non credo di aver fatto nulla di male. Non sono stato tra i primi ad entrare, non ero armato, non ho assalito nessuno». Tuttavia, ritiene che l’Fbi stia facendo accertamenti anche sul suo conto.

Video di Brian Cash

Il suo volto era già noto. La scorsa primavera era circolata sui quotidiani locali una fotografia in cui, senza mascherina, urlava in faccia a dei poliziotti nel corso della protesta “Unlock Michigan”, libera il Michigan, davanti al Campidoglio di Lansing. I manifestanti esprimevano la propria rabbia contro le restrizioni per contenere la pandemia ordinate dalla governatrice democratica Gretchen Whitmer, poi presa di mira da un gruppo di militanti (alcuni presenti anche quel giorno) che secondo le indagini dell’Fbi intendevano rapirla ed poi giustiziarla.

Credits: Brian Cash

«Guerra civile»

Anche nel caso della protesta di Lansing, Cash sostiene di essere entrato nel Campidoglio senza alcuna difficoltà. «All’ingresso ci hanno addirittura misurato la temperatura e fatto domande sul covid», racconta. Sta di fatto che le immagini di quell’evento fanno un certo effetto: schiere di persone in tuta mimetica e con il volto mezzo coperto si ergono imbracciando armi semiautomatiche in un edificio governativo (peraltro affrescato da un pittore piemontese, Tommaso Juglaris). Cash sostiene che neppure quel giorno, il 30 aprile, portava con sé armi, nonostante in Michigan la legge tuttora lo permetta (nel Campidoglio, proprio da questa settimana, è stato imposto un divieto solo rispetto alle armi a vista). Sostiene inoltre che non sia stato Trump ad istigare le sue azioni a Lansing, né tantomeno a Washington. Eppure nel primo caso il presidente uscente aveva diffuso tramite Twitter il messaggio «liberate il Michigan», mentre poche ore prima dell’assalto a Capitol Hill, esortava la folla di sostenitori a «combattere come dannati».

Credits: Brian Cash

«Ho agito per mia volontà», ci tiene a chiarire Cash che dice di non appartenere a nessun gruppo organizzato. «Dicono che Trump ci ha istigati, ma fin dall’inizio i media e i politici corrotti rigirano le sue affermazioni», sostiene. Addirittura Cash ritiene che l’assalto a Capitol Hill sia stato facilitato da chi voleva incastrare Trump. «Siamo potuti entrare perché ce lo hanno permesso. Dentro c’era chi dava indicazioni su dove andare», dice. «Chi è entrato nell’ufficio di Pelosi come faceva a sapere dove fosse?».

Sulla questione si è sollevato un dibattito, anche perché le indagini dicono che alcuni agenti della polizia del Campidoglio potrebbero avere aiutato i manifestanti. Tra i democratici che hanno solevato la questione c’è Jim Clyburn, capogruppo della maggioranza democratica alla Camera, che non si capacita di come sia stata fatta irruzione nel suo ufficio al terzo piano, non segnalato da nessuna targa, quando nella più scontata Statuary Hall, l’atrio delle statue, c’è una stanza identificata con il suo nome.

Credits: Brian Cash

Al momento sono stati effettuati un centinaio di arresti in connessione con gli eventi del 6 gennaio, di cui almeno sette proprio in Michigan. E forse non è un caso che due dei dieci repubblicani alla Camera che hanno votato a favore dell’impeachment di Trump rappresentino quello stesso stato. Negli ultimi mesi - e più in generale negli ultimi quattro anni - in questa parte del Midwest il peso politico delle forze pro Trump più estreme si è fatto sentire in tutta la sua potenza. Non solo perché nel 2016 Trump ha battuto Hillary Clinton proprio aggiudicandosi stati come il Michigan, storicamente democratici. Ma anche perché storie come quella di Cash possono aiutare a capire, o quantomeno a conoscere, le radici di un fanatismo difficile da comprendere. Al punto che si finisce per sottovalutarlo, descriverlo come un fenomeno di folklore, più ridicolo che spaventoso.

Fino a quattro anni fa a Cash della politica importava molto poco. Ha votato per la prima volta nella vita alle primarie democratiche del 2016, per Bernie Sanders. A «farlo alzare dal divano», come dice lui, e spingerlo fino alle urne è stata la sua passione per la marijuana e l’intenzione espressa di Sanders di legalizzarla a livello federale, anche magari a costo di farlo con un ordine esecutivo, bypassando un Congresso che difficilmente lo avrebbe appoggiato. La legalizzazione della marijuana è l’unico tema politico a cui Cash si fosse mai interessato, convinto che la ragioni per cui sia ancora illegale in alcuni stati siano di natura razzista (di fatto come espediente per incarcerare più neri e immigrati). E su questo fronte in Michigan ha trovato una storia di attivismo a cui interessarsi, in particolare legata ai movimenti della sinistra radicale nati tra gli anni Sessanta e Settanta nella città universitaria di Ann Arbor, e a personalità come quella del poeta beat John Sinclair.

Credits: Brian Cash

QAnon, ovviamente

«Sono convinto che il partito democratico non lo avesse fatto fuori, Bernie avrebbe vinto», sostiene. Nel 2016 Cash detestava Trump. Si è ricreduto nel tempo, quando – dice – i suoi guadagni sono aumentati del 30-40 per cento grazie ai tagli alle tasse e alle riforme economiche del 2017. Ora spende solo parole di lode per lui. Quando gli chiedo come la mette con il fatto che Trump abbia avuto posizioni ambigue – e comunque non favorevoli – rispetto alla legalizzazione della marijuana, risponde: «Dammi 15 minuti con lui e vedrai che gli faccio cambiare idea». Sostiene inoltre che Trump non sia un razzista, che abbia fatto solo del bene al paese, e che sia di fatto vittima dei media controllati da un’élite politica democratica corrotta. Le sue fonti di informazione sono, dice, indipendenti, ovvero la sua conoscenza dei fatti si basa su ricerche personali sul web. Da tempo inoltre segue le teorie cospirazioniste di QAnon, che trova – cosa che a questo punto non sorprende – «sensate e ragionevoli». Infatti per lui persone come Hillary Clinton o Joe Biden nascondono segreti terrificanti. Tuttavia, ad accendere la miccia del suo animo ribelle è stato il lockdown imposto durante la pandemia. Cash racconta che la scorsa primavera stava lavorando alla posa di pavimenti di edifici pubblici e considerava un’ingiustizia il fatto di dover continuare ad andare a lavorare mentre altri dovevano stare a casa. «Se è vero che il virus è così letale allora significa che la mia vita valeva poco», sostiene. Ora per gli Stati Uniti vede un futuro buio. Non crede che andrà a Washington per protestare il prossimo 20 gennaio, perchè ormai - dice - sulla nomina di Biden c’è poco da fare. Ma si tiene pronto a combattere. «Spero di sbagliarmi, ma ho la sensazione che siamo sull’orlo di una guerra civile».

Credits: Brian Cash

 

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